T7 - L’avventura di Pinabello e il castello di Atlante

T7

L’avventura di Pinabello e il castello di Atlante

Orlando furioso, canto II, ott. 37-57

Bradamante, sorella di Rinaldo, percorre tutta la Francia alla ricerca di Ruggiero, il più forte cavaliere di Agramante, che lei ama e dal quale è ricambiata. Oltrepassa prima un bosco, poi una montagna; giunge infine a una fonte, dove si imbatte in un cavaliere solitario, che, seduto ai margini di un ruscello, piange addolorato. Alle domande gentili di Bradamante, il cavaliere, che si chiama Pinabello, risponde narrando la sua terribile avventura.


Metro Ottave di endecasillabi con schema di rime ABABABCC.

37

E cominciò: «Signor, io conducea

pedoni e cavallieri, e venìa in campo

là dove Carlo Marsilio attendea,

perch’al scender del monte avesse inciampo;

5      e una giovane bella meco avea,

del cui fervido amor nel petto avampo:

e ritrovai presso a Rodonna armato

un che frenava un gran destriero alato.


38

Tosto che ’l ladro, o sia mortale, o sia

10    una de l’infernali anime orrende,

vede la bella e cara donna mia;

come falcon che per ferir discende,

cala e poggia in uno atimo, e tra via

getta le mani, e lei smarrita prende.

15    Ancor non m’era accorto de l’assalto,

che de la donna io senti’ il grido in alto.


39

Così il rapace nibio furar suole

il misero pulcin presso alla chioccia,

che di sua inavvertenza poi si duole,

20    e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.

Io non posso seguir un uom che vole,

chiuso tra’ monti, a piè d’un’erta roccia:

stanco ho il destrier, che muta a pena i passi

ne l’aspre vie de’ faticosi sassi.


40

25    Ma, come quel che men curato avrei

vedermi trar di mezzo il petto il core,

lasciai lor via seguir quegli altri miei,

senza mia guida e senza alcun rettore:

per li scoscesi poggi e manco rei

30    presi la via che mi mostrava Amore,

e dove mi parea che quel rapace

portassi il mio conforto e la mia pace.


41

Sei giorni me n’andai matina e sera

per balze e per pendici orride e strane,

35    dove non via, dove sentier non era,

dove né segno di vestigie umane;

poi giunse in una valle inculta e fiera,

di ripe cinta e spaventose tane,

che nel mezzo s’un sasso avea un castello

40    forte e ben posto, a maraviglia bello.

42

Da lungi par che come fiamma lustri,

né sia di terra cotta, né di marmi.

Come più m’avicino ai muri illustri,

l’opra più bella e più mirabil parmi.

45    E seppi poi, come i demoni industri,

da suffumigi tratti e sacri carmi,

tutto d’acciaio avean cinto il bel loco,

temprato all’onda et allo stigio foco.


43

Di sì  forbito acciar luce ogni torre,

50    che non vi può né ruggine né macchia.

Tutto il paese giorno e notte scorre,

e poi là dentro il rio ladron s’immacchia.

Cosa non ha ripar che voglia torre:

sol dietro invan se li bestemia e gracchia.

55    Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,

che di mai ricovrar lascio ogni spene.


44

Ah lasso! che poss’io più che mirare

la rocca lungi, ove il mio ben m’è chiuso?

come la volpe, che ’l figlio gridare

60    nel nido oda de l’aquila di giuso,

s’aggira intorno, e non sa che si fare,

poi che l’ali non ha da gir là suso.

Erto è quel sasso sì, tale è il castello,

che non vi può salir chi non è augello.

45

65    Mentre io tardava quivi, ecco venire

duo cavallier ch’avean per guida un nano,

che la speranza aggiunsero al desire;

ma ben fu la speranza e il desir vano.

Ambi erano guerrier di sommo ardire:

70    era Gradasso l’un, re sericano;

era l’altro Ruggier, giovene forte,

pregiato assai ne l’africana corte.


46

“Vengon (mi disse il nano) per far pruova

di lor virtù col sir di quel castello,

75    che per via strana, inusitata e nuova

cavalca armato il quadrupede augello”.

“Deh, signor (diss’io lor), pietà vi muova

del duro caso mio spietato e fello!

Quando, come ho speranza, voi vinciate,

80    vi prego la mia donna mi rendiate”.


47

E come mi fu tolta lor narrai,

con lacrime affermando il dolor mio.

Quei, lor mercé, mi proferiro assai,

e giù calaro il poggio alpestre e rio.

85    Di lontan la battaglia io riguardai,

pregando per la lor vittoria Dio.

Era sotto il castel tanto di piano,

quanto in due volte si può trar con mano.

48

Poi che fur giunti a piè de l’alta rocca,

90    l’uno e l’altro volea combatter prima;

pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,

o pur che non ne fe’ Ruggier più stima.

Quel Serican si pone il corno a bocca:

rimbomba il sasso e la fortezza in cima.

