INTRECCI ARTE - L’arte e la follia

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L’arte e la follia

I colori del tormento interiore

Il binomio arte e follia ha segnato, nei secoli, i percorsi di molte grandi personalità, talvolta con riflessi evidenti nella loro produzione.
Parmigianino «uomo salvatico»

Tutta la vicenda del pittore emiliano Francesco Mazzola, detto Parmigianino (1503-1540), fu caratterizzata da una progressiva follia: «Giovane di bello, et vivace ingegno, e tutto gentile, et cortese», il pittore da giovane fu avvicinato, per la grazia e l’eleganza delle sue opere, a Raffaello. Eppure, come ci racconta Giorgio Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, «gli entrò nel capo di voler attendere all’Alchimia», ossia all’arte magica di trasformare i metalli in oro. «Di molto gratioso che egli era, divenne bizzarrissimo e quasi stolto». Il pittore perse progressivamente commissioni e lavori importanti, come la decorazione di una chiesa di Parma, mai portata a termine. Nell’agosto del 1540, abbandonato dalla famiglia, tormentato dalle condanne per insolvenza nei contratti, viveva – scrive ancora Vasari – come un «uomo salvatico»: nel celebre autoritratto conservato alla Galleria Nazionale di Parma, il suo non è più il volto di un trentasettenne, ma quello sofferente di un uomo anziano, dalla lunga barba bianca e incolta.

Intossicazione da piombo e follia

Talvolta la follia degli artisti aveva una precisa ragione: probabilmente ammalato di encefalopatia saturnina era il pittore spagnolo Francisco Goya (1746-1828), intossicatosi con il piombo contenuto nei pigmenti utilizzati per la pittura. Dal 1792, Goya perse completamente l’udito ed era forse in preda ad allucinazioni, che si riflettono nella produzione dei suoi ultimi anni, le cosiddette “pitture nere”, caratterizzate da toni cupi, colori applicati a macchie informi e soprattutto temi sempre più visionari: scene di stregoneria, soggetti simbolici caratterizzati dalla deformità e dalla morte, scene violente.

Esemplare in tal senso è Saturno divora un figlio, in cui lo spaventoso titano, rappresentato con gli occhi e la bocca spalancati mentre sta per inghiottire il braccio della sua vittima, è privo di ogni connotato divino ed è raffigurato in preda al furore e alla follia, con soluzioni cromatiche contrastanti che accrescono il senso di terrore.

L’orecchio di Van Gogh

L’encefalopatia saturnina pesò probabilmente anche sulla vita e sulla carriera di Vincent van Gogh (1853-1890): una fonte utile per studiare la personalità disturbata del pittore è il ricco epistolario scambiato con il fratello Theo. Tormentato dal rapporto di profonda ammirazione e insieme di antagonismo che nutriva nei confronti dell’amico e rivale Paul Gauguin, Van Gogh, due anni prima della morte, arrivò a menomarsi, come testimonia l’Autoritratto con l’orecchio tagliato: il pittore, indossa un cappotto e un berretto pur essendo in una stanza chiusa, ha lo sguardo freddo e distante, quasi perso nel vuoto, e una grossa fasciatura copre la mutilazione che il pittore si è autoinflitto.

Il magnifico viaggio - volume 2
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