T5 - Ser Ciappelletto

T5

Ser Ciappelletto

Decameron, I, 1

La prima novella della raccolta ci presenta un personaggio le cui caratteristiche negative vengono enfatizzate e portate all’estremo, sino a un punto di non ritorno. Si tratta di Ciappelletto, il piggiore uomo forse che mai nascesse.

Ser Cepparello con una falsa confessione inganna un santo frate e muorsi; e, essendo stato 
un pessimo uomo in vita, è morto reputato per santo e chiamato san Ciappelletto.
[…]
Ragionasi adunque che essendo Musciatto Franzesi1 di ricchissimo e gran 
mercatante in Francia cavalier divenuto2 e dovendone in Toscana venire con messer 
5      Carlo Senzaterra,3 fratello del re di Francia, da papa Bonifazio addomandato e 
al venir promosso,4 sentendo egli li fatti suoi, sì come le più volte son quegli de’ 
mercatanti, molto intralciati in qua e in là e non potersi di leggiere né subitamente 
stralciare,5 pensò quegli commettere6 a più persone e a tutti trovò modo: fuor 
solamente in dubbio gli rimase cui lasciar potesse sofficiente al riscuoter suoi crediti 
10    fatti a più borgognoni.7 E la cagione del dubbio era il sentire8 li borgognoni uomini 
riottosi e di mala condizione e misleali;9 e a lui non andava per la memoria chi 
tanto malvagio uom fosse, in cui egli potesse alcuna fidanza avere,10 che opporre 
alla loro malvagità si potesse. E sopra questa essaminazione pensando lungamente 
stato,11 gli venne a memoria un ser Cepparello da Prato,12 il quale molto alla sua 
15    casa in Parigi si riparava;13 il quale, per ciò che14 piccolo di persona era e molto 
assettatuzzo,15 non sappiendo li franceschi che si volesse dir16 Cepparello, credendo 
che “cappello”, cioè “ghirlanda” secondo il lor volgare a dir venisse,17 per ciò 
che piccolo era come dicemmo, non Ciappello ma Ciappelletto18 il chiamavano: 
e per Ciappelletto era conosciuto per tutto,19 là dove20 pochi per ser Cepperello il 
20    conoscieno.21
Era questo Ciappelletto di questa vita:22 egli, essendo notaio, avea grandissima 
vergogna quando uno de’ suoi strumenti, come che pochi ne facesse, fosse altro 
che falso trovato;23 de’ quali tanti avrebbe fatti di quanti fosse stato richesto, e 
quegli più volentieri in dono che alcuno altro grandemente salariato.24 Testimonianze 
25    false con sommo diletto diceva, richesto e non richesto; e dandosi a quei 
tempi in Francia a’ saramenti grandissima fede,25 non curandosi fargli falsi, tante 
quistioni malvagiamente vincea a quante a giurare di dire il vero sopra la sua 
fede era chiamato.26 Aveva oltre modo piacere, e forte vi studiava,27 in commettere28 
tra amici e parenti e qualunque altra persona mali e inimicizie e scandali, 
30    de’ quali quanto maggiori mali vedeva seguire tanto più d’allegrezza prendea.29 
Invitato a30 uno omicidio o a qualunque altra rea cosa,31 senza negarlo mai, 
volonterosamente v’andava, e più volte a fedire32 e a uccidere uomini con le proprie 
mani si ritrovò volentieri. Bestemmiatore di Dio e de’ Santi era grandissimo, e per 
ogni piccola cosa, sì come colui che più che alcuno altro era iracundo. A chiesa 
35    non usava33 giammai, e i sacramenti di quella tutti come vil cosa con abominevoli 
parole scherniva; e così in contrario le taverne e gli altri disonesti luoghi 
visitava volentieri e usavagli.34 Delle femine era così vago come sono i cani de’ 
bastoni;35 del contrario più che alcuno altro tristo uomo si dilettava.36 Imbolato 
avrebbe e rubato con quella coscienza che un santo uomo offerrebbe.37 Gulosissimo 
40    e bevitor grande, tanto che alcuna volta sconciamente gli facea noia.38 Giucatore 
e mettitore di malvagi dadi era solenne.39 Perché mi distendo io in tante 
parole? egli era il piggiore uomo forse che mai nascesse. La cui malizia lungo 
tempo sostenne la potenzia e lo stato di messer Musciatto, per cui molte volte e 
dalle private persone, alle quali assai sovente faceva iniuria, e dalla corte, a cui 
45    tuttavia la facea, fu riguardato.40
Venuto adunque questo ser Cepparello nell’animo a messer Musciatto, il quale 
ottimamente41 la sua vita conosceva, si pensò il detto messer Musciatto costui 
dovere esser tale quale la malvagità de’ borgognoni il richiedea; e perciò, fattolsi 
chiamare,42 gli disse così: «Ser Ciapelletto, come tu sai, io sono per ritrarmi del 
50    tutto di qui: e avendo tra gli altri a fare co’ borgognoni, uomini pieni d’inganni, 
non so cui43 io mi44 possa lasciare a riscuotere il mio45 da loro più convenevole46 
di te. E perciò, con ciò sia cosa che tu niente facci al presente,47 ove a questo vogli 
intendere,48 io intendo di farti avere il favore della corte49 e di donarti quella parte 
di ciò che tu riscoterai che convenevole50 sia».
55    Ser Ciappelletto, che scioperato51 si vedea e male agiato delle cose del mondo52
lui ne vedeva andare che suo sostegno e ritegno era lungamente stato,53 senza niuno 
indugio e quasi da necessità costretto si diliberò,54 e disse che volea volentieri. Per 
che, convenutisi insieme,55 ricevuta ser Ciappelletto la procura56 e le lettere favorevoli 
del re, partitosi messer Musciatto, n’andò in Borgogna dove quasi niuno il 
60    conoscea: e quivi fuori di sua natura57 benignamente e mansuetamente cominciò a 
voler riscuotere e fare quello per che andato v’era, quasi si riserbasse l’adirarsi al da sezzo.58 
E così faccendo, riparandosi59 in casa di due fratelli fiorentini, li quali quivi 
a usura prestavano e lui per amor di messer Musciatto onoravano molto, avvenne 
che egli infermò. Al quale i due fratelli fecero prestamente venir medici e fanti60 
65    che il servissero e ogni cosa oportuna alla sua santà61 racquistare. Ma ogni aiuto 
era nullo, per ciò che il buono uomo, il quale già era vecchio e disordinatamente 
vivuto, secondo che i medici dicevano, andava di giorno in giorno di male in peggio 
come colui che aveva il male della morte; di che li due fratelli si dolevan forte.
E un giorno, assai vicini della camera nella quale ser Ciappelletto giaceva 
70    infermo, seco medesimo cominciarono a ragionare. «Che farem noi», diceva l’uno 
all’altro «di costui? Noi abbiamo de’ fatti suoi pessimo partito alle mani:62 per ciò 
che il mandarlo fuori di casa nostra così infermo ne sarebbe gran biasimo e segno 
manifesto di poco senno,63 veggendo la gente che noi l’avessimo ricevuto prima e 
poi fatto servire e medicare così sollecitamente, e ora, senza potere egli aver fatta 
75    cosa alcuna che dispiacer ci debbia, così subitamente di casa nostra e infermo a 
morte vederlo mandar fuori. D’altra parte, egli è stato sì malvagio uomo, che egli 
non si vorrà confessare né prendere alcuno sagramento della Chiesa; e, morendo 