95    Ecco apparire il cavalliero armato

fuor de la porta, e sul cavallo alato.


49

Cominciò a poco a poco indi a levarse,

come suol far la peregrina grue,

che corre prima, e poi vediamo alzarse

100 alla terra vicina un braccio o due;

e quando tutte sono all’aria sparse,

velocissime mostra l’ale sue.

Sì ad alto il negromante batte l’ale,

ch’a tanta altezza a pena aquila sale.


50

105 Quando gli parve poi, volse il destriero,

che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,

come casca dal ciel falcon maniero

che levar veggia l’anitra o il colombo.

Con la lancia arrestata il cavalliero

110 l’aria fendendo vien d’orribil rombo.

Gradasso a pena del calar s’avete,

che se lo sente addosso e che lo fiete.


51

Sopra Gradasso il mago l’asta roppe;

ferì Gradasso il vento e l’aria vana:

115 per questo il volator non interroppe

il batter l’ale, e quindi s’allontana.

Il grave scontro fa chinar le groppe

sul verde prato alla gagliarda alfana.

Gradasso avea una alfana, la più bella

120 e la miglior che mai portasse sella.


52

Sin alle stelle il volator trascorse;

indi girossi e tornò in fretta al basso,

e percosse Ruggier che non s’accorse,

Ruggier che tutto intento era a Gradasso.

125 Ruggier del grave colpo si distorse,

e ’l suo destrier più rinculò d’un passo:

e quando si voltò per lui ferire,

da sé lontano il vide al ciel salire.


53

Or su Gradasso, or su Ruggier percote

130 ne la fronte, nel petto e ne la schiena,

e le botte di quei lascia ognor vòte,

perché è sì presto, che si vede a pena.

Girando va con spaziose rote,

e quando all’uno accenna, all’altro mena:

135 all’uno e all’altro sì gli occhi abbarbaglia,

che non ponno veder donde gli assaglia.


54

Fra duo guerrieri in terra et uno in cielo

la battaglia durò sin a quella ora,

che spiegando pel mondo oscuro velo,

140 tutte le belle cose discolora.

Fu quel ch’io dico, e non v’aggiungo un pelo:

io ’l vidi, i’ ’l so; né m’assicuro ancora

di dirlo altrui; che questa maraviglia

al falso più ch’al ver si rassimiglia.


55

145 D’un bel drappo di seta avea coperto

lo scudo in braccio il cavallier celeste.

Come avesse, non so, tanto sofferto

di tenerlo nascosto in quella veste;

ch’immantinente che lo mostra aperto,

150 forza è, chi ’l mira, abbarbagliato reste,

e cada come corpo morto cade,

e venga al negromante in potestade.


56

Splende lo scudo a guisa di piropo,

e luce altra non è tanto lucente.

155 Cadere in terra allo splendor fu d’uopo

con gli occhi abbacinati, e senza mente.

Perdei da lungi anch’io li sensi, e dopo

gran spazio mi riebbi finalmente;

né più i guerrier né più vidi quel nano,

160 ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.


57

Pensai per questo che l’incantatore

avesse amendui colti a un tratto insieme,

e tolto per virtù de lo splendore

la libertade a loro, e a me la speme.

165 Così a quel loco, che chiudea il mio core,

dissi, partendo, le parole estreme.

Or giudicate s’altra pena ria,

che causi Amor, può pareggiar la mia».

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Questo episodio rappresenta uno dei momenti fondamentali della storia d’amore tra Bradamante e Ruggiero, che è a sua volta uno dei filoni narrativi principali del poema. La guerriera cristiana ascolta il racconto di Pinabello, il quale dice di essere stato a capo di fanti e cavalieri, mentre si recava dove Carlo Magno attendeva re Marsilio. In quel tragitto incontra un misterioso personaggio che – in groppa a un cavallo alato, l’ippogrifo – gli rapisce la donna amata. Abbandonati i soldati che guidava, si mette a cercare la fanciulla, finché, dopo sei giorni di cammino, giunge in una valle selvaggia, al centro della quale si erge su una roccia uno straordinario castello, che – lo si apprenderà in seguito – è il palazzo del mago Atlante.

Lo sconforto di Pinabello viene temporaneamente attenuato dall’arrivo di due cavalieri, Gradasso e Ruggiero, i quali accolgono la sua richiesta di aiuto, decidendo di sfidare in combattimento Atlante. Ma non hanno fatto i conti con le arti soprannaturali del mago e con la sproporzione di forze che lo avvantaggia: in sella all’ippogrifo e dotato di uno scudo magico capace di abbagliare gli avversari, Atlante ha buon gioco a evitare i colpi dei due nemici, che finiscono per avere la peggio.

Entra così a pieno titolo nel poema – con il mago e i suoi incantesimi – l’elemento magico e meraviglioso, che diventa anch’esso pretesto per nuove avventure, «partecipando dello stesso tono fiabesco delle altre vicende, e come esse è continuamente ricondotto a semplici e schietti sentimenti umani: l’amore trepido e gentile di Bradamante, quello paterno e patetico del mago, il quale sa che a nulla serviranno i suoi incantesimi contro il destino, e tuttavia non sa né vuole rassegnarsi ad esso» (Pazzaglia).

Lo scudo che acceca è invenzione di Ariosto, che sembra però essersi ispirato allo scudo donato a Perseo da Minerva, con cui l’eroe mitologico riuscì a sconfiggere Medusa. Questa era un mostro di aspetto orribile, con la testa cinta di serpenti, gli occhi scintillanti e lo sguardo che impietriva. Perseo le tagliò la testa mentre dormiva, servendosi dello scudo come di uno specchio per evitarne lo sguardo terribile. Forse qualche elemento è derivato anche, alla fantasia ariostesca, dal mito della testa di Medusa, che Perseo mostrava quando fosse utile (lo fece, per esempio, per pietrificare Atlante e liberare Andromeda, poi sua sposa), e che le arti figurative rappresentavano spesso sopra una corazza o su uno scudo.

 >> pagina 268

Le scelte stilistiche

In questo passo, come spesso accade nel poema, Ariosto è molto abile nel coniugare azione e descrizione. Quanto alla prima, sul piano narrativo è assai efficace la resa della fulmineità di movimenti con cui l’oscuro cavaliere rapisce a Pinabello la sua donna (ottava 38). La doppia similitudine ornitologica (prima con il falco che scende per colpire, v. 12; poi con il nibbio che sottrae il pulcino alla chioccia, vv. 17-20) evidenzia la rapace destrezza con cui la fanciulla viene presa. L’abilità del poeta nel descrivere luoghi e ambienti fantastici si coglie invece soprattutto nelle ottave 41-43, nelle quali si parla di una valle che appare quasi fuori dal mondo e di un palazzo dalle caratteristiche decisamente singolari. Tutto ciò ha l’effetto di destare nel lettore curiosità e meraviglia, che non verranno deluse dal prosieguo dell’azione, caratterizzato da un rapido susseguirsi di eventi.

Soffermiamoci ora su un’ottava in particolare, la 49, e specialmente su due versi: il primo (Cominciò a poco a poco indi a levarse, v. 97), ricco di iati e povero di accenti ritmici, con la sua lentezza intensifica l’attenzione del lettore; invece il sesto (velocissime mostra l’ale sue, v. 102), che peraltro segue altri versi ampi e dal ritmo disteso, grazie alla parola sdrucciola iniziale suona breve e rapido. È questo un significativo esempio di armonia rappresentativa, cioè della raffinata capacità dell’autore di calibrare la ritmica dei versi in funzione di quanto viene narrato, per esempio alternando – come avviene nel nostro caso – rallentamenti e accelerazioni della scansione metrica in relazione ai movimenti e ai gesti dei personaggi. L’ottava si conclude poi con «altri due versi, abbondanti, solenni: sembra, dopo quel rapidissimo innalzarsi, di veder girare, lassù, a larghe e lente ruote, cavallo e negromante. L’ottava ne risulta conclusa in maniera magistrale» (Nardi).

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Chi è il personaggio incontrato da Pinabello in groppa al cavallo alato?


2 Quale perdita rattrista e angoscia Pinabello?


3 Come viene descritto il castello? Quali sono le sue caratteristiche?


4 Che cosa chiede Pinabello a Gradasso e Ruggiero?


5 Chi è il cavalliero del v. 109?


6 In cosa non riesce Gradasso all’ottava 51?


7 Qual è la speme di cui parla Pinabello al v. 164?


8 Come finisce il combattimento tra Atlante e i due cavalieri?

Analizzare

9 Il brano presenta anche una tematica amorosa, con qualche nota elegiaca, di tipo patetico, in relazione ai sentimenti manifestati da Pinabello nei confronti dell’amata. Individua alcune espressioni dove compare tale tema.


10 Quale figura retorica troviamo al v. 154 (luce… lucente)?

  • a Poliptoto 
  • b Figura etimologica 
  • c Iperbato 
  • d Anastrofe 


11 Quale figura retorica si può individuare al v. 164 (la libertade a loro, e a me la speme)?

  • a Anacoluto 
  • b Sineddoche 
  • c Chiasmo 
  • d Metafora 

Interpretare

12 Secondo te, a quale scopo viene introdotta dal­l’autore la serie sinonimica strana, inusitata e nuova (v. 75)?

SVILUPPARE IL LESSICO

13 Associa a ogni termine di registro aulico presente nel testo un corrispondente di registro medio diverso da quello indicato in nota.


poggiare

 

ripe

 

suffumigi

 

peregrina

 

drappo

 

rettore

 

lustrare

 

forbito

 

negromante

 

potestade

 

vestigie

 

industri

 

Il magnifico viaggio - volume 2
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Il Quattrocento e il Cinquecento