Rime, commedie ed epistolario

Rime, commedie ed epistolario

Negli anni giovanili l’impegno letterario di Ariosto si tradusse soprattutto nella scrittura di rime in latino, risalenti principalmente al decennio 1494-1503 e mai raccolte e sistemate in modo organico. Si tratta di una settantina di componimenti scritti ispirandosi ai grandi poeti latini, da Orazio a Ovidio, da Catullo a Properzio. L’autore vi dispiega una grande varietà di temi e motivi, non senza espliciti riferimenti a situazioni e personaggi della corte con cui intrattiene rapporti di amicizia.

Di maggiore interesse sono le rime in volgare, composte in un lungo arco di tempo, tra il 1494 e il 1527, e raccolte postume nel 1546 dopo aver circolato a lungo in edizioni clandestine e piratesche. Sono per lo più liriche d’amore, nelle quali il modello petrarchesco è vivificato da un accento di freschezza e di gioia: molte sono dedicate ad Alessandra Benucci, la donna amata dal poeta a partire dal 1513, e presentano perfino riferimenti precisi e quotidiani (per esempio, il suo taglio di capelli durante una malattia). Ciò tuttavia non deve indurre nell’errore di considerarle come lo specchio di una vicenda biografica: le liriche di Ariosto, come tutti i versi nati in un contesto cortigiano, vanno lette soprattutto come un raffinato gioco di società, fondato sulla misura, sulla condivisione e sullo scambio colloquiale.

Ariosto è autore di 5 commedie. Le prime due, La Cassaria (1508) e I Suppositi (1509), sono in prosa; le restanti, Il Negromante (1520), La Lena (1528), I Studenti (rimasta incompiuta) sono invece in endecasillabi sciolti. Si tratta di opere influenzate chiaramente del modello fornito dal commediografo latino Plauto: vi si susseguono astuzie, inganni, peripezie e tutti i consueti meccanismi del malinteso, oltre all’immancabile conflitto fra giovani, desiderosi di soddisfare i propri desideri amorosi, e vecchi, che tentano di ostacolarli.

Questa produzione per le scene rientra nell’attività cortigiana di Ariosto, che sovrintende alle rappresentazioni anche come regista e scenografo. L’amore per lo spettacolo classico era infatti assai vivo a Ferrara, la cui corte chiese ad Ariosto anche questo tributo, peraltro a lui non sgradito. Nelle commedie, la società rinascimentale è l’oggetto di un’analisi e di un commento sorridenti, pacati, talora moraleggianti.

Di Ariosto ci sono rimaste anche 214 lettere di un epistolario certamente più ampio. Nate da contingenze e necessità pratiche, esse aprono squarci sulla vita privata del poeta, risultando utili nella ricostruzione dei suoi servizi pubblici (soprattutto del commissariato garfagnino), e offrono alcune informazioni sulla composizione delle opere.

Si tratta di un opuscolo uscito postumo nel 1545, della cui paternità ariostesca, peraltro, non tutti gli studiosi sono persuasi. È un’opera singolare, una sorta di divertissement che disegna una gustosa caricatura dei medici del tempo. L’erbolato è una torta d’erbe di cui un medico un po’ ciarlatano decanta le portentose virtù terapeutiche.

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