La terza satira – scritta nella primavera del 1518 e dedicata al cugino Annibale Malaguzzi – offre un primo bilancio del passaggio di Ariosto al servizio del duca Alfonso I d’Este, signore di Ferrara. Il poeta confessa che, se potesse, farebbe a meno anche del nuovo incarico, il quale tuttavia gli spiace meno di quello precedente, alle dipendenze del cardinale Ippolito (fratello di Alfonso), giacché ora gli viene lasciato tempo sufficiente per dedicarsi all’otium letterario. L’autore preferisce infatti una vita tranquilla a casa propria, che il servizio presso Alfonso gli consente, rispetto a quella movimentata, lontano dalla sua città, che gli sarebbe toccata se avesse seguito Ippolito.
T3 - In casa mia mi sa meglio una rapa
T3
In casa mia mi sa meglio una rapa
Satire, III, 34-81
Non si adatta una sella o un basto solo
35 ad ogni dosso; ad un non par che l’abbia,
all’altro stringe e preme e gli dà duolo.
Mal può durar il rosignuolo in gabbia,
più vi sta il gardelino, e più il fanello;
la rondine in un dì vi mor di rabbia.
40 Chi brama onor di sprone o di capello,
serva re, duca, cardinale o papa;
io no, che poco curo questo e quello.
In casa mia mi sa meglio una rapa
ch’io cuoca, e cotta s’un stecco me inforco,
45 e mondo, e spargo poi di acetto e sapa,
che all’altrui mensa tordo, starna o porco
selvaggio; e così sotto una vil coltre,
come di seta o d’oro, ben mi corco.
E più mi piace di posar le poltre
50 membra, che di vantarle che alli Sciti
sien state, agli Indi, alli Etiopi, et oltre.
Degli uomini son varii li appetiti:
a chi piace la chierca, a chi la spada,
a chi la patria, a chi li strani liti.
55 Chi vuole andare a torno, a torno vada:
vegga Inghelterra, Ongheria, Francia e Spagna;
a me piace abitar la mia contrada.
Visto ho Toscana, Lombardia, Romagna,
quel monte che divide e quel che serra
60 Italia, e un mare e l’altro che la bagna.
Questo mi basta; il resto de la terra,
senza mai pagar l’oste, andrò cercando
con Ptolomeo, sia il mondo in pace o in guerra;
e tutto il mar, senza far voti quando
65 lampeggi il ciel, sicuro in su le carte
verrò, più che sui legni, volteggiando.
Il servigio del Duca, da ogni parte
che ci sia buona, più mi piace in questa:
che dal nido natio raro si parte.
70 Per questo i studi miei poco molesta,
né mi toglie onde mai tutto partire
non posso, perché il cor sempre ci resta.
Parmi vederti qui ridere e dire
che non amor di patria né de studi,
75 ma di donna è cagion che non voglio ire.
Liberamente te ’l confesso: or chiudi
la bocca, che a difender la bugia
non volli prender mai spada né scudi.
Del mio star qui qual la cagion si sia,
80 io ci sto volentier; ora nessuno
abbia a cor più di me la cura mia.
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
Il poeta preferisce accontentarsi di una rapa cotta, ma a casa propria, piuttosto che ambire alle ricche mense di corti lontane. Egli rifiuta gli onori e gli incarichi mondani (onor di sprone o di capello, v. 40), non solo perché ne conosce la sostanziale vanità, ma anche perché sa che essi si portano dietro conseguenze negative, come la perdita della libertà personale e della tranquillità dell’animo. Ariosto detesta tanto l’idea di viaggiare che sceglie piuttosto di poltrire a casa, evitando così i pericoli della navigazione.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 In che cosa consiste l’ideale di vita espresso dall’autore?
2 Quale tipo di viaggio il poeta afferma di essere disposto a compiere?
Analizzare
3 Il brano è giocato sulla figura dell’antitesi. Dove emerge per esempio? E quale concetto veicola?
4 Al v. 53 troviamo il vocabolo chierca per indicare la condizione di ecclesiastico. Di quale figura retorica si tratta?
Interpretare
5 Quale immagine della corte emerge, indirettamente, in controluce, a partire dall’ideale di vita tracciato da Ariosto? Rispondi facendo riferimento anche al T2, p. 213.
Il magnifico viaggio - volume 2
Il Quattrocento e il Cinquecento