Percorso 2 - La concezione storico-politica

Percorso 2 • La concezione storico-politica

Inferno, XXVII, 85-123
T21
Purgatorio, XVI, 97-129
T22
Paradiso, XV, 97-129
T23



Il pensiero politico dantesco, così come si manifesta negli anni della maturità dell’autore, appare caratterizzato da un’evoluzione che è frutto della sua vicenda personale (l’impegno nella politica comunale a Firenze, l’esperienza drammatica dell’esilio, la conoscenza diretta delle corti e delle città italiane) e di una più ampia riflessione sulla Storia (il fallimento della spedizione di Arrigo VII, il problema della libertà e della giustizia, le cause della corruzione della società umana). Come abbiamo visto, molti e di diversa natura sono i testi in cui esso si manifesta: dal Convivio alle Epistole, dal De monarchia alla Divina Commedia, appunto.

Alla luce della sua concezione provvidenziale della storia umana, Dante disegna, attraverso la Commedia, il modello di una società ordinata e giusta, condizione di un mondo che sappia riprodurre i valori dell’armonia e della pace, in preparazione di quelli che si potranno godere per l’eternità nella gloria celeste. Questa preoccupazione attraversa l’intero poema.

Già nell’Inferno prende corpo il fermo rifiuto della realtà contemporanea, in particolar modo nell’aspra critica alla condotta di Bonifacio VIII e dei papi moderni, dimentichi dei loro compiti, dediti al lusso e all’obiettivo di un potere soltanto mondano. La polemica antipapale continua nel Purgatorio e nel Paradiso, estendendosi alla condanna di tutta la Chiesa del tempo; né viene risparmiata l’istituzione dell’Impero, nelle persone, in particolare, degli ultimi imperatori.
L’Impero non è per Dante uno Stato oppure una semplice organizzazione politica; è il mezzo voluto da Dio, sin dall’eternità, perché l’individuo possa raggiungere il suo fine terreno, cioè la felicità. Per questo chi gli si oppone, sia pure un papa, per Dante non solo è politicamente riprovevole, ma commette un gravissimo peccato, ed egli lo scaraventa inflessibile e sdegnato giù nell’Inferno. In altre parole, la politica è per il poeta tutt’uno con la morale.

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Secondo Dante la comunità umana può e deve essere solidale e coesa in una salda unità. La felicità terrena è progetto divino, e dunque è progetto divino che l’umanità sia unita in una monarchia universale, che, mantenendo la pace tramite l’amministrazione della giustizia, permetta il conseguimento della beatitudine terrena. Se la solidarietà umana è naturale (ossia voluta da Dio) e se l’Impero ne è condizione necessaria, allora – si domanda Dante – perché le guerre, le faziosità, l’ingerenza del Papato nella politica? Qual è la causa di tanto disordine? Vi può essere rimedio? Come riorganizzare i due fini dell’umanità? Sono le domande alle quali risponde la Divina Commedia, che ha dunque un forte contenuto etico e politico.

Al centro del pensiero politico di Dante, che ruota intorno al rapporto tra Chiesa e Impero (che è poi il grande tema della filosofia politica medievale), vi sono due intuizioni fondamentali: la necessità dell’Impero come istituzione universale e sovranazionale e l’autonomia del potere imperiale dal potere ecclesiastico.

Quanto al primo punto, Dante è convinto che soltanto l’imperatore, che possiede tutto ed è dunque libero dalla cupidigia, sia in grado di porsi come arbitro e di restaurare la pace, l’ordine e la giustizia nel mondo. Strettamente legata a questa convinzione è la riflessione, maturata a partire da una lettura congiunta della Bibbia e dell’Eneide, della provvidenzialità dell’Impero romano.

Il disegno di restaurazione imperiale vagheggiato da Dante è rivolto tutto al passato: il poeta rifiuta il presente, ritenuto inaccettabile e corrotto, e mitizza il passato prossimo o remoto (come vediamo nei due brani di Purgatorio, XVI e Paradiso, XV); immagina un tempo felice in cui l’Impero e la Chiesa erano concordi nel guidare l’umanità al suo duplice destino, la felicità su questa terra e la beatitudine eterna (si veda Purgatorio, XVI, 106-108). Da qui derivano le innumerevoli polemiche contro città e corti italiane, lacerate dalle violenze e dai particolarismi delle fazioni, da tradimenti e sotterfugi dovuti al calcolo del tornaconto politico o personale.

La necessità dell’autonomia del potere imperiale da quello ecclesiastico è un altro pensiero ricorrente di Dante, che emerge, nella Commedia, ora a partire da riflessioni circoscritte su singole questioni, ora all’interno di invettive di appassionata intensità. Tale idea trova una prima espressione lirica al centro del Purgatorio (XVI, 97-114), nonché, come si è visto, una compiuta elaborazione teorica nel terzo libro del De monarchia. La dualità tra potere temporale e potere religioso, che implica comunque la reverenza dell’imperatore verso il papa, non è risolta da Dante nella subordinazione dell’uno all’altro, ma sottoponendo entrambi direttamente a Dio.

Il magnifico viaggio - volume 1
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Dalle origini al Trecento