T23 - L’antica Firenze di Cacciaguida

T23

L’antica Firenze di Cacciaguida

Paradiso, XV, 97-129

Dante rimpiange il passato, un tempo in cui il mondo era ordinato e i poteri in equilibrio tra loro, come nell’Italia del Nord ai tempi di Marco Lombardo. Allo stesso modo al suo trisavolo Cacciaguida – che il poeta incontra nei canti centrali del Paradiso (XV-XVII) tra gli spiriti combattenti per la fede (Cacciaguida aveva preso parte alla prima crociata) – Dante fa pronunciare un elogio, commosso e al contempo indignato, della Firenze del primo Duecento: un’epoca di solidi valori morali, molto lontana dalla corruzione dei tempi presenti. Se una critica si può muovere a Dante, essa è relativa al fatto che il poeta appare rivolto al passato (un passato peraltro fortemente idealizzato): alla crisi del suo tempo non sembra in grado di contrapporre soluzioni innovative. Più che interpretare la direzione dei cambiamenti in atto, egli vagheggia un mondo di fatto irrimediabilmente tramontato.

Fiorenza dentro da la cerchia antica,

ond’ella toglie ancora e terza e nona,

99    si stava in pace, sobria e pudica.

Non avea catenella, non corona,

non gonne contigiate, non cintura

102 che fosse a veder più che la persona.

Non faceva, nascendo, ancor paura

la figlia al padre, che ’l tempo e la dote

105 non fuggien quinci e quindi la misura.

Non avea case di famiglia vòte;

non v’era giunto ancor  Sardanapalo

108 a mostrar ciò che ’n camera si puote.

Non era vinto ancora Montemalo

dal vostro Uccellatoio, che, com’è vinto

111 nel montar sù, così sarà nel calo.

Bellincion Berti vid’io andar cinto

di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio

114 la donna sua sanza ’l viso dipinto;


e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio

esser contenti a la pelle scoperta,

117 e le sue donne al fuso e al pennecchio.

Oh fortunate! ciascuna era certa

de la sua sepultura, e ancor nulla

120 era per Francia nel letto diserta.

L’una vegghiava a studio de la culla,

e, consolando, usava l’idïoma

123 che prima i padri e le madri trastulla;


l’altra, traendo a la rocca la chioma,

favoleggiava con la sua famiglia

126 d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.

Saria tenuta allor tal maraviglia

una Cianghella, un Lapo Salterello,

129 qual or saria Cincinnato e Corniglia.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

In Inferno, XXVII, 85-123 (T21), a parlare è Guido da Montefeltro. Secondo l’accusa dantesca, Bonifacio VIII non ha esitato a svilire le proprie prerogative spirituali (come quella, tipica del sacerdote, di rimettere i peccati) per basse ragioni di interesse personale. In realtà quello messo in atto dal papa è un inganno: non ci si può pentire ed essere assolti da una colpa e al tempo stesso commetterla; il pentimento e l’assoluzione possono soltanto seguire cronologicamente il peccato, certamente non precederlo.

Così Guido da Montefeltro è stato raggirato da questo pontefice politicante, che è l’esatto opposto di ciò che per Dante dovrebbe essere un papa. Anziché bandire crociate contro i musulmani, per recuperare i territori “santi” (cioè la Palestina, dove Gesù era nato, vissuto, morto e risorto), Bonifacio considera propri nemici gli stessi cattolici, che egli contribuisce a dividere tra di loro con la sua partigianeria. La battuta finale del diavolo (Forse / tu non pensavi ch’io loïco fossi!, vv. 122-123) risveglia bruscamente Guido dall’illusione di essere stato veramente assolto, mettendo in evidenza l’inganno di cui egli è stato fatto oggetto da parte di Bonifacio.

In Purgatorio, XVI, 97-129 (T22), Dante considera vacante ai propri tempi la funzione dell’imperatore, poiché il Papato ne ha usurpato i compiti, che di fatto non gli competono. Il pontefice va davanti al suo gregge e lo guida (procede, v. 98), è in grado di ruminare (rugumar può, v. 99), cioè ha la prerogativa di comprendere e spiegare la dottrina cristiana, ma non ha le unghie divise (non ha l’unghie fesse, v. 99), ovvero non può applicare le leggi nella sfera temporale. Questo è un compito che il papa farebbe bene a lasciare – com’era in passato – all’imperatore. Secoli prima Roma aveva infatti instaurato l’ordine e la civiltà sulla Terra, fondando una monarchia universale (l’Impero) che aveva unificato il mondo nel segno della pace, predisponendolo ad accogliere, nella pienezza dei tempi, l’avvento di Cristo.

Per bocca di Marco Lombardo, Dante esprime la propria nostalgia per un mondo non ancora corrotto come quello in cui si trova a vivere e per la società di un passato non troppo lontano (antecedente di circa un secolo), in cui erano ancora diffuse le qualità cavalleresche (valore e cortesia, v. 116), prima che avesse inizio, nella prima metà del XIII secolo, il contrasto tra il Papato e l’imperatore Federico II. Dante vede l’Italia settentrionale del proprio tempo come una terra di corruzione e di malvagità: le persone buone si contano sulle dita di una mano e sono talmente circondate da esempi di cattiveria che esse desidererebbero morire al più presto pur di non assistere a questa degenerazione.

La stessa idealizzazione del passato che abbiamo trovato in Purgatorio, XVI, 97-129 (T22) ritorna in Paradiso, XV, 97-129 (T23) a proposito della città di Dante, la tanto amata e per altri versi odiata Firenze: amata in sé, per la sua storia, le sue radici, i propri ricordi personali; odiata per i politici intriganti che ora la dominano. Cacciaguida dipinge una città pacifica, appagata dei suoi costumi semplici e onesti, senza lussi eccessivi, con famiglie patriarcali ricche di virtù. La città era piccola: secondo l’interpretazione letterale del passo, il panorama che si vedeva dal monte Uccellatoio non superava per ampiezza quello dell’antica Roma che si poteva osservare da Monte Mario. Gli uomini più autorevoli di Firenze non indossavano stoffe e metalli preziosi; le loro mogli non usavano truccarsi in viso (ciò era considerato un segno di deriva morale), ma svolgevano le semplici attività domestiche (la filatura, l’accudimento dei figli). La gente non temeva l’esilio e il commercio non veniva praticato in terre lontane dividendo i membri di una stessa famiglia. Attraverso il personaggio di Cacciaguida, Dante espone il proprio sogno nostalgico, contrapponendo quella città ideale alla Firenze corrotta e faziosa dei suoi tempi.
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VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Sintetizza brevemente, con parole tue, in che cosa consiste l’inganno di Bonifacio VIII ai danni di Guido da Montefeltro di cui si parla nel brano tratto da Inferno, XXVII (T21).


2 In Purgatorio, XVI, 97-129 (T22) che cosa rimprovera Marco Lombardo al Papato?


Quali erano le principali caratteristiche degli abitanti di Firenze ai tempi di Cacciaguida descritti in Paradiso, XV, 97-129 (T23)?

Analizzare

4 Che tipo di proposizione è però che, giunti, l’un l’altro non teme (Purgatorio, XVI, 112, T22)?


5 In idïoma (Paradiso, XV, 122, T23) quale funzione hanno i due punti sopra la seconda i? Nei tre brani qui antologizzati il fenomeno compare altrove?


6 Nel verso Bellincion Berti vid’io andar cinto (Paradiso, XV, 112, T23) ci sono due figure retoriche. Quali?

INTERPRETARE

7 Perché al v. 93 di Inferno, XXVII (T21) Dante usa il passato solea nella sua osservazione sulle caratteristiche dei Francescani?


8 Perché ai vv. 94-97 di Inferno, XXVII (T21) Dante introduce un confronto tra papa Silvestro e papa Bonifacio VIII?


9 In Inferno, XXVII, 85-123 (T21), quali ragioni inducono Guido ad acconsentire alla richiesta di Bonifacio?

scrivere per...

espORRe

10 Prepara una presentazione in PowerPoint dei tre brani antologizzati: per ogni brano dovrai elaborare almeno 10 slide, accompagnate anche da immagini pertinenti (che potrai scegliere da Internet).

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

Le soluzioni che Dante immagina per risolvere i gravi problemi del suo tempo difficilmente si adatterebbero al nostro: il rimedio da lui sognato consisteva infatti nel concentrare il potere nelle mani di un imperatore assoluto, che ponesse un freno ai desideri smodati degli altri governanti e portasse così pace e serenità in tutto il mondo. L’articolo 1 della nostra Costituzione afferma invece che «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» stessa.


• “Appartiene” è il verbo scelto dai Padri Costituenti: eppure le trasformazioni della vita politica oggi sembrano allontanare i cittadini dalla gestione della cosa pubblica e dall’attività dei propri rappresentanti.

Quali sono le ragioni di tale disaffezione?

Personalmente provi interesse per la politica? In che misura pensi di partecipare alla vita democratica del nostro paese? Discutine in classe.

Il magnifico viaggio - volume 1
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Dalle origini al Trecento