senza confessione, niuna chiesa vorrà il suo corpo ricevere, anzi sarà gittato a’ fossi 
a guisa d’un cane. E, se egli si pur confessa, i peccati suoi son tanti e sì orribili, 
80    che il simigliante n’averrà,64 per ciò che frate né prete ci sarà che ’l voglia né possa 
assolvere: per che, non assoluto, anche sarà gittato a’ fossi. E se questo avviene, il 
popolo di questa terra,65 il quale sì per lo mestier nostro,66 il quale loro pare 
iniquissimo e tutto il giorno ne dicon male, e sì per la volontà che hanno di rubarci, 
veggendo ciò si leverà a romore67 e griderà: “Questi lombardi68 cani, li quali a 
85    chiesa non sono voluti ricevere, non ci si voglion più sostenere”;69 e correrannoci 
alle case e per avventura non solamente l’avere ci ruberanno ma forse ci torranno 
oltre a ciò le persone: di che noi in ogni guisa stiam male70 se costui muore».
Ser Ciappelletto, il quale, come dicemmo, presso giacea là dove costoro così 
ragionavano, avendo l’udire sottile, sì come le più volte veggiamo aver gl’infermi,71 
90    udì ciò che costoro di lui dicevano; li quali egli si fece chiamare e disse loro: «Io 
non voglio che voi d’alcuna cosa di me dubitiate né abbiate paura di ricevere per 
me alcun danno. Io ho inteso ciò che di me ragionato avete e son certissimo che 
così n’averrebbe come voi dite, dove così andasse la bisogna come avvisate:72 ma 
ella andrà altramenti. Io ho, vivendo, tante ingiurie fatte a Domenedio, che, per 
95    farnegli io una ora in su la mia morte, né più né meno ne farà;73 e per ciò 
procacciate di farmi venire un santo e valente frate, il più74 che aver potete, se alcun 
ce n’è; e lasciate fare a me, ché fermamente io acconcerò75 i fatti vostri e’ miei in 
maniera che starà bene e che dovrete esser contenti».
I due fratelli, come che molta speranza non prendessono di questo,76 nondimeno 
100  se n’andarono a una religione77 di frati e domandarono alcuno santo 
e savio uomo che udisse la confessione d’un lombardo che in casa loro era 
infermo; e fu lor dato un frate antico78 di santa e di buona vita e gran maestro 
in Iscrittura79 e molto venerabile uomo, nel quale tutti i cittadini grandissima 
e speziale divozione aveano, e lui menarono.80 Il quale, giunto nella camera 
105  dove ser Ciappelletto giacea e allato postoglisi a sedere, prima benignamente il 
cominciò a confortare, e appresso il domandò quanto tempo era che egli altra 
volta confessato si fosse.
Al quale ser Ciappelletto, che mai confessato non s’era, rispose: «Padre mio, 
la mia usanza suole essere di confessarsi ogni settimana almeno una volta, senza 
110  che81 assai sono di quelle che io mi confesso più; è il vero che poi che io infermai, 
che son passati da otto dì, io non mi confessai tanta è stata la noia82 che la 
infermità m’ha data».
Disse allora il frate: «Figliuol mio, bene hai fatto, e così si vuol fare per innanzi;83 
e veggio che, poi sì spesso ti confessi, poca fatica avrò d’udire o di dimandare».
115  Disse ser Ciappelletto: «Messer lo frate, non dite così: io non mi confessai mai 
tante volte né sì spesso, che io sempre non mi volessi confessare generalmente84 
di tutti i miei peccati che io mi ricordassi dal dì che io nacqui infino a quello che 
confessato mi sono; e per ciò vi priego, padre mio buono, che così puntalmente 
d’ogni cosa mi domandiate come se mai confessato non mi fossi; e non mi 
120  riguardate85 perché io infermo sia, ché io amo molto meglio di dispiacere a queste 
mie carni che, faccendo agio loro, io facessi cosa che potesse essere perdizione 
dell’anima mia,86 la quale il mio Salvatore ricomperò87 col suo prezioso sangue».
Queste parole piacquero molto al santo uomo e parvongli argomento88 di 
bene disposta mente: e poi che a ser Ciappelletto ebbe molto commendato questa 
125  sua usanza,89 il cominciò a domandare se egli mai in lussuria con alcuna femina 
peccato avesse.
Al quale ser Ciappelletto sospirando rispose: «Padre mio, di questa parte mi 
vergogno io di dirvene il vero temendo di non90 peccare in vanagloria».
Al quale il santo frate disse: «Di’ sicuramente,91 ché il vero dicendo né in 
130  confessione né in altro atto si peccò giammai».
Disse allora ser Ciappelletto: «Poiché voi di questo mi fate sicuro, e io il vi dirò: 
io son così vergine come io usci’ del corpo della mamma mia».
«Oh, benedetto sia tu da Dio!», disse il frate, «come bene hai fatto! e, faccendolo, 
hai tanto più meritato, quanto, volendo, avevi più d’arbitrio92 di fare il contrario 
135  che non abbiam noi e qualunque altri son quegli che sotto alcuna regola son 
constretti».93
E appresso questo il domandò se nel peccato della gola aveva a Dio dispiaciuto. 
Al quale, sospirando forte, ser Ciappelletto rispose di sì e molte volte; per ciò 
che, con ciò fosse cosa che94 egli, oltre alli digiuni delle quaresime che nell’anno 
140  si fanno dalle divote persone, ogni settimana almeno tre dì fosse uso di digiunare 
in pane e in acqua, con quello diletto e con quello appetito l’acqua bevuta aveva, 
e spezialmente quando avesse alcuna fatica durata95 o adorando96 o andando in 
pellegrinaggio, che fanno i gran bevitori il vino; e molte volte aveva disiderato 
d’avere cotali insalatuzze d’erbucce, come le donne fanno quando vanno in villa,97
145  alcuna volta gli era paruto migliore il mangiare che non pareva a lui che dovesse 
parere a chi digiuna per divozione, come digiunava egli.
Al quale il frate disse: «Figliuol mio, questi peccati sono naturali e sono assai 
leggieri, e per ciò io non voglio che tu ne gravi più la coscienza tua che bisogni.98 
A ogni uomo avviene, quantunque santissimo sia, il parergli dopo lungo digiuno 
150  buono il manicare99 e dopo la fatica il bere».100
«Oh!», disse ser Ciappelletto, «padre mio, non mi dite questo per confortarmi: 
ben sapete che io so che le cose che al servigio di Dio si fanno, si deono fare 
tutte nettamente101 e senza alcuna ruggine102 d’animo: e chiunque altramenti fa, 
pecca».
155  Il frate contentissimo disse: «E io son contento che così ti cappia nell’animo103 
e piacemi forte la tua pura e buona conscienza in ciò. Ma dimmi: in avarizia hai 
tu peccato disiderando più che il convenevole o tenendo quello che tu tener non 
dovesti?».104
Al quale ser Ciappelletto disse: «Padre mio, io non vorrei che voi guardasti 
160  perché105 io sia in casa di questi usurieri: io non ci ho a far nulla,106 anzi ci era 
venuto107 per dovergli ammonire e gastigare108 e torgli da questo abominevole 
guadagno;109 e credo mi sarebbe venuto fatto,110 se Idio non m’avesse così visitato.111 
Ma voi dovete sapere che mio padre mi lasciò ricco uomo, del cui avere, come egli 
fu morto, diedi la maggior parte per Dio;112 e poi, per sostentar la vita mia e per 
165  potere aiutare i poveri di Cristo, ho fatte mie piccole mercatantie113 e in quelle ho 
disiderato di guadagnare. E sempre co’ poveri di Dio, quello che guadagnato ho, 
ho partito per mezzo,114 la mia metà convertendo ne’ miei bisogni,115 l’altra metà 
dando loro: e di ciò m’ha sì bene il mio Creatore aiutato, che io ho sempre di bene 
in meglio fatti i fatti miei».116
170  «Bene hai fatto», disse il frate, «ma come ti se’ tu spesso adirato?».
«Oh!», disse ser Ciappelletto, «cotesto vi dico io bene che io ho molto spesso 
fatto; e chi se ne potrebbe tenere,117 veggendo tutto il dì gli uomini fare le sconce118 
cose, non servare119 i comandamenti di Dio, non temere i suoi giudicii?120 
Egli sono state assai volte il dì che io vorrei121 più tosto essere stato morto che 
175  vivo, veggendo i giovani andar dietro alle vanità e udendogli giurare e spergiurare, 
andare alle taverne, non visitar le chiese e seguir più tosto le vie del mondo 
che quella di Dio».
Disse allora il frate: «Figliuol mio, cotesta è buona ira, né io per me te ne saprei 
penitenza imporre; ma per alcun caso avrebbeti l’ira potuto inducere a fare alcuno 
180  omicidio o a dire villania a persona o a fare alcuna altra ingiuria?».
A cui ser Ciappelletto rispose: «Oimè, messere, o voi mi parete uomo di Dio: 
come dite voi coteste parole? o s’io avessi avuto pure un pensieruzzo di fare 
qualunque s’è l’una delle cose che voi dite, credete voi che io creda che Idio m’avesse 
tanto sostenuto? Coteste son cose da farle gli  scherani e i rei uomini,122 de’ quali 
185  qualunque ora io n’ho mai veduto alcuno, sempre ho detto: “Va, che Idio ti 
converta”».
Allora disse il frate: «Or mi di’, figliuol mio, che benedetto sie tu da Dio: hai 
tu mai testimonianza niuna falsa detta contra alcuno o detto male d’altrui o tolte 
dell’altrui cose senza piacere123 di colui di cui sono?».
190  «Mai messer sì»,124 rispose ser Ciappelletto, «che io ho detto male d’altrui; per 
ciò che io ebbi già125 un mio vicino che, al maggior torto del mondo,126 non faceva 
altro che batter la moglie, sì che io dissi una volta male di lui alli parenti della 
moglie, sì gran pietà mi venne di quella cattivella,127 la quale egli, ogni volta che 
bevuto avea troppo, conciava come Dio vel dica».128
195  Disse allora il frate: «Or bene, tu mi di’ che se’ stato mercatante: ingannasti tu 
mai persona così come fanno i mercatanti?».
«Gnaffé»,129 disse ser Ciappelletto, «messer sì, ma io non so chi egli si fu:130 se 
non che, uno avendomi recati denari che egli mi doveva dare di131 panno che io 
gli avea venduto e io messigli in una mia cassa senza annoverare,132 ivi bene a un 
200  mese133 trovai ch’egli erano quatro piccioli134 più che esser non doveano; per che, 
non rivedendo colui e avendogli serbati bene uno anno135 per rendergliele, io gli 
diedi per l’amor di Dio».136
Disse il frate: «Cotesta fu piccola cosa, e facesti bene a farne quello che ne facesti».
E, oltre a questo, il domandò il santo frate di molte altre cose, delle quali di 
205  tutte rispose a questo modo; e volendo egli già procedere alla absoluzione, disse 
ser Ciappelletto: «Messere, io ho ancora alcun137 peccato che io non v’ho detto».
Il frate il domandò quale; e egli disse: «Io mi ricordo che io feci al fante138 mio, 
un sabato dopo nona,139 spazzare la casa e non ebbi alla santa domenica quella 
reverenza che io dovea».
210  «Oh!», disse il frate, «figliuol mio, cotesta è leggier cosa».
«Non», disse ser Ciappelletto, «non dite leggier cosa, ché la domenica è troppo 
da onorare, però che in così fatto dì risuscitò da morte a vita il nostro Signore».
Disse allora il frate: «O, altro hai tu fatto?».
«Messer sì», rispose ser Ciappelletto, «ché io, non avvedendomene, sputai una 
215  volta nella chiesa di Dio».
Il frate cominciò a sorridere e disse: «Figliuol mio, cotesta non è cosa da curarsene: 
noi, che siamo religiosi, tutto il dì vi sputiamo».
Disse allora ser Ciappelletto: «E voi fate gran villania, per ciò che niuna cosa 
si convien tener netta come il santo tempio, nel quale si rende sacrificio a Dio».
220  E in brieve de’ così fatti ne gli disse molti; e ultimamente cominciò a sospirare 
e appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea.
Disse il santo frate: «Figliuol mio, che hai tu?».
Rispose ser Ciappelletto: «Oimè, messere, ché un peccato m’è rimaso, del quale 
io non mi confessai mai, sì gran vergogna ho di doverlo dire; e ogni volta che io 
225  me ne ricordo piango come voi vedete, e parmi esser molto certo che Idio mai non 
avrà misericordia di me per questo peccato».
Allora il santo frate disse: «Va via,140 figliuolo, che è ciò che tu di’? Se tutti i 
peccati che furon mai fatti da tutti gli uomini, o che si debbon fare141 da tutti gli 
uomini mentre che il mondo durerà, fosser tutti in uno uom solo, e egli ne fosse 
230  pentuto e contrito come io veggio te, si è tanta la benignità e la misericordia di 
Dio, che, confessandogli egli, gliele perdonerebbe liberamente:142 e per ciò dillo 
sicuramente».
Disse allora ser Ciappelletto sempre piagnendo forte: «Oimè, padre mio, il mio 
è troppo gran peccato, e appena posso credere, se i vostri prieghi non ci si 
235  adoperano, che egli mi debba mai da Dio esser perdonato».
A cui il frate disse: «Dillo sicuramente, ché io ti prometto di pregare Idio per te».
Ser Ciappelletto pur piagnea e nol dicea,143 e il frate pure il confortava a dire; 
ma poi che ser Ciappelletto piagnendo ebbe un grandissimo pezzo tenuto il frate 
così sospeso, e egli gittò un gran sospiro e disse: «Padre mio, poscia che144 voi 
240  mi promettete di pregare Idio per me, e io il vi dirò: sappiate che, quando io era 
piccolino, io bestemmiai145 una volta la mamma mia». E così detto rincominciò 
a piagner forte.
Disse il frate: «O figliuol mio, or parti146 questo così gran peccato? o147 gli 
uomini bestemmiano tutto il giorno Idio, e sì perdona Egli volentieri a chi si pente 
245  d’averlo bestemmiato; e tu non credi che Egli perdoni a te questo? Non piagner, 
confortati, ché fermamente, se tu fossi stato un di quegli che il posero in croce, 
avendo la contrizione che io ti veggio, sì ti perdonerebbe Egli».
Disse allora ser Ciappelletto: «Oimè, padre mio, che dite voi? la mamma mia 
dolce, che mi portò in corpo nove mesi il dì e la notte e portommi in collo148 più 
250  di cento volte! troppo feci male a bestemmiarla e troppo è gran peccato; e se voi 
non pregate Idio per me, egli149 non mi serà perdonato».
Veggendo il frate non essere altro restato a dire a ser Ciappelletto, gli fece 
l’absoluzione e diedegli la sua benedizione, avendolo per150 santissimo uomo, sì come 
colui che pienamente credeva esser vero ciò che ser Ciappelletto avea detto: e chi 
255  sarebbe colui che nol credesse, veggendo uno uomo in caso di morte dir così?
E poi, dopo tutto questo, gli disse: «Ser Ciappelletto, con l’aiuto di Dio voi sarete 
tosto151 sano; ma se pure avvenisse che Idio la vostra benedetta e ben disposta anima 
chiamasse a sé, piacevi egli152 che ’l vostro corpo sia sepellito al nostro luogo?».
Al quale ser Ciappelletto rispose: «Messer sì, anzi non vorrei io essere altrove, 
260  poscia che voi m’avete promesso di pregare Idio per me: senza che153 io ho avuta 
sempre spezial divozione al vostro Ordine.154 E per ciò vi priego che, come voi al 
vostro luogo155 sarete, facciate che a me vegna quel veracissimo corpo di Cristo 
il quale voi la mattina sopra l’altare consecrate; per ciò che, come che io degno 
non ne sia,156 io intendo con la vostra licenzia di prenderlo, e appresso la santa e 
265  ultima unzione, acciò che io, se vivuto son come peccatore, almeno muoia come 
cristiano».
Il santo uomo disse che molto gli piacea e che egli diceva bene, e farebbe che 
di presente157 gli sarebbe apportato;158 e così fu.
Li due fratelli, li quali dubitavan forte non ser Ciappelletto gl’ingannasse,159 
270  s’eran posti appresso a un tavolato,160 il quale la camera dove ser Ciappelletto 
giaceva dividea da un’altra, e ascoltando leggiermente161 udivano e intendevano ciò 
che ser Ciappelletto al frate diceva; e aveano alcuna volta sì gran voglia di ridere, 
udendo le cose le quali egli confessava d’aver fatte, che quasi scoppiavano: e fra sé 
talora dicevano: «Che uomo è costui, il quale né vecchiezza né infermità né paura 
275  di morte, alla qual si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi al giudicio del quale 
di qui a picciola ora s’aspetta di dovere essere, dalla sua malvagità l’hanno potuto 
rimuovere,162 né far che egli così non voglia morire come egli è vivuto?». Ma pur 
vedendo che sì aveva detto che egli sarebbe a sepoltura ricevuto in chiesa, niente 
del rimaso si curarono.163
280  Ser Ciappelletto poco appresso si comunicò: e peggiorando senza modo ebbe 
l’ultima unzione e poco passato vespro, quel dì stesso che la buona confessione 
fatta avea, si morì. Per la qual cosa li due fratelli, ordinato di quello di lui medesimo 
come egli fosse onorevolemente sepellito164 e mandatolo a dire al luogo de’ 
frati, e che essi vi venissero la sera a far la vigilia165 secondo l’usanza e la mattina 
285  per lo corpo, ogni cosa a ciò oportuna dispuosero.166
Il santo frate che confessato l’avea, udendo che egli era trapassato, fu insieme167 
col priore del luogo; e fatto sonare a capitolo,168 alli frati ragunati in quello 
mostrò ser Ciappelletto essere stato santo uomo, secondo che per la sua confessione 
conceputo avea; e sperando per lui Domenedio dovere molti miracoli dimostrare, 
290  persuadette loro che con grandissima reverenzia e divozione quello corpo si 
dovesse ricevere. Alla qual cosa il priore e gli altri frati creduli s’acordarono: e la sera, 
andati tutti là dove il corpo di ser Ciappelletto giaceva, sopr’esso fecero una grande 
e solenne vigilia; e la mattina, tutti vestiti co’ camisci e co’ pieviali,169 con li libri in 
mano e con le croci innanzi cantando andaron per170 questo corpo e con grandissima 
295  festa e solennità il recarono alla lor chiesa, seguendo171 quasi tutto il popolo 
della città, uomini e donne. E nella chiesa postolo, il santo frate, che confessato 
l’avea, salito in sul pergamo172 di lui cominciò e della sua vita, de’ suoi digiuni, 
della sua virginità, della sua simplicità e innocenzia e santità maravigliose cose a 
predicare, tra l’altre cose narrando quello che ser Ciappelletto per lo suo maggior 
300  peccato piangendo gli avea confessato, e come esso appena gli avea potuto metter 
nel capo che Idio gliele dovesse perdonare, da questo volgendosi a riprendere173 il 
popolo che ascoltava, dicendo: «E voi, maladetti da Dio, per ogni fuscello di paglia 
che vi si volge tra’ piedi bestemmiate Idio e la Madre e tutta la corte di Paradiso».174
E oltre a queste, molte altre cose disse della sua lealtà e della sua purità: e 
305  in brieve con le sue parole, alle quali era dalla gente della contrada data intera 
fede,175 sì il mise nel capo e nella divozion di tutti coloro che v’erano, che, poi 
che fornito176 fu l’uficio, con la maggior calca del mondo da tutti fu andato a 
basciargli i piedi e le mani, e tutti i panni gli furono indosso stracciati, tenendosi 
beato chi pure un poco di quegli potesse avere: e convenne che tutto il giorno così 
310  fosse tenuto,177 acciò che da tutti potesse essere veduto e visitato. Poi, la vegnente 
notte, in una arca178 di marmo sepellito fu onorevolemente in una cappella: e a 
mano a mano il dì seguente vi cominciarono le genti a andare e a accender lumi e 
a adorarlo, e per conseguente a botarsi e a appicarvi le imagini della cera secondo 
la promession fatta.179 E in tanto crebbe la fama della sua santità e divozione a 
315  lui, che quasi niuno era che in alcuna avversità fosse, che a altro santo che a lui si 
botasse, e chiamaronlo e chiamano san Ciappelletto; e affermano molti miracoli 
Idio aver mostrati per lui e mostrare tutto giorno180 a chi divotamente si 
raccomanda a lui.
Così adunque visse e morì ser Cepparello da Prato e santo divenne come avete 
320  udito. Il quale negar non voglio esser possibile lui esser beato nella presenza di 
Dio, per ciò che, come che181 la sua vita fosse scellerata e malvagia, egli poté in su 
lo stremo182 aver sì fatta  contrizione, che per avventura Idio ebbe misericordia di 
lui e nel suo regno il ricevette: ma per ciò che questo n’è occulto, secondo quello 
che ne può apparire ragiono, e dico costui più tosto dovere essere nelle mani del 
325  diavolo in perdizione che in Paradiso. E se così è, grandissima si può la benignità 
di Dio cognoscere verso noi, la quale non al nostro errore ma alla purità della fé 
riguardando, così faccendo noi nostro mezzano183 un suo nemico, amico credendolo, 
ci essaudisce, come se a uno veramente santo per mezzano della sua grazia 
ricorressimo. E per ciò, acciò che184 noi per la sua grazia nelle presenti avversità e 
330  in questa compagnia così lieta siamo sani e salvi servati,185 lodando il suo nome 
nel quale cominciata l’abbiamo,186 Lui in reverenza avendo, ne’ nostri bisogni gli 
ci raccomanderemo sicurissimi d’essere uditi.
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Riscrittura in italiano moderno di Piero Chiara

