T6 - Andreuccio da Perugia

T6

Andreuccio da Perugia

Decameron, II, 5

Narrata da Fiammetta, la novella di Andreuccio ci riporta a una Napoli tutta popolare, quella dei bassifondi, in cui un giovane e sprovveduto mercante di cavalli rischia persino la vita, prima di riuscire a cavarsi d’impaccio.

Andreuccio da Perugia, venuto a Napoli a comperar cavalli, in una notte da tre gravi 
accidenti soprapreso,1 da tutti scampato con un rubino si torna a casa sua.
[…]
Fu, secondo che io già intesi, in Perugia un giovane il cui nome era Andreuccio di 
Pietro, cozzone2 di cavalli; il quale, avendo inteso che a Napoli era buon mercato 
5      di cavalli, messisi in borsa cinquecento fiorin d’oro, non essendo mai più3 fuori di 
casa stato, con altri mercatanti là se n’andò: dove giunto una domenica sera in sul 
vespro, dall’oste suo informato la seguente mattina fu in sul Mercato, e molti4 ne 
vide e assai ne gli piacquero e di più e più mercato tenne,5 né di niuno potendosi 
accordare, per mostrare che per comperar fosse,6 sì come rozzo e poco cauto più 
10    volte in presenza di chi andava e di chi veniva trasse fuori questa sua borsa de’ 
fiorini che aveva.
E in questi trattati7 stando, avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne che 
una giovane ciciliana8 bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacere a 
qualunque uomo,9 senza vederla egli,10 passò appresso di lui e la sua borsa vide e 
15    subito seco disse: «Chi starebbe meglio di me se quegli denari fosser miei?» e 
passò oltre. Era con questa giovane una vecchia similmente ciciliana, la quale, come 
vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamente corse a abbracciarlo: 
il che la giovane veggendo, senza dire alcuna cosa, da una delle parti11 la 
cominciò a attendere. Andreuccio, alla vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran 
20    festa, e promettendogli essa di venire a lui all’albergo, senza quivi tenere troppo 
lungo  sermone,12 si partì: e Andreuccio si tornò a mercatare ma niente comperò la 
mattina. La giovane, che prima la borsa d’Andreuccio e poi la contezza13 della sua 
vecchia con lui aveva veduta, per tentare se modo alcuno trovar potesse a dovere 
aver quelli denari, o tutti o parte, cautamente incominciò a domandare chi colui 
25    fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse. La quale ogni cosa così 
particularmente de’ fatti d’Andreuccio le disse come avrebbe per poco14 detto egli 
stesso, sì come colei che lungamente in Cicilia col padre di lui e poi a Perugia 
dimorata era, e similmente le contò dove tornasse15 e perché venuto fosse.
La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de’ nomi, al suo 
30    appetito fornire con una sottil malizia, sopra questo fondò la sua intenzione;16
a casa tornatasi, mise la vecchia in faccenda17 per tutto il giorno acciò che18
Andreuccio non potesse tornare; e presa una sua fanticella,19 la quale essa assai bene 
a così fatti servigi aveva ammaestrata, in sul vespro la mandò all’albergo dove 
Andreuccio tornava.
35    La qual, quivi venuta, per ventura lui medesimo e solo trovò in su la porta e di 
lui stesso il domandò. Alla quale dicendole egli che era desso,20 essa, tiratolo da 
parte, disse: «Messere, una gentil donna di questa terra,21 quando vi piacesse, vi 
parleria volentieri». Il quale vedendola, tutto postosi mente e, parendogli essere 
un bel fante della persona,22 s’avvisò23 questa donna dover di lui essere innamorata, 
40    quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli,24 e prestamente 
rispose che era apparecchiato25 e domandolla dove e quando questa donna parlar 
gli volesse.
A cui la fanticella rispose: «Messere, quando di venir vi piaccia, ella v’attende 
in casa sua».
45    Andreuccio presto,26 senza alcuna cosa dir nell’albergo, disse: «Or via mettiti 
avanti, io ti verrò appresso».
Laonde27 la fanticella a casa di costei il condusse, la quale dimorava in una contrada 
chiamata Malpertugio,28 la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo 
il dimostra. Ma esso, niente di ciò sappiendo né suspicando, credendosi in uno 
50    onestissimo luogo andare e a una cara donna, liberamente, andata la fanticella avanti, se 
n’entrò nella sua casa; e salendo su per le scale, avendo la fanticella già la sua donna 
chiamata e detto «Ecco Andreuccio», la vide in capo della scala farsi a aspettarlo.
Ella era ancora assai giovane, di persona grande29 e con bellissimo viso, vestita 
e ornata assai orrevolemente;30 alla quale come Andreuccio fu presso, essa 
55    incontrogli da tre gradi discese31 con le braccia aperte, e avvinghiatogli il collo alquanto 
stette senza alcuna cosa dire, quasi da soperchia tenerezza impedita; poi lagrimando 
gli basciò la fronte e con voce alquanto rotta disse: «O Andreuccio mio, tu sii 
il ben venuto!».
Esso, maravigliandosi di così tenere carezze, tutto stupefatto rispose: «Madonna, 
60    voi siate la ben trovata!».
Ella appresso, per la man presolo, suso nella sua sala il menò e di quella, senza 
alcuna altra cosa parlare, con lui nella sua camera se n’entrò, la quale di rose, di 
fiori d’aranci e d’altri odori tutta oliva,32 là dove egli un bellissimo letto incortinato33 
e molte robe su per le stanghe,34 secondo il costume di là, e altri assai belli 
65    e ricchi arnesi35 vide; per le quali cose, sì come nuovo,36 fermamente credette lei 
dovere essere non men che gran donna.
E postisi a sedere insieme sopra una cassa che appiè del suo letto era, così gli 
cominciò a parlare: «Andreuccio, io sono molto certa che tu ti maravigli e delle 
carezze le quali io ti fo e delle mie lagrime, sì come colui che non mi conosci e per 
70    avventura mai ricordar non m’udisti.37 Ma tu udirai tosto cosa la quale più ti farà 
forse maravigliare, sì come è38 che io sia tua sorella; e dicoti che, poi che Idio m’ha 
fatta tanta grazia che io anzi la mia morte39 ho veduto alcuno40 de’ miei fratelli, 
come che41 io disideri di vedervi tutti, io non morrò a quella ora che io consolata 
non muoia. E se tu forse questo mai più non udisti, io tel vo’42 dire. Pietro, mio 
75    padre e tuo, come io credo che tu abbi potuto sapere, dimorò lungamente in 
Palermo, e per la sua bontà e piacevolezza vi fu e è ancora da quegli che il conobbero 
amato assai. Ma tra gli altri che molto l’amarono, mia madre, che gentil43 donna 
fu e allora era vedova, fu quella che più l’amò, tanto che, posta giù44 la paura 
del padre e de’ fratelli e il suo onore, in tal guisa con lui si dimesticò,45 che io ne 
80    nacqui e sonne46 qual tu mi vedi. Poi, sopravenuta cagione a Pietro di partirsi di 
Palermo e tornare in Perugia, me con la mia madre piccola fanciulla lasciò, né 
mai, per quello che io sentissi, più né di me né di lei si ricordò: di che io, se mio 
padre stato non fosse, forte il riprenderei47 avendo riguardo48 alla ingratitudine 
di lui verso mia madre mostrata (lasciamo stare allo amore che a me come a sua 
85    figliuola non nata d’una fante49 né di vil femina50 dovea portare), la quale le sue 
cose e sé parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse,51 da fedelissimo amor 
mossa rimise52 nelle sue mani. Ma che è?53 Le cose mal fatte e di gran tempo 
passate sono troppo più agevoli a riprendere che a  emendare:54 la cosa andò pur55 
così. Egli mi lasciò piccola fanciulla in Palermo, dove, cresciuta quasi come io mi 
90    sono,56 mia madre, che ricca donna era, mi diede per moglie a uno da Gergenti,57 
gentile uomo e da bene,58 il quale per amor di mia madre e di me tornò a stare59 
in Palermo; e quivi, come colui che è molto guelfo,60 cominciò a avere alcuno 
trattato col nostro re Carlo.61 Il quale, sentito dal re Federigo prima che dare gli si 
potesse effetto, fu cagione di farci fuggire di Cicilia62 quando io aspettava essere 
95    la maggior cavalleressa63 che mai in quella isola fosse; donde, prese quelle poche 
cose che prender potemmo (poche dico per rispetto64 alle molte le quali avavamo), 
lasciate le terre e li palazzi, in questa terra ne rifuggimmo, dove il re Carlo 
verso di noi trovammo sì grato che, ristoratici in parte li danni65 li quali per lui 
ricevuti avavamo, e possessioni66 e case ci ha date, e dà continuamente al mio 
100  marito, e tuo cognato che è, buona provisione,67 sì come tu potrai ancor vedere. E 
in questa maniera son qui, dove io, la buona mercé di Dio e non tua,68 fratel mio 
dolce, ti veggio».
E così detto, da capo il rabbracciò e ancora teneramente lagrimando gli basciò 
la fronte.
105  Andreuccio, udendo questa favola così ordinatamente, così compostamente69 
detta da costei, alla quale in niuno atto moriva la parola tra’ denti né balbettava 
la lingua, e ricordandosi esser vero che il padre era stato in Palermo e per se 
medesimo de’ giovani conoscendo i costumi, che volentieri amano nella giovanezza, 
e veggendo le tenere lagrime, gli abbracciari e gli onesti basci, ebbe ciò che ella 
110  diceva più che per vero: e poscia70 che ella tacque, le rispose: «Madonna, egli non 
vi dee parer gran cosa71 se io mi maraviglio: per ciò che nel vero,72 o che mio padre, 
per che che egli sel facesse,73 di vostra madre e di voi non ragionasse giammai, o 
che, se egli ne ragionò, a mia notizia venuto non sia, io per me niuna conscienza 
aveva di voi se non come se non foste;74 e èmmi75 tanto più caro l’avervi qui mia 
115  sorella trovata, quanto io ci76 sono più solo e meno questo sperava. E nel vero io 
non conosco uomo di sì alto affare77 al quale voi non doveste esser cara, non che a 
me78 che un picciolo mercatante sono. Ma d’una cosa vi priego mi facciate chiaro: 
come sapeste voi che io qui fossi?».
Al quale ella rispose: «Questa mattina mel fé sapere una povera femina la qual 
120  molto meco si ritiene,79 per ciò che con nostro padre, per quello che ella mi dica, 
lungamente e in Palermo e in Perugia stette; e se non fosse che più onesta cosa mi 
parea che tu a me venissi in casa tua che io a te nell’altrui, egli ha gran pezza che 
io a te venuta sarei».80
Appresso queste parole ella cominciò distintamente a domandare di tutti i suoi 
125  parenti nominatamente,81 alla quale di tutti Andreuccio rispose, per questo ancora 
più credendo quello che meno di creder gli bisognava.82
Essendo stati i ragionamenti lunghi e il caldo grande, ella fece venire greco e 
confetti83 e fé dar bere a Andreuccio; il quale dopo questo partir volendosi, per 
ciò che ora di cena era, in niuna guisa il sostenne,84 ma sembiante fatto di forte 
130  turbarsi85 abbracciandol disse: «Ahi lassa me, ché assai chiaro conosco come io 
ti sia poco cara! Che è a pensare che tu sii con una tua sorella mai più da te non 
veduta, e in casa sua, dove, qui venendo, smontato esser dovresti, e vogli di quella 
uscire per andare a cenare all’albergo? Di vero tu cenerai con esso meco: e perché 
mio marito non ci sia,86 di che forte mi grava,87 io ti saprò bene secondo88 donna 
135  fare un poco d’onore».
Alla quale Andreuccio, non sappiendo altro che rispondersi, disse: «Io v’ho 
cara quanto sorella si dee avere, ma se io non ne vado, io sarò tutta sera aspettato 
a cena e farò villania».89
E ella allora disse: «Lodato sia Idio, se io non ho in casa per cui90 mandare a 
140  dire che tu non sii aspettato! benché tu faresti assai maggior cortesia, e tuo dovere, 
mandare a dire a’ tuoi compagni che qui venissero a cenare, e poi, se pure andare 
te ne volessi, ve ne potresti tutti andar di brigata».91
Andreuccio rispose che de’ suoi compagni non volea quella sera, ma, poi che 
pure a grado l’era,92 di lui facesse il piacer suo. Ella allora fé vista93 di mandare 
145  a dire all’albergo che egli non fosse atteso a cena; e poi, dopo molti altri 
ragionamenti, postisi a cena e splendidamente di più vivande serviti, astutamente 
quella menò per lunga94 infino alla notte obscura; e essendo da tavola levati e 
Andreuccio partir volendosi, ella disse che ciò in niuna guisa sofferrebbe,95 per 
ciò che Napoli non era terra da andarvi per entro di notte, e massimamente96 un 
150  forestiere; e che come che egli a cena non fosse atteso aveva mandato a dire, così 
aveva dello albergo fatto il somigliante.97 Egli, questo credendo e dilettandogli, 
da falsa credenza98 ingannato, d’esser con costei, stette.99 Furono adunque dopo 
cena i ragionamenti molti e lunghi non senza cagione100 tenuti; e essendo della 
notte una parte passata, ella, lasciato Andreuccio a dormire nella sua camera con 
155  un piccol fanciullo che gli mostrasse se egli volesse nulla, con le sue femine in 
un’altra camera se n’andò.
Era il caldo grande: per la qual cosa Andreuccio, veggendosi solo rimaso, 
subitamente si spogliò in farsetto101 e trassesi i panni di gamba102 e al capo del letto 
gli si103 pose; e richiedendo il naturale uso di dovere diporre il superfluo peso 
160  del ventre,104 dove ciò si facesse domandò quel fanciullo, il quale nell’uno de’ 
canti della camera gli mostrò uno uscio e disse: «Andate là entro». Andreuccio 
dentro sicuramente passato, gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, 
la quale dalla contraposta parte era sconfitta dal travicello sopra il quale era,105 
per la qual cosa capolevando106 questa tavola con lui insieme se n’andò quindi 
165  giuso:107 e di tanto l’amò Idio, che niuno male si fece nella caduta, quantunque 
alquanto cadesse da alto, ma tutto della bruttura,108 della quale il luogo era pieno, 
s’imbrattò. Il quale luogo, acciò che meglio intendiate e quello che è detto e 
ciò che segue, come stesse vi mostrerò. Egli era in un chiassetto109 stretto, come 
spesso tra due case veggiamo: sopra due travicelli, tra l’una casa e l’altra posti, 
170  alcune tavole eran confitte e il luogo da seder posto, delle quali tavole quella che 
con lui cadde era l’una.
Ritrovandosi adunque là giù nel chiassetto Andreuccio, dolente del caso,110 
cominciò a chiamare il fanciullo; ma il fanciullo, come sentito l’ebbe cadere, così 
corse a dirlo alla donna. La quale, corsa alla sua camera, prestamente cercò se i 
175  suoi panni v’erano; e trovati i panni e con essi i denari, li quali esso non fidandosi 
mattamente111 sempre portava addosso, avendo quello a che ella di Palermo, 
sirocchia d’un perugin faccendosi, aveva teso il lacciuolo,112 più di lui non curandosi 
prestamente andò a chiuder l’uscio del quale egli era uscito quando cadde.
Andreuccio, non rispondendogli il fanciullo, cominciò più forte a chiamare: 
180  ma ciò era niente.113 Per che egli, già sospettando e tardi dello inganno 
cominciandosi a accorgere, salito sopra un muretto che quello chiassolino dalla strada 
chiudea e nella via disceso, all’uscio della casa, il quale egli molto ben riconobbe, 
se n’andò, e quivi invano lungamente chiamò e molto il dimenò114 e percosse. Di 
che egli piagnendo, come colui che chiara vedea la sua disaventura, cominciò a 
185  dire: «Oimè lasso, in come piccol tempo ho io perduti cinquecento fiorini e una 
sorella!».
E dopo molte altre parole, da capo cominciò a battere l’uscio e a gridare; e tanto 
fece così, che molti de’ circunstanti vicini, desti, non potendo la noia sofferire,115 si 
levarono; e una delle servigiali116 della donna, in vista tutta sonnocchiosa,117 fattasi 
190  alla finestra proverbiosamente118 disse: «Chi picchia là giù?».
«Oh!», disse Andreuccio, «o non mi conosci tu? Io sono Andreuccio, fratello di 
madama Fiordaliso».
Al quale ella rispose: «Buono uomo, se tu hai troppo bevuto, va dormi119
tornerai domattina; io non so che Andreuccio né che ciance son quelle che tu di’;120 
195  va in buona ora121 e lasciaci dormir, se ti piace».122
«Come» disse Andreuccio «non sai che io mi dico? Certo sì sai; ma se pur son 
così fatti i parentadi di Cicilia, che in sì piccol termine si dimentichino, rendimi 
almeno i panni miei, li quali lasciati v’ho, e io m’andrò volentier con Dio».
Al quale ella quasi ridendo disse: «Buono uomo, e’ mi par che tu sogni», e il dir 
200  questo e il tornarsi dentro e chiuder la finestra fu una cosa.
Di che Andreuccio, già certissimo de’ suoi danni, quasi per doglia fu presso123
convertire in rabbia la sua grande ira, e per ingiuria124 propose di rivolere125 quello 
che per parole riaver non potea; per che da capo, presa una gran pietra, con troppi 
maggior colpi che prima fieramente cominciò a percuoter la porta. La qual cosa 
205  molti de’ vicini avanti destisi e levatisi, credendo lui essere alcuno spiacevole126 il 
quale queste parole fingesse per noiare127 quella buona femina, recatosi a noia il 
picchiare il quale egli faceva,128 fattisi alle finestre, non altramenti che a un can 
forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso, cominciarono a dire: «Questa 
è una gran villania a venire a questa ora a casa le129 buone femine e dire queste 
ciance; deh! va con Dio, buono uomo; lasciaci dormir, se ti piace; e se tu hai nulla 
210  a far con lei, tornerai domane, e non ci dar questa seccaggine130 stanotte».
Dalle quali parole forse assicurato131 uno che dentro dalla casa era,  ruffiano132 
della buona femina, il quale egli né veduto né sentito avea, si fece alle finestre e 
con una boce grossa, orribile e fiera disse: «Chi è laggiù?».
215  Andreuccio, a quella voce levata la testa, vide uno il quale, per quel poco che 
comprender poté, mostrava di dovere essere un gran bacalare,133 con una barba 
nera e folta al volto, e come se del letto o da alto sonno si levasse sbadigliava e 
stropicciavasi gli occhi: a cui egli, non senza paura, rispose: «Io sono un fratello 
della donna di là entro».
220  Ma colui non aspettò che Andreuccio finisse la risposta, anzi più rigido assai 
che prima disse: «Io non so a che io mi tegno134 che io non vegno là giù, e deati135 
tante bastonate quante io ti vegga muovere,136 asino fastidioso e ebriaco che tu dei 
essere, che questa notte non ci lascerai dormire persona»; e tornatosi dentro serrò 
la finestra.
225  Alcuni de’ vicini, che meglio conoscieno la condizion di colui, umilmente137 
parlando a Andreuccio dissero: «Per Dio, buono uomo, vatti con Dio, non volere 
stanotte essere ucciso costì: vattene per lo tuo migliore».138
Laonde Andreuccio, spaventato dalla voce di colui e dalla vista e sospinto da’ 
conforti139 di coloro li quali gli pareva che da carità mossi parlassero, doloroso 
230  quanto mai alcuno altro e de’ suoi denar disperato,140 verso quella parte onde il 
dì aveva la fanticella seguita, senza saper dove s’andasse, prese la via per tornarsi 
all’albergo. E a se medesimo dispiacendo per lo puzzo che a lui di lui veniva, 
disideroso di volgersi al mare per lavarsi, si torse a man sinistra e su per una 
via chiamata la Ruga Catalana141 si mise. E verso l’alto della città andando, per 
235  ventura davanti si vide due che verso di lui con una lanterna in mano venieno, li 
quali temendo non fosser della famiglia della corte142 o altri uomini a mal far 
disposti, per fuggirli, in un casolare, il qual si vide vicino, pianamente ricoverò.143 
Ma costoro, quasi come a quello proprio luogo inviati144 andassero, in quel 
medesimo casolare se n’entrarono; e quivi l’un di loro, scaricati certi ferramenti che 
240  in collo avea,145 con l’altro insieme gl’incominciò a guardare, varie cose sopra 
quegli ragionando.
E mentre parlavano, disse l’uno: «Che vuol dir questo? Io sento il maggior puzzo 
che mai mi paresse sentire»; e questo detto, alzata alquanto la lanterna, ebber 
veduto il cattivel d’Andreuccio,146 e stupefatti domandar: «Chi è là?».
245  Andreuccio taceva, ma essi avvicinatiglisi con lume il domandarono che quivi 
così brutto147 facesse: alli quali Andreuccio ciò che avvenuto gli era narrò interamente. 
Costoro, imaginando dove ciò gli potesse essere avvenuto, dissero fra sé: 
«Veramente in casa lo scarabone Buttafuoco fia stato questo».148
E a lui rivolti, disse l’uno: «Buono uomo, come che149 tu abbi perduti i tuoi 
250  denari, tu hai molto a lodare Idio che quel caso ti venne che tu cadesti né potesti 
poi in casa rientrare: per ciò che, se caduto non fossi, vivi sicuro che, come prima 
adormentato ti fossi, saresti stato amazzato e co’ denari avresti la persona150 
perduta. Ma che giova oggimai151 di piagnere? Tu ne potresti così riavere un denaio 
come avere delle stelle del cielo:152 ucciso ne potrai tu bene essere, se colui sente 
255  che tu mai ne facci parola».153
E detto questo, consigliatisi alquanto, gli dissero: «Vedi, a noi è presa compassion 
di te: e per ciò, dove tu vogli con noi essere a fare alcuna cosa la quale a fare 
andiamo, egli ci pare esser molto certi che in parte ti toccherà il valere di troppo 
più che perduto non hai».154
260  Andreuccio, sì come disperato, rispuose ch’era presto.155
Era quel dì sepellito uno arcivescovo di Napoli, chiamato messer Filippo 
Minutolo,156 e era stato sepellito con ricchissimi ornamenti e con un rubino in dito 
il quale valeva oltre a cinquecento fiorin d’oro, il quale costoro volevano andare a 
spogliare; e così a Andreuccio fecer veduto.157
265  Laonde Andreuccio, più cupido che consigliato,158 con loro si mise in via; e 
andando verso la chiesa maggiore,159 e Andreuccio putendo160 forte, disse l’uno: 
«Non potremmo noi trovar modo che costui si lavasse un poco dove che sia, che 
egli non putisse così fieramente?».161
Disse l’altro: «Sì, noi siam qui presso a un pozzo al quale suole sempre esser la 
270  carrucola e un gran secchione; andianne là e laverenlo spacciatamente».162
Giunti a questo pozzo trovarono che la fune v’era ma il secchione n’era stato 
levato: per che insieme diliberarono di legarlo alla fune e di collarlo163 nel pozzo, 
e egli là giù si lavasse e, come lavato fosse, crollasse164 la fune e essi il tirerebber 
suso; e così fecero.
275  Avvenne che, avendol costor nel pozzo collato, alcuni della famiglia della 
signoria,165 li quali e per lo caldo e perché corsi erano dietro a alcuno avendo sete, 
a quel pozzo venieno a bere: li quali come quegli due videro, incontanente166 
cominciarono a fuggire, li famigliari che quivi venivano a bere non avendogli veduti. 
Essendo già nel fondo del pozzo Andreuccio lavato, dimenò la fune. Costoro 
280  assetati, posti giù lor tavolacci167 e loro armi e lor gonnelle,168 cominciarono la 
fune a tirare credendo a quella il secchion pien d’acqua essere appicato.169 Come 
Andreuccio si vide alla sponda del pozzo vicino, così, lasciata la fune, con le mani 
si gittò sopra quella. La qual cosa costor vedendo, da subita paura presi, senza
altro dir lasciaron la fune e cominciarono quanto più poterono a fuggire: di che 
285  Andreuccio si maravigliò forte, e se egli non si fosse bene attenuto,170 egli sarebbe 
infin nel fondo caduto forse non senza suo gran danno o morte; ma pure uscitone 
e queste arme trovate, le quali egli sapeva che i suoi compagni non avean portate, 
ancora più s’incominciò a maravigliare.
Ma dubitando e non sappiendo che, della sua fortuna dolendosi, senza alcuna 
290  cosa toccar quindi diliberò di partirsi:171 e andava senza saper dove. Così 
andando si venne scontrato172 in que’ due suoi compagni, li quali a trarlo del 
pozzo venivano; e come il videro, maravigliandosi forte, il domandarono chi del 
pozzo l’avesse tratto. Andreuccio rispose che non sapea, e loro ordinatamente 
disse come era avvenuto e quello che trovato aveva fuori del pozzo. Di che 
295  costoro, avvisatisi come stato era,173 ridendo gli contarono perché s’eran fuggiti e 
chi stati eran coloro che sù l’avean tirato. E senza più parole fare, essendo già 
mezzanotte, n’andarono alla chiesa maggiore, e in quella assai leggiermente174 
entrarono e furono all’arca,175 la quale era di marmo e molto grande; e con lor 
ferro il coperchio, ch’era gravissimo,176 sollevaron tanto quanto uno uomo vi 
300  potesse entrare, e puntellaronlo.
E fatto questo, cominciò l’uno a dire: «Chi entrerà dentro?».
A cui l’altro rispose: «Non io».
«Né io» disse colui «ma entrivi Andreuccio».
«Questo non farò io» disse Andreuccio.
305  Verso il quale ammenduni177 costoro rivolti dissero: «Come non v’enterrai? In 
fé di Dio, se tu non v’entri, noi ti darem tante d’uno178 di questi pali di ferro sopra 
la testa, che noi ti farem cader morto».
Andreuccio temendo v’entrò, e entrandovi pensò seco: «Costoro mi ci fanno 
entrare per ingannarmi, per ciò che, come io avrò loro ogni cosa dato, mentre 
310  che io penerò a uscir dall’arca, essi se ne andranno pe’ fatti loro e io rimarrò 
senza cosa alcuna». E per ciò s’avisò di farsi innanzi tratto179 la parte sua; e 
ricordatosi del caro180 anello che aveva loro udito dire, come fu giù disceso così 
di dito il trasse all’arcivescovo e miselo a sé; e poi dato il pasturale e la mitra e’ 
guanti181 e spogliatolo infino alla camiscia, ogni cosa diè loro dicendo che più 
315  niente v’avea.182 Costoro, affermando che esser vi doveva l’anello, gli dissero che 
cercasse per tutto: ma esso, rispondendo che nol trovava e sembiante faccendo 
di cercarne, alquanto gli tenne in aspettare. Costoro che d’altra parte eran sì 
come lui maliziosi, dicendo pur che ben cercasse, preso tempo, tiraron via il 
puntello che il coperchio dell’arca sostenea, e fuggendosi lui dentro dall’arca 
320  lasciaron racchiuso. La qual cosa sentendo Andreuccio, quale egli allor divenisse183 
ciascun sel può pensare.
Egli tentò più volte e col capo e con le spalle se alzare potesse il coperchio, 
ma invano si faticava: per che da grave dolor vinto, venendo meno cadde sopra il 
morto corpo dell’arcivescovo; e chi allora veduti gli avesse malagevolmente 
325  avrebbe conosciuto chi più si fosse morto, o l’arcivescovo o egli. Ma poi che in sé fu 
ritornato, dirottissimamente cominciò a piagnere, veggendosi quivi senza dubbio 
all’un de’ due fini dover pervenire: o in quella arca, non venendovi alcuni più a 
aprirla, di fame e di puzzo tra’ vermini del morto corpo convenirlo morire,184
vegnendovi alcuni e trovandovi lui dentro, sì come ladro dovere essere appiccato.185
330  E in così fatti pensieri e doloroso molto stando, sentì per la chiesa andar genti 
e parlar molte persone, le quali, sì come gli avvisava,186 quello andavano a fare che 
esso co’ suoi compagni avean già fatto: di che la paura gli crebbe forte. Ma poi che 
costoro ebbero l’arca aperta e puntellata, in quistion caddero chi vi dovesse entrare, 
e niuno il voleva fare; pur dopo lunga tencione187 un prete disse: «Che paura 
335  avete voi? credete voi che egli vi manuchi?188 Li morti non mangian gli uomini: io 
v’entrerò dentro io». E così detto, posto il petto sopra l’orlo dell’arca, volse il capo 
in fuori e dentro mandò le gambe per doversi giuso calare. Andreuccio, questo 
vedendo, in piè levatosi prese il prete per l’una delle gambe e fé sembiante189 di 
volerlo giù tirare. La qual cosa sentendo il prete mise uno strido grandissimo e 
340  presto dell’arca si gittò fuori; della qual cosa tutti gli altri spaventati, lasciata l’arca 
aperta, non altramente a fuggir cominciarono che se da centomilia diavoli fosser 
perseguitati.
La qual cosa veggendo Andreuccio, lieto oltre a quello che sperava, subito si 
gittò fuori e per quella via onde era venuto se ne uscì della chiesa; e già 
345  avvicinandosi al giorno, con quello anello in dito andando all’avventura, pervenne alla 
marina e quindi al suo albergo si abbatté;190 dove li suoi compagni e l’albergatore 
trovò tutta la notte stati in sollecitudine de’ fatti suoi.191 A’ quali ciò che avvenuto 
gli era raccontato, parve per lo consiglio dell’oste loro che costui incontanente si 
dovesse di Napoli partire; la qual cosa egli fece prestamente e a Perugia tornossi, 
350  avendo il suo192 investito in uno anello, dove per comperare cavalli era andato.

 >> pagina 599 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

È questa una delle novelle più lunghe dell’intero Decameron (ma è anche un testo straor­dinariamente compatto dal punto di vista narrativo: il tutto si svolge nello spazio di poche ore). È inoltre senza dubbio una delle più riuscite, per la varietà dei fatti raccontati, per l’incisività dei caratteri dei personaggi, per la sottile indagine psicologica delle motivazioni che muovono il loro agire. Soprattutto efficace è lo studio dei personaggi, abilmente rappresentati in azione e fissati con rapidi e nitidi tratti. Esemplare in questo senso è la figura del protagonista, Andreuccio: mai uscito dalla sua Perugia, inconcludente negli affari, incauto e un po’ sbruffone nel mostrare in pubblico il proprio denaro, credulone nei confronti di una bella donna (assai astuta, come dimostra la finissima abilità con cui tesse il suo discorso ad Andreuccio per convincerlo di essere sua sorella) e insieme presuntuoso (all’inizio crede di essere corteggiato da lei).

 >> pagina 600

In questa novella Boccaccio raffigura la goffaggine e la dabbenaggine stupefatta di un giovane provinciale capitato all’improvviso in un ambiente di cinica delinquenza, uno scenario molto più grande di lui. L’ingenuità di Andreuccio è sottolineata più volte da diverse espressioni della voce narrante: non essendo mai più fuori di casa stato (rr. 5-6); sì come rozzo e poco cauto (r. 9); s’avvisò questa donna dover di lui essere innamorata, quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli (rr. 39-40); niente di ciò sappiendo né suspicando (r. 49); sì come nuovo (r. 65); per questo ancora più credendo quello che meno di creder gli bisognava (rr. 125-126); da falsa credenza ingannato (r. 152); mattamente (r. 176); più cupido che consigliato (r. 265). La novella sembrerebbe così inserirsi a prima vista nella serie di quelle in cui campeggiano gli ingenui e gli sciocchi beffati. Tuttavia, a ben guardare, Andreuccio ha dalla sua più di una giustificazione: effettivamente sono eccezionali le circostanze nelle quali si trova coinvolto e, soprattutto, alla fine di quella particolarissima giornata sembra avere imparato la lezione. Nell’ultimo episodio di cui è protagonista, quello del furto nella tomba dell’arcivescovo, il personaggio manifesta astuzia e scaltrezza quando decide, prima di tutto, di tenere per sé il pezzo più prezioso, l’anello.
Insomma, Andreuccio non è uno sciocco, ma solo un inesperto: «che però, via via, scaltrisce l’ingegno» (Russo). Si tratta, in altre parole, di un personaggio dinamico, che cambia nel corso della storia. Potremmo perciò leggere la novella anche come un racconto di formazione: una vicenda in cui il protagonista apprende qualcosa e alla fine è diverso da come era all’inizio. Per giungere a questo risultato Andreuccio deve passare attraverso una serie di prove, utili a completare il processo di iniziazione alla vita matura: in tal senso possono essere interpretate le diverse cadute o discese (nel chiassetto, nel pozzo, nella tomba), che diventano altrettanti momenti in cui il personaggio è chiamato a mettere in campo le proprie risorse per superare le difficoltà che gli si presentano.
Le vicende in cui Andreuccio viene a trovarsi sono determinate anche dal caso o dalla fortuna, che inizialmente si pone quale antagonista del giovane: per caso Andreuccio precipita nel chiassetto (se si fosse addormentato in casa della siciliana, forse sarebbe stato addirittura ucciso); per caso incontra i due ladri che lo portano con sé; per caso, una volta in preda alla disperazione trovandosi chiuso nel sarcofago, sopraggiunge un’altra banda di criminali, grazie ai quali riuscirà a liberarsi. Nell’economia narrativa della novella, la fortuna sembra che si diverta a creare incontri e situazioni, in un continuo avvicendarsi di cadute e risalite. Ma è poi il personaggio che riuscirà a piegare il disegno della fortuna a proprio vantaggio, attraverso l’astuzia che nel frattempo ha sviluppato.
Le scelte stilistiche

Come abbiamo detto, quella di Andreuccio è una delle novelle più mosse e romanzesche del Decameron. Non a caso è ambientata a Napoli, dove Boccaccio aveva trascorso gli anni spensierati della gioventù. In questa novella egli mostra una conoscenza di prima mano dei luoghi della città, che qui sono soprattutto quelli meno nobili e più plebei, i quartieri del malaffare e della criminalità: una Napoli notturna e labirintica. La città partenopea non si pone qui «come un semplice sfondo, ma diventa un principio di azione, un elemento dinamico della novella» (Getto). Il realismo della novella è sottolineato, oltre che dal rigore toponomastico (i nomi dei luoghi citati nella novella corrispondono a quelli della Napoli trecentesca), anche da alcuni precisi dati storici, come il riferimento al re Carlo II d’Angiò, alla guerra tra Angioini e Aragonesi e allo stesso arcivescovo Minutolo, morto nel 1301, anno in cui evidentemente si immaginano svolgersi i fatti raccontati.

L’interesse dell’autore è tutto indirizzato al dipanarsi della vicenda, al suo continuo diramarsi e complicarsi (sino al lieto fine risolutore), mantenendo, dall’inizio alla fine, un serrato ritmo narrativo, senza che ci sia mai alcun giudizio morale sui personaggi e sulle loro azioni. Su tali caratteristiche della narrazione si fonda quello che Benedetto Croce ha chiamato «lo spirito realistico e comico insieme» di Boccaccio.

 >> pagina 601

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Riassumi la novella in circa 20 righe, soffermandoti in particolare sui seguenti punti.

– Da quale imprudenza prende avvio la vicenda di Andreuccio?

 Perché Andreuccio finisce nel chiassetto?

– Perché cade nel pozzo?

– Perché entra nell’arca?


2 Attraverso quale invenzione la giovane siciliana convince Andreuccio che è sua sorella?


3 Perché i due ladri con cui Andreuccio è andato a svaligiare la tomba dell’arcivescovo alla fine lo chiudono nel sarcofago?

ANALIZZARE

4 La frase quasi altro bel giovane che egli non si trovasse allora in Napoli (r. 40) è espressa dal punto di vista

  • a di Andreuccio. 
  • b del narratore. 
  • c della fanticella
  • d della giovane siciliana.


5 Nella frase una contrada chiamata Malpertugio, la quale quanto sia onesta contrada il nome medesimo il dimostra (rr. 47-49) il tono è

  • a referenziale 
  • b ironico 
  • c parodico 
  • d metaforico 


6 Alle rr. 207-208 la frase non altramenti che a un can forestiere tutti quegli della contrada abbaiano adosso dà luogo a una

  • a metafora 
  • b similitudine 
  • c sineddoche 
  • d anastrofe 

INTERPRETARE

7 Nel discorso della siciliana come spieghi l’affermazione che la sua gentil madre per amare Pietro (il padre di Andreuccio, che è – stando alle sue affermazioni – anche il suo) dovette superare la paura del padre e de’ fratelli e il suo onore (rr. 78-79)?


8 Perché alla r. 122, parlando ad Andreuccio, la siciliana indica la propria casa come casa tua?


9 Alle rr. 201-202 leggiamo a proposito di Andreuccio che egli capisce di essere stato ingannato dalla siciliana: quasi per doglia fu presso a convertire in rabbia la sua grande ira. Attraverso un’opportuna definizione, prova a distinguere, per significato e intensità concettuale, questi due sostantivi – rabbia e ira – che comunemente sono ritenuti sinonimi.


10 Spiega nel dettaglio come siano stati sapientemente rappresentati i diversi caratteri dei personaggi, principali e secondari, della novella.

SCRIVERE PER...

esporre

11 Consultando gli archivi online dei principali quotidiani, cerca un caso di cronaca in cui una disavventura si sia risolta bene. Riassumila e confrontala con il caso di Andreuccio in un testo espositivo di circa 30 righe.

ARGOMENTARE

12 Per il successo nella vita contano più l’intelligenza e le qualità personali oppure la fortuna? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe, riflettendo anche su casi che conosci direttamente o indirettamente.

Il magnifico viaggio - volume 1
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Dalle origini al Trecento