De vulgari eloquentia

De vulgari eloquentia

Il De vulgari eloquentia (Sull’eloquenza volgare) è un trattato in latino, progettato in 4 libri, di cui Dante scrive soltanto il primo e parte del secondo.

Nel primo libro l’autore descrive il proprio ideale linguistico, trattando innanzitutto dell’origine del linguaggio, dalla creazione di Adamo alla distruzione della torre di Babele, e soffermandosi poi a considerare gli idiomi derivati in particolare dal latino: soprattutto il provenzale (lingua d’oc), il francese (lingua d’oïl) e l’italiano (lingua del ).

All’interno di quest’ultimo Dante distingue, con un’analisi glottologica per quei tempi pionieristica, i quattordici dialetti che allora erano parlati in Italia, ma giunge alla conclusione che nessuno di essi possieda le qualità proprie di quel volgare che egli chiama «illustre». Occorre a suo giudizio che tale «volgare illustre» sia davvero la lingua comune della penisola, in grado perciò di superare i particolarismi locali, alla luce di un ideale nazionale (almeno sul piano linguistico).

Bisogna però sgombrare il campo da un possibile equivoco: Dante non parla di una lingua per la comunicazione quotidiana, ma della lingua della produzione letteraria. In sintesi, il «volgare illustre» da lui immaginato dev’essere «cardinale» (poiché esso deve rappresentare il cardine, vale a dire il punto di riferimento, degli altri volgari), «aulico» (perché degno di essere parlato nell’“aula”, cioè nel palazzo dell’imperatore) e «curiale» (in quanto adatto alla corte dell’imperatore) ( T15, p. 308).

In particolare, nel secondo libro Dante indica i modi in cui il «volgare illustre» va utilizzato in poesia. Poiché per gli antichi (e anche per gli uomini del Medioevo) ogni particolare tipologia di contenuto tematico presupponeva un suo specifico stile, fatto di determinate scelte lessicali e retoriche, egli sviluppa una precisa distinzione: stile tragico o alto (per i temi elevati, da rendere in un linguaggio solenne), comico o basso (per i contenuti quotidiani, da esprimere in una lingua umile), elegiaco o medio (per gli argomenti malinconici, da sviluppare in un tono medio).

Il registro del «volgare illustre» più conveniente per la poesia è secondo Dante quello tragico, adatto agli argomenti amorosi (come quelli affrontati nella Vita nuova), ma anche ai temi epici e morali (l’amore, le armi e la virtù). La forma metrica preferibile è la canzone, in quanto più ampia e articolata rispetto al sonetto, l’altra forma maggiormente praticata dalla poesia delle origini.

Il De vulgari eloquentia è un’opera per specialisti, per letterati desiderosi di apprendere le norme di una lingua che possa assurgere a strumento espressivo adeguato a diversi scopi: il volgare italiano, appunto. Di qui la scelta di scrivere l’opera in latino. È un’opzione che, lungi dall’essere paradossale (trattare del volgare scrivendo però in latino), indica il pubblico di riferimento: un pubblico dotto, diverso da quello pensato per il Convivio, il cui intento era invece, come si è detto, divulgativo.

Il magnifico viaggio - volume 1
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Dalle origini al Trecento