[…] Musciatto Franzesi,1 dopo aver fatto fortuna in Francia, abbandonati gli affari, si dedicò alla politica e divenne uomo di corte. Creato gentiluomo dal re Filippo il Bello, nel 1301 venne inviato in Italia presso il papa Bonifacio2 insieme al fratello del re, Carlo detto il Senzaterra.3

Prima di mettersi in viaggio per Roma, Musciatto Franzesi provvide ad incaricare persone adatte alla liquidazione dei suoi affari in Francia, ma non trovò nessuno al quale affidare la riscossione di molti crediti che aveva in Borgogna,4 terra di gente litigiosa e sleale. Gli venne allora in mente un certo ser Cepparello Diotallevi,5 toscano di Prato, che viveva in Francia e spesso gli capitava in casa.

Cepparello, che i francesi chiamavano Ciappelletto, era notaio ma viveva ai margini della legge, servendo imbroglioni e truffatori. Pronto a rogare6 atti falsi, spergiuro e violento, bestemmiatore e frequentatore di taverne, era sempre disposto a dar mano in ogni malefatta. Aveva avuto parte perfino in omicidi e ferimenti. Schernitore di Dio e dei santi, ladro e farabutto, sconcio bevitore e giocatore di vantaggio,7 si può dire, senza dilungarci di più, che fosse il peggiore uomo che mai nascesse. Proprio quel che occorreva a Messer Musciatto, che gli diede regolare procura8 e lo mandò in Borgogna, appoggiandolo presso due fratelli fiorentini che in quelle terre vivevano prestando denaro ad usura.

Ospitato dai due fratelli, Ciappelletto aveva cominciato il suo lavoro, quando cadde gravemente ammalato. Vennero subito chiamati dei medici che fecero di tutto per curarlo, ma senza risultato, perché il suo male era grave e certamente mortale. L’età, gli strapazzi e più che altro gli stravizi, l’avevano così mal ridotto, che nessun medico avrebbe potuto ridargli la salute.

«Cosa dobbiamo fare?», si chiedevano i due fratelli stando in una stanza vicina a quella del malato. «Se lo mandiamo a morire all’ospedale, la gente dirà che siamo delle carogne senza cuore. Se lo teniamo in casa e costui, da quel miscredente che è sempre stato, morirà senza confessarsi e comunicarsi,9 nessuna chiesa accetterà il suo corpo. Se poi si confessasse, sarebbe ancor peggio, perché sentendo le ignominie delle quali si è coperto, il confessore, inorridito, penserà di aver davanti il diavolo in persona. La voce si spargerà e noi che già siamo malvisti a cagione del nostro mestiere, saremo cacciati dal paese e magari messi a morte a furore di popolo».

Ciappelletto, al quale la malattia, come spesso avviene, aveva reso finissimo l’udito, chiamò a sé i due fratelli.

«Ho sentito tutto», disse. «Quel che temete potrebbe in verità avvenire, ma io troverò modo che non avvenga. Vivendo ho fatto tante ingiurie a Domineddio,10 che anche se ne farò un’altra in punto di morte non cambierà nulla. Per cui vi prego di farmi venire qualche santo frate, il migliore che si trovi da queste parti, perché voglio confessarmi in modo da sistemare al meglio i fatti vostri e i miei».

Pur non aspettandosi nulla di buono da Ciappelletto, i due chiamarono da un convento vicino un santo frate, che postosi al capezzale del morente, dopo averlo confortato alquanto gli chiese da quanto tempo non si confessasse.

Ciappelletto, che non si era mai confessato in vita sua, rispose: «Di solito mi confesso due o tre volte la settimana, ma ora, con la malattia, saranno otto giorni che non ho questo beneficio».

«Bravo» disse il frate «è una buona norma la tua. Anche perché così avrai ben poco da dirmi».

«Ma che dite mai!», esclamò Ciappelletto. «Ogni volta io mi confesso di tutti i peccati che ho commesso da quando sono nato».

Il frate lodò una così bella abitudine e cominciò a chiedergli se avesse mai peccato contro la purezza.

«Se non fosse vanagloria» fu la risposta «vi direi che io sono innocente come un bambino appena nato».

«Che tu sia benedetto!», esclamò il frate.

Gli domandò allora se avesse sulla coscienza dei peccati di gola.

«Purtroppo!», disse Ciappelletto. «Perché tre volte per settimana, dopo aver digiunato a pane e acqua, bevo l’acqua con lo stesso gusto che prova un ubriacone nel bere il vino. E anche il pane! Lo mangio troppo volentieri!».

«Figliolo mio» disse il frate. «Questi non sono peccati. Dopo il digiuno è giusto che si mangi e anche che ci si tolga la sete».

«Eh, no, padre mio! Le cose che si fanno in servizio di Dio non debbono dar piacere di nessuna sorte».

«È bene» disse allora il frate «che tu la pensi in questo modo. Sono proprio contento di trovare un cuore tanto puro. Non mi capitava da un gran pezzo. Ma dimmi, hai mai peccato d’avarizia?».

«Padre» rispose Ciappelletto sottovoce «non vorrei che voi, vedendomi in casa di questi usurai, pensaste che io sia della loro specie. Sono venuto qui solo per ammonirli e per distoglierli da quel loro brutto mestiere di prestar denaro tirando il collo alla povera gente. E ci sarei riuscito, se Iddio non mi avesse visitato con questo brutto male.11 In quanto a me, è vero, sono stato mercante e ho guadagnato, ma, tolto il necessario per vivere, il resto l’ho sempre dato ai poveri».

Non avendo nulla da rimproverargli, il frate passò a domandargli se fosse mai andato in collera.12

«E chi potrebbe non adirarsi» sbottò Ciappelletto «vedendo la gente che non osserva i comandamenti di Dio, i giovani che pensano solo a divertirsi, che non vanno in chiesa e seguono le pazzie del mondo invece della legge del Signore?».

«Questa» disse il frate «non è collera. È santa indignazione. Ma non è che ti sia capitato mai di commettere per esempio qualche omicidio o di far violenza a qualcuno, magari solo per difenderti…».

«Ma vi pare, padre, che Dio m’avrebbe sostenuto e protetto per tanti anni se mi fosse passato per il capo anche solo il pensiero di far cose simili?».

«Dimmi allora: hai fatto testimonianze false, hai mai detto male di qualcuno, hai mai sottratto cose altrui?».

«Sì!», esclamò Ciappelletto. «Almeno una di queste cose l’ho fatta. Avevo un vicino, che quando era ubriaco batteva la moglie. Ebbene, ho avvertito i parenti di quella poveretta».

«Dovevi farlo! L’avrei fatto anch’io» disse il frate.

«Mi hai detto che sei stato mercante» gli disse poi. «Hai mai ingannato qualche cliente?».

«Gnaffe!»,13 esclamò Ciappelletto. «Avete colto giusto, stavolta! Un cliente, pagandomi del panno14 che gli avevo venduto, mi aveva dato per sbaglio alcuni soldi in più del dovuto senza che me ne avvedessi. Quando me ne accorsi, cercai quel cliente per restituirgli il suo, ma non lo trovai. Era partito per chissà dove. Diedi allora quei pochi soldi ai poveri».

«Hai fatto benissimo» disse il frate. «Non potevi comportarti meglio. Sei un buon figliolo e non mi resta che darti la più ampia delle assoluzioni».

«Piano, piano» lo fermò Ciappelletto. «Ho dell’altro da dirvi: una volta ho fatto lavorare un servo a scopar la casa di domenica».

«È tutto qui?».

«Come! Vi pare poco? Non rispettare la domenica, il giorno in cui nostro Signore resuscitò e sali al Cielo? E poi, sentite quest’altra: un giorno che ero in chiesa, stavo così assorto nella preghiera che, venendomi uno sputo, lo lasciai cadere sul pavimento».

Il frate cominciò a ridere. «Noi» disse «che siamo religiosi, se ci viene da sputare, sputiamo. Che diamine!».

«Sputate?», disse Ciappelletto sgranando gli occhi.

«Sputate in chiesa? Nella casa di Dio?».

Ciappelletto non se ne voleva persuadere, ma poi tacque e come preso da una nuova angoscia, cominciò a piangere.

Il frate, che lo andava consolando, vedendolo affannato gli chiese se sentisse male in qualche parte. Ma Ciappelletto, alzando gli occhi al cielo, gli fece capire che non si trattava del corpo, ma dell’anima. Non trovava la forza per sgravarsi di un gran peso che aveva sulla coscienza.

«Figliolo» gli disse il frate che finalmente aveva capito «anche se tu avessi sulla coscienza tutti i peccati del mondo, il pentimento che dimostri ti otterrebbe di sicuro la misericordia di Dio».

Senza dargli retta e piangendo sempre più forte, Ciappelletto disse:

«Inorridite! Inorridite! Quando ero piccolino, una volta ho ingiuriato mia madre!».

«Non è poi questo gran peccato» lo rassicurò il frate. «Gli uomini bestemmiano continuamente Dio, che è cosa ben più grave. Eppure se si pentono, Dio li perdona. Non vuoi che passi sopra a una mala15 parola che avrai detto a tua madre? La tua contrizione16 è tale, che ti perdonerebbe anche se tu fossi uno di quelli che l’hanno messo in croce!».

«La mamma! La mamma!», andava balbettando Ciappelletto, «la mia mamma! Così dolce, così cara! Ho offeso la mia mamma! Se voi non pregherete Dio per me, non sarò mai perdonato!».

«Su, su» disse il frate. «Non dirmi altro, che un bravo uomo come te non l’ho mai trovato. Ecco che io ti assolvo in nome di Dio da ogni peccato e ti benedico per omnia secula seculorum.17 Ma ora vorrei chiederti qualche cosa d’altro genere: tu certamente guarirai, ma se, Dio non voglia, la tua anima così ben disposta e preparata dovesse salire al Cielo, ti dispiacerebbe venir sepolto nella chiesa del nostro convento?».

«In nessun altro luogo, padre, vorrei avere sepoltura, perché so che voi pregherete sulla mia tomba e poi perché sono stato sempre devoto del vostro Ordine. Portatemi subito il santissimo corpo di Cristo, che io mi possa comunicare. Poi amministratemi l’estrema unzione, che abbia a morire da cristiano anche se sono vissuto da peccatore».

I due fratelli, che avevano origliato dietro la porta, erano esterrefatti.

«Che uomo è questo» si dicevano «se né la vecchiaia, né l’infermità e neppure l’imminenza della morte, può fargli paura?». Ma avendo capito che Ciappelletto aveva veramente accomodato le cose in modo da non recar loro alcuna noia, se ne stimarono più che contenti.

Intanto il frate, andatosene al convento, tornò col Santissimo,18 comunicò Ciappelletto e gli diede l’estrema unzione. Fece appena in tempo, perché il malato prima di notte spirò.

Il frate corse subito al convento a far suonare le campane e spiegò ai suoi confratelli quale santo uomo era venuto a morire vicino a loro. I confratelli furono d’accordo nel rendere grandi onoranze al defunto e, indossati i piviali,19 andarono in processione a prenderne il corpo, che deposero davanti all’altare.

Tutto il popolo accorse e il padre che aveva ricevuto la confessione di Ciappelletto, salito sul pergamo,20 parlò della vita esemplare del morto, dei suoi digiuni, della sua santa ingenuità ed innocenza. Raccontò l’episodio della madre che il poveretto credeva di aver offeso e tuonò:

«E voi, maledetti da Dio, bestemmiate per cose da nulla non solo Dio e la Madre sua, ma tutta la corte del paradiso!».

Si sparse tanto la fama della santa vita e della santa morte di Ciappelletto, che cominciò ad accorrer gente al convento anche da lontano. Chi gli baciava le mani, chi i piedi, chi gli strappava i panni di dosso per farne reliquie.

Il giorno appresso Ciappelletto fu seppellito solennemente in un’arca21 di marmo, alla quale convennero in gran folla i devoti da tutta la Borgogna ad accendergli dei lumi, ad adorarlo e a impetrarne l’intercessione, spesso con buoni risultati, tanto che gli vennero attribuiti vari miracoli e fu tenuto per santo. Tale infatti è la misericordia di Dio, che non solo può redimere all’ultimo momento un delinquente di tal fatta, ma arriva al punto di esaudire chi lo prega anche nel nome di un Ciappelletto, perché chi si rivolge a Lui in buona fede è sempre ascoltato, anche se per umano errore si fa raccomandare da un diavolo invece che da un santo.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Il notaio Ciappelletto, uomo perverso e privo di scrupoli, viene incaricato da un ricco mercante fiorentino di recarsi in Borgogna a riscuotere, per suo conto, alcuni crediti. Egli accetta l’incarico, ma un giorno si ammala. È ospitato da due usurai fiorentini, i quali si trovano in imbarazzo circa la soluzione da adottare: se lo manderanno via, potranno essere tacciati di crudeltà per avere cacciato un uomo in fin di vita; se morirà in casa loro, senza essersi confessato o, essendosi confessato, senza aver ricevuto l’assoluzione (tanti e tali sono i peccati di Ciappelletto che nessun sacerdote vorrà credere al suo pentimento), saranno accusati di empietà per avere ospitato un uomo così malvagio. Ciappelletto decide di aiutarli e li invita a chiamare un confessore: ci penserà lui a ingannarlo, facendosi passare per un uomo virtuoso. Così avviene: Ciappelletto, con una falsa confessione, si fa credere addirittura un santo.

Perché Ciappelletto è disposto a tanto? Soltanto per aiutare i suoi ospiti? Questa potrebbe essere una prima spiegazione: la solidarietà di classe; sia Ciappelletto, che è notaio, sia i suoi ospiti, di professione usurai, appartengono a quella borghesia degli affari unita al suo interno da una certa complicità. Ma davvero, in virtù di questo senso di appartenenza, si può essere pronti a dannare per l’eternità la propria anima?

Forse in Ciappelletto prevale altro: il gusto della beffa, una beffa che ha in sé stessa la propria ragion d’essere. Del resto il tema della beffa è ricorrente nel Decameron, che dedica a esso due intere giornate, la Settima e l’Ottava.

Tuttavia ci potrebbe essere anche una terza spiegazione: Ciappelletto decide di ingannare il frate per il piacere che gli deriverà da un’ultima azione peccaminosa prima di morire, coerentemente con il modo in cui egli è vissuto durante tutta la sua esistenza. Infatti nel ritratto di Ciappelletto c’è una certa insistenza, sul piano lessicale, sui vocaboli che indicano la volontà, anzi proprio la soddisfazione che il personaggio prova nel compiere il male: volentieri (rr. 24, 33, 37, 57), piacere (r. 28), sommo diletto (r. 25), allegrezza (r. 30), volonterosamente (rr. 31-32). Si tratta evidentemente di una sorta di rovesciamento del motivo francescano della “perfetta letizia” che deriva dal compiere il bene. Qui, invece, tutta la gioia sta nel fare il male. In vita come in punto di morte.

Il narratore della novella, Panfilo, la conclude con una riflessione sulle ragioni del successo di san Ciappelletto. Il morto è ritenuto ormai da tutti un santo, tanto che viene sepolto con grandi onori nella chiesa del convento dei frati; anzi, pare addirittura che molti fedeli ottengano da lui le grazie desiderate.

È un epilogo paradossale, a proposito del quale Panfilo formula due ipotesi: o Ciappelletto alla fine si è veramente pentito, ed è stato quindi accolto da Dio in Paradiso, oppure – e Panfilo sembra propendere per questa idea – è finito all’Inferno. In quest’ultimo caso il fatto che vengano esaudite le preghiere di chi si rivolge a Dio per il tramite di un dannato creduto santo starebbe a testimoniare la grandezza di Dio, il quale è più attento alla bontà di cuore di chi lo prega che non all’effettiva santità di coloro che il popolo dei fedeli elegge a propri mediatori. Da un punto di vista teologico questo paradosso risulta però tutto sommato corretto: così si spiega per esempio la tolleranza della Chiesa del tempo verso i frequenti abusi tipici di certa devozione popolare. Soltanto con il Concilio di Trento (1545-1563) si stabiliranno regole più rigide per le canonizzazioni.

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La critica ha molto discusso su quale debba essere considerata la posizione di Boccaccio rispetto al contenuto di questa novella. Per alcuni lettori (a partire da Francesco De Sanctis) essa testimonia nell’autore la presenza di uno spirito irreligioso e anticlericale, come se egli avesse voluto irridere la semplicità e l’eccessiva buona fede dei confessori, oltre che la credulità popolare (ma – va notato – non traspare nel testo alcun senso di derisione nei confronti della figura del frate confessore).

Per altri (per esempio Benedetto Croce) Boccaccio appare invece semplicemente ammirato dall’intelligenza umana, anche in una manifestazione a dir poco estrema come quella offerta da Ciappelletto: all’autore non starebbe qui a cuore il problema dell’esistenza o della non esistenza di Dio o quello dell’adeguatezza dei suoi ministri, quanto la celebrazione di un individuo d’eccezione (Ciappelletto, appunto) capace di imbrogliare i propri simili in maniera così estrosa; sarebbe, insomma, un’esaltazione dell’intelligenza o, per dirla con Boccaccio, dell’«industria». Boccaccio – scrive Croce – ammira in Ciappelletto «quella forza umana […] d’intelligenza, di esperienza, di immaginazione, di volontà, di parola, una delle più singolari sublimazioni di quella sagacia ed astuzia, che aveva sempre formato oggetto del suo interessamento».

Altri studiosi ancora (come Vittore Branca) sostengono, al contrario, che lo scrittore, lungi dall’esaltare Ciappelletto, provi quasi una sorta di sgomento di fronte alla logica mercantile (quella del profitto e dell’interesse economico) portata alle estreme conseguenze: in nome della «ragion di mercatura» si può giungere a compiere le peggiori nefandezze; così l’autore, con questa novella, sembra prendere le distanze dagli aspetti più foschi e in definitiva disumani di quell’etica commerciale.

Le scelte stilistiche

Il ritmo narrativo della novella è serrato, ma la parte più efficace è quella relativa alla confessione di Ciappelletto. La confessione è resa efficacemente attraverso una scena (cioè, qui, un dialogo tra i due personaggi nel quale il tempo del discorso coincide con il tempo della storia). Il sacerdote esamina Ciappelletto su quasi tutti i sette vizi capitali della tradizione classica e cristiana (lussuria, gola, avarizia, ira, invidia) ed egli, agli occhi del frate, riesce tutte le volte a ribaltare ogni vizio nella corrispondente virtù, secondo la tecnica del rovesciamento parodico, sviluppata attraverso la figura dell’antifrasi. L’effetto comico è massimo agli occhi del lettore, che conosce l’autentico carattere del personaggio grazie al ritratto che ne ha dato in precedenza Boccaccio, come anche si divertono – e insieme si meravigliano di fronte a tanta spudoratezza (ma poi decidono di acconsentirvi a proprio vantaggio) – i due fratelli usurai, che conoscono nei dettagli le abitudini di vita del loro ospite.

Il personaggio si rivela abilissimo nell’usare le parole (capacità molto apprezzata da Boccaccio in tutto il Decameron) e gli artifici retorici, comprese alcune tecniche teatrali: con notevoli capacità istrioniche, Ciappelletto sospira per lasciare intendere imbarazzo e contrizione per i presunti peccati commessi; utilizza espressioni di una devozione, pure un po’ stereotipata, che non possiede, come i lettori già sanno (io amo molto meglio di dispiacere a queste mie carni che, faccendo agio loro, io facessi cosa che potesse essere perdizione dell’anima mia, la quale il mio Salvatore ricomperò col suo prezioso sangue, rr. 120-122; quel veracissimo corpo di Cristo il quale voi la mattina sopra l’altare consecrate, rr. 262-263); piange (come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea, r. 221, nota maliziosamente il narratore) e finge di non riuscire a confessare quelle colpe che egli sembrerebbe ritenere più gravi, ma che di fatto non sono neanche peccati veniali. A un certo punto pare quasi che le parti si capovolgano; ora è Ciappelletto a fare la morale al confessore: «Non», disse ser Ciappelletto, «non dite leggier cosa, ché la domenica è troppo da onorare, però che in così fatto dì risuscitò da morte a vita il nostro Signore» (rr. 211-212); E voi fate gran villania, per ciò che niuna cosa si convien tener netta come il santo tempio, nel quale si rende sacrificio a Dio (rr. 218-219). Infine, ottenuta l’assoluzione, Ciappelletto chiede di fare la comunione e di ricevere l’estrema unzione. La scena si conclude così all’insegna della massima coerenza.
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VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Sintetizza in poche righe il ritratto fisico e morale di Ciappelletto.

ANALIZZARE

2 Individua punto per punto come i vizi di Ciappelletto (elencati nel suo ritratto iniziale) nella confessione vengono da lui ribaltati nelle virtù a essi opposte.


3 I borgognoni vengono definiti uomini riottosi e di mala condizione e misleali (rr. 10-11). Si tratta di

  • a coordinazione per asindeto. 
  • b coordinazione per polisindeto. 
  • c poliptoto. 
  • d anacoluto.


4 Analizza il linguaggio del sacerdote che confessa Ciappelletto: quali caratteristiche ha? Quali espedienti retorici utilizza? È simile o diverso rispetto al linguaggio di Ciappelletto?

INTERPRETARE

5 Di Ciappelletto Boccaccio dice: poté in su lo stremo aver sì fatta contrizione, che per avventura Idio ebbe misericordia di lui e nel suo regno il ricevette (rr. 321-323). Come interpreti questa affermazione? Che genere di visione del mondo presuppone da parte dell'autore?


6 Tenendo conto delle diverse letture di questa novella offerte dalla critica, quale ti sembra la più convincente? Leggendo il testo, quali appaiono essere, a tuo parere, le intenzioni dell’autore?

scrivere per...

argomentare

Nel momento in cui le preghiere dei fedeli vengono esaudite, è importante che la persona alla quale sono state rivolte sia davvero santa? È meglio sapere sempre e comunque la verità, oppure quello che conta è, per così dire, il risultato finale e l’intenzione di chi compie il gesto (come si dice nella conclusione della novella)? Sviluppa le tue riflessioni in un testo argomentativo di circa 20 righe.

confrontare

8 Una situazione esattamente opposta avviene nel capitolo Odore di decomposizione dal I fratelli Karamazov (libro VII, 1) di Fëdor Dostoevskij. Ricerca e leggi questo passo dello scrittore russo e scrivi un testo di circa 30 righe che colga analogie e differenze.

esporre

9 Sempre più frequentemente libri e film raccontano di personaggi cinici e spregiudicati, pronti a tutto pur di conseguire i propri obiettivi. Spesso si tratta di personaggi affascinanti, presentati in modo accattivante. Nella nostra società il cinismo è quindi un valore positivo? Rifletti su questo tema in un testo espositivo di circa 30 righe.

Il magnifico viaggio - volume 1
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento