Francesco Petrarca

LA VITA

I primi anni, la formazione, la scoperta dei classici

Francesco Petrarca nasce ad Arezzo nel 1304. Il padre è un notaio fiorentino, guelfo bianco, condannato nel 1302, come era già accaduto a Dante, alla confisca dei beni e al bando dalla città. Per questo Francesco si firmerà sempre Florentinus, anche se a Firenze si recherà solo nel 1350, facendovi tappa durante il suo viaggio a Roma in occasione del Giubileo.

Così l’autore rievocherà la propria nascita: «Io, generato in esilio, in esilio sono nato e attraverso un parto così pericoloso che le ostetriche e i medici credettero a lungo che mia madre fosse morta. Cominciai così a conoscere il pericolo ancor prima di nascere e sbucai sulla soglia della vita con auspici di morte» (Familiares, I, 1).

Nel 1307 nasce Gherardo, il fratello a cui Francesco rimarrà sempre molto legato. Dopo varie peregrinazioni in città italiane, nel 1312 la famiglia si stabilisce a Carpentras, nelle vicinanze di ▶ Avignone, in Provenza. Da quando nel 1309 il papa aveva trasferito nella città francese la sede pontificia e la curia, erano arrivati molti fiorentini messi al bando in cerca di occasioni di lavoro presso la corte papale: proprio qui anche il padre di Petrarca trova un incarico.

Avignone viveva allora il suo periodo d’oro: divenuta la capitale della cristianità ma anche il centro dei traffici commerciali, cambia totalmente il suo aspetto nel giro di pochi anni grazie alla presenza di artisti provenienti da tutta Europa: basti pensare allo splendido Palazzo dei Papi, dove lavorò, tra gli altri, anche il grande pittore senese Simone Martini. Intorno alla curia si sviluppa un ambiente cosmopolita di intellettuali, richiamati dalla ricchissima biblioteca pontificia, che accoglie studiosi di ogni ramo del sapere.

Francesco compie gli studi di grammatica, retorica e dialettica a Carpentras e successivamente viene mandato a Montpellier a studiare legge. Nel 1320 si trasferisce a Bologna con il fratello Gherardo per completare gli studi giuridici, sebbene i suoi interessi si indirizzino già verso la letteratura. Durante il periodo bolognese Petrarca scopre la cultura dei classici e la poesia in volgare: non dimentichiamo infatti che questa è la città di Guido Guinizzelli e il luogo in cui aveva condotto i suoi studi Cino da Pistoia, entrambi grandi poeti stilnovisti.

Il periodo avignonese e l’incontro con Laura

Quando nel 1326 muore il padre, Francesco torna ad Avignone. L’anno successivo rappresenta una tappa fondamentale nella vita e nella produzione dell’autore, poiché il 6 aprile 1327, Venerdì Santo, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone incontra Laura, la figura femminile che canterà nelle sue poesie, e se ne innamora a prima vista (la sua identità storica è incerta: forse si tratta di Laura di Noves, moglie del marchese Ugo di Sade). La donna però non corrisponderà mai alla passione del poeta. Secondo alcuni critici l’amore fra Petrarca e Laura è stato rea­le, secondo altri si è trattato di una creazione letteraria, poiché il poeta avrebbe dato il nome di Laura a un sentimento vago, ma importante come fonte di ispirazione poetica.

Nel 1330 Francesco prende gli  ordini minori entrando al servizio, sempre ad Avignone, del cardinale Giovanni Colonna, nella speranza di ottenere possibilità di carriera nella Chiesa. Il poeta risiede presso il potente ecclesiastico fino al 1347, godendo di una rendita e di una discreta libertà, che gli permettono di dedicarsi alla scrittura e di viaggiare. In questi anni, infatti, Petrarca si muove in gran parte dell’Europa per consultare e studiare gli antichi manoscritti conservati nelle biblioteche monastiche. Nel corso dei suoi viaggi, nel 1337 giunge a Roma, il cuore di quella classicità che il poeta ama profondamente. Egli nutre il desiderio di vedere la città tornare a essere il centro della cristianità, a discapito di Avignone, che invece considera luogo di corruzione e intrighi.
Al ritorno da Roma, Petrarca si stabilisce a Valchiusa, un piccolo centro poco lontano da Avignone, alle sorgenti del fiume Sorga, in una sorta di rifugio solitario, adatto allo studio e alla scrittura. Al desiderio di viaggiare e all’irrequietezza si contrappone, infatti, la ricerca della pace e della tranquillità, incarnata da questa dimora di campagna: «Non riuscendo a sopportare il senso di fastidiosa avversione che provavo per Avignone […] trovai una valle piccola, ma solitaria ed amena che si chiama Valchiusa, a quindici miglia da Avignone. Vi nasce la Sorga, regina di tutte le fonti. Incantato dal fascino di quel luogo mi ci trasferii con tutti i miei libri quando avevo già cominciato il trentaquattresimo anno. […] Ivi o scrissi o iniziai o immaginai quante opere mi uscirono dalla penna; le quali tante furono che io ne sono ancora al giorno d’oggi stanco» (epistola Posteritati, in Seniles, XVIII, 1). Sempre nel 1337 probabilmente nasce il figlio naturale Giovanni (che morirà nel 1361).
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La laurea, l’amicizia con Cola di Rienzo, l’incontro con Boccaccio

Nel 1340 sia l’università di Parigi sia il Senato di Roma (l’antica istituzione resuscitata nel 1143 dal popolo romano in opposizione al potere del papa) offrono a Petrarca, anche in seguito ad alcune sue sollecitazioni,  l’incoronazione poetica , un riconoscimento pubblico e ufficiale della sua illustre carriera letteraria. Parigi è celebre per gli studi teologici, Roma vanta invece un prestigio indiscusso nel campo della tradizione letteraria e riveste inoltre, agli occhi di Petrarca, una non trascurabile importanza politica. Per queste ragioni, anche su consiglio del cardinale Giovanni Colonna, il poeta sceglie l’offerta del Senato di Roma. L’8 aprile 1341, domenica di Pasqua, riceve l’alloro poe­tico in Campidoglio, dopo essersi recato a Napoli per sostenere un esame da lui stesso richiesto sulle sue conoscenze letterarie e condotto dal re di Napoli Roberto d’Angiò, che Petrarca stimava per la sua vastissima cultura.

Nel 1343, all’età di trentasei anni, il fratello Gherardo prende i voti e diventa monaco presso la certosa di Montrieux. Francesco ne invidia la vocazione religiosa autentica e sincera, a confronto con le oscillazioni della propria fede – Petrarca è infatti costantemente diviso tra desiderio di ascesi e passioni terrene – che gli impediscono di perseguire con decisione e determinazione la scelta della vita religiosa. Questo doloroso dissidio interiore lo accompagnerà per tutta la sua vita, senza mai trovare una pacifica ricomposizione. In quello stesso anno nasce la seconda figlia, Francesca, probabilmente da una donna diversa dalla madre del primo figlio.

L’anno precedente, nel 1342, Petrarca aveva conosciuto ad Avignone  Cola di Rienzo, un colto popolano inviato presso papa Clemente VI come ambasciatore del governo popolare romano, e ne aveva condiviso il progetto di rilanciare il ruolo di Roma come capitale del mondo cristiano. Dal punto di vista politico, il pensiero di Petrarca è lontano dai particolarismi: spera in una Roma di nuovo al centro della cristianità, così come critica con durezza le lotte fra gli Stati italiani e auspica che venga ristabilita l’autorità imperiale in Italia.

Nel 1347 Cola si autoproclama “tribuno della libertà” e occupa il Campidoglio, sperando di istituire a Roma una repubblica e di sottrarre la città alle lotte delle diverse famiglie nobiliari. Petrarca sostiene con entusiasmo l’impresa, fiducioso che essa possa costituire il primo passo verso il ritorno del papa a Roma.

Il poeta si mette dunque in viaggio per Roma, ma nel frattempo l’azione di Cola di Rienzo fallisce e il tribuno è costretto a fuggire. Appresa la notizia, Petrarca si ferma a Parma. La sua adesione al progetto ha determinato infatti la rottura definitiva con la famiglia Colonna, fermamente contraria all’ipotesi repubblicana. Il poeta risiede in città per un breve periodo e qui viene raggiunto, nel 1348, dalla notizia della morte di Laura e del cardinale Colonna a causa della peste. Del terribile flagello della “morte nera” Petrarca offre una testimonianza diretta: «Grande tutt’ora infuria e fa strage la peste. Odi dovunque gemiti e pianti, e dovunque tu volga lo sguardo ti stanno di fronte ancora caldi i cadaveri; le strade sono ingombre di cortei funebri; e ad ogni istante vedi per ogni dove cadere colpite da implacabile morte le vittime del contagio desolatore» (Seniles, III, 9). Nel 1349 riprende i suoi viaggi spostandosi prima a Padova, poi in diverse altre città.

Nel 1350, mentre si reca a Roma per il Giubileo, Petrarca sosta a Firenze, dove conosce Giovanni Boccaccio. Tra i due scrittori nasce una profonda amicizia, attestata dalle diverse lettere che si scambieranno negli anni successivi. Così si esprime Petrarca, scrivendo all’amico, sul loro rapporto: «È una cosa veramente singolare: noi due siamo tanto simili nell’animo, eppure tanto spesso siamo discordi negli atti e nei pensieri. E poiché ciò mi accade non solo con te, ma anche con altri amici, cercandone fra me e me la ragione, non ne trovai altra all’infuori di questa: che coloro che madre natura ha fatto simili, sono stati resi dissimili dalla consuetudine, che, come si dice, è una seconda natura. Oh! così ci fosse stato concesso di vivere insieme: la consuetudine ci avrebbe dato in due corpi un’anima sola» (Seniles, V, 2).

IL CARATTERE

UNA PERSONALITÀ MUTEVOLE E COMPLESSA

Petrarca ha una personalità tormentata, avverte spesso la necessità di risiedere in luoghi diversi, lasciare le attività intraprese per dedicarsi a nuove sfide, grazie a una mente fervida e curiosa.Si può dire che il poeta sia guidato da molte passioni: l’amore sen­suale (le donne reali), quello platonico (Laura), quello spirituale (Dio), ma soprattutto l’amore per i libri e per lo studio.

Le contraddizioni di un uomo irrisolto

Del resto, la sua stessa indole è ricca di contraddizioni: il saggio che aspira all’equilibrio e al dominio delle passioni si rivela invece destabilizzato dalle inquietudini, afflitto dall’indolenza e dall’insoddisfazione (ciò che egli definisce «accidia») e ossessionato dal tempo che scorre e dalla morte che si avvicina.

Petrarca ama la tranquillità, tanto da vagheggiare di seguire le orme del fratello Gherardo, diventando anch’egli monaco di clausura, ma allo stesso tempo non disdegna la gloria mondana e cerca l’amicizia di re e potenti. Il poeta desidera percorrere la via dell’umiltà ma vuole ottenere, attraverso l’attività letteraria, fama presso i contemporanei e i posteri. Detesta l’ambiente cittadino e quello cortigiano, eppure in solitudine trascorre soltanto poco più di quindici anni.

Dal punto di vista politico, è sostenitore dell’istituzione imperiale, però simpatizza per il tentativo repubblicano di Cola di Rienzo; mentre nell’Italia vede un’entità spiritualmente e culturalmente viva, che chiama “patria”, e critica duramente le lotte fratricide tra i diversi Stati italiani. È fustigatore della degenerazione della Chiesa cattolica, eppure è amico di papi e cardinali. Dunque il ritratto di Petrarca appare assai complesso, ed è proprio in tale complessità che risiede una delle ragioni principali della sua modernità.

Un uomo che non vuole passare inosservato

Quanto al suo modo di rapportarsi con gli altri, sappiamo che ambiva a piacere. In una lettera scritta a un amico, rie­vocando il tempo della giovinezza, ricorda: «Che dirò dei miei abiti, dei miei calzari? Tutto è cambiato; non uso più quel mio modo di vestire, e dico mio perché raramente altri l’usano, per il quale, salva l’onestà e il decoro, mi piaceva di distinguermi dai miei pari» (Familiares, XIII, 8). Era dunque un personaggio cui stava a cuore presentarsi vestito in maniera raffinata, attento alla propria immagine pubblica.

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Gli ultimi viaggi e la dimora di Arquà

Nel 1353 Francesco si trasferisce a Milano, accogliendo l’invito del vescovo Giovanni Visconti, e qui risiederà fino al 1361. Invano papa Clemente VI gli chiede di rimanere ad Avignone come suo segretario, promettendogli una futura nomina a vescovo; Petrarca declina l’offerta, abbandona per sempre la Francia e si trasferisce in Italia.

Dal 1361 al 1370 il poeta è nuovamente tra Padova e Venezia, e ricorda: «Ormai uomo e senza impegni, tornai in quei luoghi nei quali avevo trascorso la giovinezza negli studi. Vi tornavo chiamato dall’amicizia di colui alla cui memoria ancor molto debbo [il signore di Parma, Azzo da Correggio], e rividi tutta quell’Italia settentrionale che prima avevo soltanto toccata; e la rividi non come un affrettato visitatore, ma come cittadino di molte città: dapprima Verona, subito dopo Parma e Ferrara; da ultimo Padova» (Seniles, X, 2).

Nel 1370 Petrarca si stabilisce definitivamente ad  Arquà, sui Colli Euganei, dove trascorre gli ultimi anni nello studio, nella lettura e nella scrittura: «Mi sono fabbricato una casa modesta insieme e decente dove vado passando in pace questo poco che mi resta di vita; e qui la fida memoria mi fa presenti i dolci amici che la morte mi ha rapito, e che la lontananza divide da me» (Seniles, XII, 7).

Una lettera testimonia il dramma della vecchiaia e della malattia, il bisogno dell’aiu­to materiale altrui: «Iddio mi è testimone che senza l’aiuto di amici o di servi che mi sorreggano, io non potrei, se non volando, andare da casa mia alla chiesa vicina». Petrarca deve servirsi di un segretario a cui dettare, poiché non è più in grado di scrivere di suo pugno. Sente la morte vicina: «Non spero più di tornare quello che fui, ma nemmeno ad uno stato mediocre di robustezza. Sono andato avanti negli anni, e oltremodo mi sento estenuato e affranto» (Seniles, XI, 15).

Il poeta muore ad Arquà nel 1374, alla vigilia dei suoi settant’anni, accudito dalla figlia Francesca.

Il magnifico viaggio - volume 1
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento