Gli argomenti e la visione ideologica
I temi
Le donne e l’amore sono argomenti centrali del poema. Il sentimento amoroso si manifesta come attrazione verso la bellezza femminile: le forme del corpo, i colori dell’incarnato, la luminosità degli occhi. Ariosto non vede nella donna un elemento di perfezionamento morale o spirituale; piuttosto egli enfatizza gli aspetti immediati e naturali del fenomeno amoroso: la passione, il turbamento, la dolcezza, il dolore, la gelosia. Ma l’amore, come si vede nella vicenda di Orlando, è al tempo stesso fonte di pazzia, intesa come cedimento agli istinti e abbandono della ragione.
Il personaggio di Angelica, che con la sua fuga apre il poema, è l’emblema del desiderio inseguito e mai raggiunto; è la donna, sensuale e maliziosa, che rifiuta di unirsi a eroi come Orlando e Rinaldo, preferendo l’amore di Medoro, un povero fante di «oscura stirpe».
Accanto all’amore, temi cari al poeta sono l’amicizia e la cortesia, qualità di cui nelle sue alterne vicende fa mostra il protagonista Orlando. Anche il paladino cristiano Rinaldo si comporta come un cavaliere generoso, un vendicatore di ingiustizie sempre pronto ad accorrere in aiuto dei più deboli.
L’Orlando furioso illustra i differenti caratteri e sentimenti degli uomini, i vizi e le virtù, la forza e la debolezza, il rapporto con la fortuna e il destino. Ariosto, pur all’interno di vicende spesso fantastiche, rivela una grande capacità di analisi dell’animo umano, e nei confronti degli errori e delle debolezze dei suoi personaggi mantiene un atteggiamento di sorridente indulgenza.
Oltre la nostalgia del mondo cavalleresco
Basterebbe il primo, celeberrimo verso del poema per indicare il sistema di valori su cui si fonda l’intera poetica di Ariosto: «Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori». Attraverso un chiasmo sono unite le due tematiche, quella amorosa («donne» e «amori») e quella epica («cavallier» e «arme»). Con l’enunciazione dei temi centrali dell’opera, l’autore dichiara indirettamente i valori in cui crede e anche la loro gerarchia: le donne e gli amori incorniciano, per così dire, la materia militare, che in realtà nel poema ariostesco è tutto sommato secondaria. Al centro dell’universo ideologico di Ariosto si collocano infatti i sentimenti privati, molto più che gli ideali collettivi, come quelli dell’identità religiosa e della guerra ingaggiata per difenderla.
Del resto, laddove Boiardo aveva espresso una visione quasi nostalgica del mondo cavalleresco, Ariosto è ormai un autore completamente immerso nel Rinascimento, che vede con ironico distacco il mondo dei paladini al servizio del re e della religione: essi, lungi dall’essere i valorosi eroi tramandati dalla tradizione, spesso si rivelano semplicemente umani e in balìa dei loro difetti e delle loro passioni.
Tale chiave ironica, che si manifesta attraverso il gusto dell’abbassamento, è costante in ogni situazione di una trama tanto ricca e variegata; è una sorta di lente attraverso la quale Ariosto legge le vicende che racconta, con la bonomia e il sorriso che gli sono tipici e che si rivelano anche nelle Satire. A volte questo atteggiamento emerge direttamente dagli stessi fatti narrati; altre volte, invece, è l’autore che si concede una pausa riflessiva in cui commentare gli accadimenti rivolgendosi direttamente al pubblico dei suoi lettori.
All’ironia va accostato, per l’analogo intento di demistificazione dei valori consolidati e di abbassamento di una materia tradizionalmente alta come quella cavalleresca, il ricorso da parte di Ariosto alla tecnica dello straniamento, un artificio basato su uno sguardo che introduce, seppure sempre indirettamente, elementi di critica nei confronti dei personaggi o delle situazioni oggetto di racconto. La realtà viene così rappresentata «da un’ottica completamente diversa rispetto a quella comune, creando uno scarto tra ciò che il lettore avverte come “strano” e ciò che avverte come “normale”» (Malvezzi).
Per esempio Sacripante – che, in quanto cavaliere, si dovrebbe presumere dedito a proteggere i più deboli – anziché preservare la verginità di Angelica cercherà subito di sedurla. Il poeta non si trattiene però dall’esprimere un certo scetticismo sull’illibatezza della fanciulla: «Forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore» (I, ott. 56, vv. 1-2). In tal modo invita chi legge a guardare oltre le apparenze e a osservare la realtà prescindendo dai luoghi comuni e dalle opinioni infondate.
D’altronde, l’interpretazione degli eventi umani è affidata esclusivamente all’intelligenza e alla perspicacia dell’individuo: privo di una salda coscienza religiosa, Ariosto esclude ogni intervento provvidenziale. Le vicende si svolgono tutte, per così dire, su un piano terreno (eccezion fatta per l’ascesa di Astolfo alla Luna), il che sottolinea la centralità, anzi l’esclusività, della dimensione immanente. Se l’assenza di un fine ultimo priva i paladini di un punto di arrivo trascendente e definitivo, costringendoli a continui cambi di direzione, consente, d’altra parte, la loro libertà. Ma la libertà è anche un rischio, perché, quando diventa assoluta, può portare alla schiavitù delle passioni e degli istinti.
È tipico, quindi, vedere un cavaliere (magari impegnato in un duello con il nemico) che si distrae al passaggio di Angelica e abbandona le armi per intraprendere l’ennesimo inseguimento. Ed è altrettanto frequente veder prevalere la logica terrena su quella trascendente: nel poema Dio è lontano, non negato né discusso, ma semplicemente assente. I personaggi non si muovono per rispondere a un progetto divino, ma spinti soltanto dalle passioni, dagli istinti e dall’amore per la vita.
A tale proposito appare significativa la salita di Astolfo sulla Luna per recuperare il senno smarrito da Orlando. Come detto, tale salita, lungi dal rappresentare un movimento di tensione verso l’alto e verso la sede della verità, appare soltanto come una sorta di viaggio fantastico (non a caso Astolfo si muove a cavallo di esseri immaginari, magici destrieri alati) verso il mondo “alla rovescia” rappresentato dalla Luna, che contiene tutto ciò che, di umano, è stato smarrito sulla Terra.
Quello del poema ariostesco è dunque un universo laico, basato su una visione del mondo non più teocentrica (cioè con Dio al centro, come accadeva nel Medioevo), bensì antropocentrica (ovverosia con al centro l’uomo, padrone di sé e della propria esistenza, sebbene sottoposto a mille rischi e insidie).
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento