Decameron

Decameron

Il Decameron – scritto fra il 1349 e il 1353 – può essere considerato la “culla” della narrazione in italiano. La centralità di quest’opera nel nostro panorama letterario (non solo trecentesco) è legata a numerosi fattori: innanzitutto alla struttura narrativa, costruita a cornici concentriche, che consente all’autore di sperimentare i vari livelli del racconto; poi alle modalità narrative, al linguaggio usato e al fatto di essere il primo esempio di narrativa fine a sé stessa, cioè priva di finalità edificanti, in volgare trecentesco; infine, ai contenuti e alle tematiche, che traghettano il lettore dalle rive del Medioevo alle sponde di un’epoca nuova.

Le cento novelle che lo costituiscono sono portatrici di una visione del mondo che esalta i valori di una società ordinata in base a precisi criteri etici, ma anche libera da pregiudizi moralistici, capace di apprezzare le qualità individuali dell’intelligenza e dell’intraprendenza e in grado di rispettare le inclinazioni naturali, in primo luogo l’amore.

Su questo sfondo ideale, Boccaccio concepisce il libro delle sue novelle, dove il comico e il serio, e persino il tragico, si offrono come altrettante manifestazioni di una realtà osservata con il distacco di uno spettatore divertito. La materia è organizzata – andando dalla prima all’ultima novella – dal basso dei sentimenti quotidiani al sublime dei valori più nobili, quando si celebrano le grandi virtù della magnificenza e della liberalità, tanto che alcuni studiosi hanno visto in ciò una ripresa del modello della Commedia dantesca.

Il divertimento dell’autore (e del lettore), però, si affida, un po’ dappertutto, alla molteplicità delle situazioni rappresentate: esempi di cinismo, casi umani dominati dalla fortuna o guidati dalla volontà e tenacia dei singoli; e poi, risposte pronte, beffe ai danni di poveri malcapitati, imbrogli, amori infelici o a lieto fine.

Il titolo, la struttura e gli intenti dell’autore

In base a un’etimologia greca, il titolo Decameron (oggi è invalso l’uso di pronunciarlo Decàmeron, mentre in passato si diceva per lo più Decameròn, proprio in omaggio all’accentazione etimologica) significa “dieci giorni”. Esso indica la durata del primo dei piani narrativi: le dieci giornate durante le quali dieci giovani narratori, tutti di condizione sociale elevata, rifugiatisi in una villa fuori città per scampare all’infuriare della peste a Firenze nel 1348, decidono di trascorrere il tempo dell’“esilio” tra banchetti e feste, dedicandosi, inoltre, all’attività del narrare.

Si tratta di sette donne: Pampinea, Filomena, Elissa, Neifile, Emilia, Lauretta e Fiammetta; e tre uomini: Panfilo, Filostrato e Dioneo. Essi passano insieme, in realtà, quattordici giorni, da un mercoledì al martedì di due settimane dopo, perché il venerdì e il sabato l’attività narrativa è sospesa per il riposo e la preghiera. Così vengono raccontate dieci novelle ogni giorno per dieci giorni, per un totale di cento.

Le sette ragazze e i tre ragazzi raccontano quotidianamente una novella ciascuno, sotto il «reggimento» di un narratore diverso che decide il tema della giornata, con le eccezioni della Prima e della Nona, entrambe a tema libero. Al solo Dioneo – tra i novellatori quello più “anarchico” e fuori dagli schemi – è consentito di trattare gli argomenti che preferisce (è il «privilegio di Dioneo»).

L’opera nel suo complesso comincia con un breve Proemio (contenente una dedica alle donne innamorate) e si chiude con una Conclusione dell’autore. Ogni giornata (così si chiamano i dieci raggruppamenti ciascuno di dieci novelle) è aperta da una Introduzioneterminata da una Conclusione (che contiene sempre una ballata). Particolarmente importanti e più estese sono l’Introduzione alla Prima giornata – che descrive l’epidemia di peste e racconta la decisione della «onesta» e «lieta brigata» di isolarsi dal contesto cittadino e che quindi è, di fatto, un’introduzione a tutta l’opera – e l’Introduzione alla Quarta giornata, che presenta un’autodifesa dell’autore da alcune critiche che gli erano state mosse sulla licenziosità delle novelle che erano già circolate. Ogni novella è preceduta inoltre da una rubrica, cioè una sorta di titolo o sommario che ne sintetizza in poche righe il contenuto.

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Il Proemio e la Conclusione dell’autore rappresentano dunque il contesto all’interno del quale viene collocata la cornice narrativa, cioè la narrazione relativa alle azioni dei dieci giovani narratori delle cento novelle, contenuta nelle introduzioni, nelle conclusioni e anche negli spazi iniziali e finali delle singole novelle. Nelle introduzioni e nelle conclusioni delle giornate – oltre che nel Proemio – Boccaccio parla in prima persona come narratore eterodiegetico onnisciente (cioè esterno alla narrazione, che domina dall’alto in ogni suo aspetto), mentre nel resto del Decameron, vale a dire nelle novelle, cede la parola ai personaggi-narratori.

Nel Proemio è contenuta la dedica dell’opera alle donne innamorate: queste ultime appaiono a Boccaccio bisognose di conforto, giacché vivono in una perenne condizione di repressione («ristrette da’ voleri, da’ piaceri, da’ comandamenti de’ padri, delle madri, de’ fratelli e de’ mariti»); l’autore, che ricorda di avere sperimentato in prima persona la sofferenza d’amore, provando «compassione» verso le donne, dedica loro le cento novelle come un’occasione di svago e di consolazione.

Boccaccio afferma di volere così correggere «il peccato della fortuna», che ha posto le donne in una situazione di sottomissione alla volontà della controparte maschile, offrendo loro, con il suo libro, un piacevole passatempo. Poiché nel Medioevo le donne erano considerate persone prive di cultura, dedicare a loro la propria opera significava catalogarla come appartenente a un genere minore: in questo senso si tratterebbe di una sorta di dichiarazione di modestia da parte dell’autore. Tuttavia sembra che sia anche presente, in Boccaccio, l’intenzione di individuare un nuovo pubblico, un pubblico che legge per piacere e divertimento.

Infatti, sempre nel Proemio, si afferma – seppure indirettamente, ma in modo molto chiaro – un concetto nuovo, cioè la concezione edonistica (l’autore parla di «diletto») della narrazione: una concezione della letteratura assai lontana dalle finalità moralistiche della narrativa medievale, basata sugli exempla, cioè su situazioni esemplari da cui trarre insegnamenti morali o religiosi utili per la vita.

Abbiamo detto che la narrazione si svolge, nelle intenzioni dell’autore, a consolazione delle donne innamorate. “Consolazione” in latino si dice solacium, la stessa parola da cui in italiano deriva “sollazzo”, cioè “piacere”: perché, prima ancora che le vicende, varie e multiformi, narrate nelle novelle, fulcro dell’opera è proprio questo piacere del racconto, cioè il piacere vicendevole del raccontare e del farsi raccontare delle storie.

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Nel Proemio Boccaccio presenta il Decameron come un’opera intesa quale aiuto per vincere la malinconia. Non a caso, subito dopo il Proemio, nell’Introduzione alla Prima giornata l’opera continua (o, se vogliamo, si apre) con la descrizione della terribile peste che imperversò a Firenze nel 1348, un episodio reale e insieme simbolico, cioè allusivo in generale alla fragilità della condizione umana e ai diritti – potremmo dire – della vita sulla morte.

Firenze è il luogo di una peste fisiologica e, metaforicamente, etica e sociale, perché l’epidemia, con i suoi molteplici effetti negativi, ha determinato nelle persone, accanto alla consunzione fisica, una profonda corruzione morale, minando le basi comuni del vivere civile.

In contrapposizione alla pestilenza (e alla penitenza) che pervade la Firenze del 1348, il raccontare determina un piacere che è, insieme, diletto e consolazione. Ciò è evidente già a partire dal luogo del racconto, il giardino, locus amoenus in cui si svolge il «novellare», un luogo circoscritto e separato rispetto alla città pervasa dalla malattia e dalla corruzione.

Inoltre, come ha ben evidenziato lo studioso Mirko Bevilacqua, il giardino come luogo reale assurge a simbolo del prestigio sociale della vecchia aristocrazia e della nuova borghesia fiorentina (in quanto i loro membri sono possessori di ville nel contado); come luogo immaginario è quello in cui si realizzano la produzione, il consumo e la ricezione dell’opera letteraria (le novelle), mentre la brigata dei narratori svolge, a sua volta, il doppio ruolo di produttrice e fruitrice dell’opera. Il giardino non è solo il luogo deputato – per lunga e tradizionale convenzione letteraria – dove i giovani ragionano d’amore; è anche e soprattutto il locus amoenus, simbolo della perfezione di un Eden sottratto alla corruzione e al degrado, metafora di un ritrovato equilibrio tra uomo e natura. La chiusura garantita dal muro esterno, i roseti che proteggono dai raggi del sole, la fontana che provvede all’irrigazione delle piante, l’abbondanza di animali e il profumo inebriante: nel giardino-paradiso si è al riparo dal potere della Morte. Dentro questo spazio, il «novellare» costituisce un’attività di civile conversazione: la parola e l’ambiente da cui essa nasce e viene accolta sono gli unici mezzi per rifondare, mentalmente e razionalmente, un mondo distrutto dall’apocalisse della peste.

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L’ORGANIZZAZIONE DELLE GIORNATE

Cornice della narrazione

«Reggitori» delle giornate

Temi

Struttura delle novelle

Proemio e dedica alle donne innamorate

     

Prima giornata

– 10 novelle

Pampinea

Tema libero

Rubrica

(titolo o sommario)


Novella


Commento

degli ascoltatori

Seconda giornata

– 10 novelle

Filomena

Fortuna e peripezie a lieto fine

Terza giornata

– 10 novelle

Neifile

Ingegno e abilità

Quarta giornata

– 10 novelle

Filostrato

Amori infelici

Quinta giornata

– 10 novelle

Fiammetta

Amori felici

Sesta giornata

– 10 novelle

Elissa

Motti di spirito

Settima giornata

– 10 novelle

Dioneo

Beffe di donne

ai mariti

Ottava giornata

– 10 novelle

Lauretta

Beffe varie

Nona giornata

– 10 novelle

Emilia

Tema libero

Decima giornata

– 10 novelle

Panfilo

Esempi di cortesia

Conclusione dell’autore

     

Il magnifico viaggio - volume 1
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento