Pagine di realtà - Esiste la giustizia assoluta e universale?

Educazione CIVICA – Pagine di realtà

Esiste la giustizia assoluta e universale?

La necessità della monarchia universale è rivendicata da Dante per garantire la pace e la giustizia. Solo un’autorità superiore può dirimere le liti e gli egoismi, assicurando la felicità di tutti attraverso il diritto, le leggi e la carità, intesa come amore del bene razionale e morale. Il monarca, in quanto libero dalla cupidigia, è l’unico che possa salvaguardare la concordia del genere umano, tutelando la libertà individuale, che è il sommo dono concesso da Dio alle sue creature. Ovviamente il concetto di giustizia ha per noi caratteri molto diversi: ma come definire in modo riconoscibile questo valore che tutti noi invochiamo? Il tema è molto complesso, come evidenzia il giurista Gustavo Zagrebelsky (n. 1943), che nell’articolo qui proposto riflette sull’uso strumentale e ideologico che da sempre il potere politico ha fatto di questa fondamentale virtù sociale.

“Può ammettersi che per uno sia giusto ciò che non lo è per un altro? Se sì, la giustizia – intendo la giustizia assoluta, valida per tutti – non esiste. Se no – perché la giustizia assoluta esiste – o l’uno o l’altro (o forse entrambi) sono in errore. Ma occorre allora un criterio razionale (il criterio di giustizia) per scoprire l’errore e dividere torti e ragioni. Tale criterio esiste? È inutile illudersi: no, non esiste.

I criteri assoluti di giustizia sono tutti privi di contenuto. Se sono assoluti, sono vuoti: se fossero pieni, sarebbero relativi; varrebbero cioè per uno ma non necessariamente per un altro. Con le parole del professor Bobbio1 se un criterio di giustizia ha portata universale, è puramente formale; se ha valore sostanziale, non è più universale ma storico: cioè, appunto, relativo. Una nozione di giustizia che sia insieme universale e sostanziale è assurda.

Prendiamo la più famosa e comprensiva tra le formule della giustizia, l’unicuique suum tribuere, l’“a ciascuno il suo”, dei giureconsulti romani, o la sua riformulazione “tratta gli uguali in modo uguale e i diversi in modo diverso”. Entrambe lasciano indeterminato il punto decisivo, cioè la nozione di suum, ciò che spetta in rapporto a ciò che ci rende, sotto i più diversi aspetti, uguali e diversi (dato che l’uguaglianza e la diversità assolute non esistono). Formule come queste possono essere accolte da chiunque: dal superuomo nietzschiano2 come dal difensore dei diritti umani, dal combattente per il comunismo universale come dal fautore della libertà dello stato di natura, dall’apostolo della fratellanza universale come dal fanatico dello stato razzista.

I campi di sterminio, per esempio, sono in regola con questa massima della giustizia. Il motto di benvenuto al campo di Buchenwald – una sorta di “lasciate ogni speranza, o voi che entrate” – era, per l’appunto, jedem das Seine, a ciascuno il suo, ma questo avrebbe potuto anche essere il motto del buon samaritano o di un Martino che divide il suo mantello con l’ignudo. Onde, queste regole di giustizia possono essere indifferentemente il programma del regno dell’amore come del regno dell’odio.

Puri involucri privi di contenuto sono anche le massime di giustizia che fanno appello alla coscienza individuale, come il biblico «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» o, nella forma positiva, il «tratta gli altri come tu desideri essere trattato». Esse contengono un appello all’uguaglianza: tu sei simile al tuo prossimo, hai il medesimo valore; dunque, non fare torto agli altri, perché faresti torto a te stesso. Ma le aspettative individuali, inutile insistere, sono infinite, come infinitamente varia è la natura umana. L’applicazione di questo criterio nei rapporti sociali darebbe luogo, né più né meno, all’anarchia.

Queste e altre simili formule di giustizia (a ciascuno secondo i bisogni, i meriti ecc.) finiscono in tautologie3 senza significato: giusto è il suum e il suum è giusto.

Per uscire dal circolo vizioso, occorre aprirsi a un sistema di valori sostanziali la cui vigenza4 imperativa è compito del legislatore. Ma così si passa al terreno dello scontro politico: dalla giustizia, che dovrebbe valere per tutti, alla politica, che è regno di divisione e competizione.

In effetti, l’intera storia dell’umanità è lotta per affermare concezioni della giustizia diverse e perfino antitetiche, «vere» solo per coloro che le professano. Diciamo giusto ciò che corrisponde alla nostra visione della vita in società, ingiusto ciò che la contraddice. La giustizia è sempre stata una retorica a favore di questa o quella visione politica: la giustizia rivoluzionaria giacobina; la giustizia borghese; la giustizia proletaria; la giustizia völkish5, del sangue e della terra, nazista ecc. ciascuna con la pretesa d’essere unica.

Questi accenni dicono qualcosa di sconfortante: dietro l’appello ai valori più elevati e universali è facile che si celi la più spietata lotta politica, il più materiale degli interessi. Quanto più sublimi sono quei valori, tanti più terribili gli eccessi che vogliono giustificare. La storia mostra che proprio i grandi progetti di giustizia sono quelli che hanno motivato le maggiori discriminazioni, persecuzioni.”


(Gustavo Zagrebelsky, Il difficile compito di fare giustizia, “La Repubblica”, 16 novembre 2004)

leggi e comprendi

1 A sostegno della propria tesi, Zagrebelsky cita la formula classica unicuique suum, sottolineando la parzialità e la soggettività della nozione di suum. Perché?


2 Perché l’autore ritiene che la giustizia sia soggetta agli interessi di parte promossi dalla politica?

RIFLETTI, SCRIVI, SOSTIENI

3 Quella di Zagrebelsky è una riflessione che ci riguarda tutti e, a ben vedere, contiene più una domanda che una risposta: esiste davvero un criterio razionale e indiscutibile che autorizzi a definire un’azione, o una legge, come giusta? Sei dell’opinione che la giustizia sia un concetto che non può essere assolutizzato? Esistono dei criteri universali in grado di indicarci cosa sia giusto e cosa non lo sia all’interno del consorzio umano?

In un testo argomentativo elabora la tua tesi in proposito, partendo dal testo del giurista per confutarlo o per concordare con esso. Se sei in disaccordo, totale o parziale, con il suo punto di vista, è opportuno usare, all’inizio o nel cuore della tua argomentazione, la tecnica della concessione: non mancare, cioè, di concedere fondamento alla sua tesi, ma al tempo stesso riconoscila come diversa dalla tua. Nel farlo, cerca di stabilire simmetrie, contrapposizioni e, appunto, concessioni con l’uso della punteggiatura e con i connettivi adeguati allo scopo (mentre, da una parte… dall’altra, se… allora, certo… eppure).

Il magnifico viaggio - volume 1
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Dalle origini al Trecento