Con il canto XXX del Paradiso ci troviamo nell’Empireo, il cielo di pura luce che è immagine di Dio e dell’infinita felicità delle anime beate. Dante è circondato all’improvviso da un vivissimo fulgore che lo abbaglia: è il saluto di Dio, che precede la sua visione.
Nel passo che riportiamo il poeta scorge un fiume di luce dal quale escono scintille che si posano sui fiori e poi tornano nello straordinario gorgo luminoso. Tale spettacolo – a cui Dante può assistere in virtù di una particolare grazia divina, l’accrescimento delle normali facoltà sensibili (se i suoi sensi fossero quelli normali una simile visione lo accecherebbe o addirittura lo annienterebbe) – cela una realtà più profonda, che il poeta non può ancora vedere in forma svelata: in seguito la fiumana luminosa si muterà in un cerchio, mentre i fiori e le faville si riveleranno essere beati e angeli.
Lo stile si innalza qui al massimo livello: lo splendore della visione viene reso attraverso lo splendore della forma. La parola poetica è utilizzata al grado estremo della sua capacità semantica, poiché si tratta di descrivere una realtà ai limiti dell’indicibile.