Vita nuova
Nella Vita nuova Dante rilegge a posteriori (dopo la morte di Beatrice, avvenuta nel 1290) la propria produzione poetica giovanile. Si tratta di un “racconto autobiografico”, della cronistoria di un amore. Siamo, tuttavia, nell’ottica di un racconto simbolico, ben lontano dai canzonieri degli altri Stilnovisti. La Vita nuova è, sul piano stilistico, ciò che potrebbe dirsi “lo Stilnovo della prosa” e, su quello del contenuto, un’immagine estremamente idealizzata della “vita stilnovistica”.
L’opera si propone di parlare, oltre che di una storia reale, anche di una verità intellettuale a cui l’autore approda: l’amore diventa non più soltanto esperienza privata, relativa all’intimità del poeta, bensì strumento di perfezionamento morale di sé e quasi di ascesi religiosa. Inoltre essa fonda il mito di Beatrice, correlato con quello di Amore, essendo l’amore inteso come slancio conoscitivo, partecipazione della persona all’armonia dell’essere: una dimensione, questa, che verrà poi compiutamente sviluppata nella Divina Commedia.
Un’opera per Beatrice
La struttura
Elaborata tra il 1292 e il 1294, La Vita nuova è un’opera in 42 capitoli, composta di 31 poesie (23 sonetti, 2 sonetti doppi, una ballata, una stanza di canzone, una doppia stanza di canzone, 3 canzoni), scelte dall’autore fra quelle scritte tra il 1283 e il 1293 (o, al più tardi, 1294) e collegate da un commento in prosa: si tratta quindi di un prosimetro, cioè un testo misto di prosa e versi (il primo esempio in volgare italiano).
Il titolo
Il titolo è enunciato nel primo capitolo, dove Dante afferma di trascrivere l’incipit di quello che egli chiama il «libro de la mia memoria» (▶ T1, p. 265), cioè la serie dei ricordi inerenti la propria vita passata. Tale incipit recita, in latino, vita nova, cioè – letteralmente – “vita nuova”. Tra l’altro vita nova è un’espressione usata da sant’Agostino, san Tommaso e altri Padri della Chiesa per indicare un’esistenza libera dal peccato.
>> pagina 261
La trama
Gli incontri con Beatrice e la sofferenza di Dante
Dopo il proemio, rappresentato dal primo, brevissimo capitoletto (▶ T1, p. 265), la vicenda si apre con un tono quasi sacrale. «Nove» è la prima parola: un numero simbolico e sacro (è tre, che rimanda alla Trinità, al quadrato; cioè la perfezione divina al massimo grado), destinato a conferire, con le sue nove ricorrenze nel libro, un carattere di predestinazione e di miracolo agli eventi.
Alla fine del nono anno di vita Dante vede per la prima volta Beatrice, che ne ha da poco compiuti otto. Ne consegue una prima rivelazione d’amore (capitolo 2, ▶ T2, p. 267). Nove anni più tardi Dante rivede Beatrice accompagnata da «due gentili donne». Essa gli rivolge il saluto e poco più tardi il poeta, tornato nella sua camera, sogna, in una «maravigliosa visione», Amore divenuto signore della sua anima (capitolo 3, ▶ T3, p. 272). Egli scrive così il primo sonetto dell’opera, A ciascun’alma presa e gentil core, che invia ai «fedeli d’Amore», cioè ai poeti del circolo stilnovistico.
Amore toglie ogni vigore a Dante, tanto che gli amici si preoccupano per lui, che però non svela il nome dell’amata. In una chiesa, durante una funzione religiosa, si accorge che tra sé e Beatrice c’è una «donna di molto piacevole aspetto» che lo guarda, convinta che l’attenzione del poeta sia per lei (mentre il suo sguardo, in realtà, è rivolto a Beatrice). I presenti immaginano che sia questa donna l’oggetto dell’amore di Dante, il quale non smentisce tale opinione, per fare di lei «schermo de la veritate» e proteggere così Beatrice dai pettegolezzi (secondo un topos della lirica provenzale).
Di questa “donna dello schermo” il poeta si servirà per alcuni anni, dedicandole anche delle poesie. Tempo dopo, Amore gli suggerisce di fare ricorso anche a una seconda donna dello schermo (capitolo 9): la figura della donna dello schermo rinvia a un testo famoso, il trattato De amore (L’amore) del letterato francese Andrea Cappellano (XII secolo), già fonte di spunti tematici per la poesia provenzale, siciliana e siculo-toscana (▶ Doc. 5, p. 37).
A questo punto, però, Beatrice nega il saluto a Dante (capitolo 10), in seguito alle voci che lo accusano di essere «noioso», cioè privo di cortesia, a causa del rapporto instaurato con la seconda donna dello schermo: dunque non perché Beatrice sia “gelosa”, ma perché disapprova la leggerezza morale che Dante manifesta nel trasferire di frequente il proprio interesse da una donna all’altra. La negazione del saluto dà al poeta grande sofferenza, l’«amore doloroso» dei capitoli 11-16, in cui più evidente appare l’influsso di Guido Cavalcanti.
Nel capitolo 12 Amore, apparsogli di nuovo in sogno, invita Dante ad abbandonare ogni finzione. Così hanno finalmente inizio le rime rivolte a Beatrice, anche se, fino al capitolo 16, esse sono espressione di un amore tormentoso e inappagato. La situazione giunge a un culmine drammatico con la scena del “gabbo”, cioè della canzonatura, della presa in giro (capitolo 14): a una festa nuziale a cui partecipano sia Beatrice sia Dante, quest’ultimo, alla vista dell’amata, viene colto da tremore e smarrimento. Le altre donne, accorgendosi del suo stato, sorridono maliziosamente.
La nuova poetica della lode e la morte di Beatrice
Dopo un breve capitolo di transizione (il 17), nel capitolo 18 alcune donne rimproverano a Dante di non esprimere nei suoi versi le lodi dell’amata. Attraverso il colloquio con queste donne che hanno «intelletto d’amore» – cioè che sono in grado di comprendere tale sentimento e che divengono d’ora in poi le destinatarie del messaggio poetico – viene enunciata la nuova invenzione lirica: la beatitudine del poeta, quella che non può essergli negata neanche dall’indifferenza di Beatrice, sta nelle parole che lodano la sua donna. È il passaggio a un sentimento verso la persona amata per ciò che essa è in sé, non per ciò che può donare all’amato.
La poetica della lode – novità fondamentale della poesia d’amore dantesca e sua specifica invenzione lirica – si esplica nei capitoli 18-27: temi centrali sono la dolcezza che si sviluppa nell’animo a partire dal sentimento amoroso e la gioia che deriva dall’esaltazione disinteressata della donna, superando ogni forma di egoismo e di istintività passionale.
La claritas, lo splendore di Beatrice, esprime un’idea della bellezza come luce intellettuale e sembra alludere a quella «luce intellettüal, piena d’amore» (Paradiso, XXX, 40), cioè a Dio stesso, che rappresenterà, nella Commedia, l’approdo conclusivo del poeta. Ma già ora, nella Vita nuova, sono prodigiosi gli effetti operati dalla presenza di Beatrice: una donna-angelo salvatrice, che fa nascere nei cuori di coloro che la contemplano una dolcezza onesta e soave che induce alla perfezione, che fa sorgere amore dove esso è allo stato latente (come si diceva nel linguaggio della filosofia scolastica, in potenza e non ancora in atto). Tutti questi concetti verranno mirabilmente espressi da Dante nel sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare (capitolo 26, ▶ T6, p. 279).
L’interpretazione
Al centro dell’opera c’è Dante stesso, o meglio la storia del suo amore dal momento dell’innamoramento al tempo successivo alla morte di Beatrice, un sentimento sopravvissuto alla scomparsa della donna e ricostruito nelle sue varie fasi: dapprima come passione bruciante, poi come l’espressione di un animo lieto di contemplare la bellezza e la virtù dell’amata, infine come testimonianza di una fedeltà sempre viva nel ricordo.
Tuttavia l’interpretazione della Vita nuova è ancora oggi controversa. In passato si è cercato di trovare precise corrispondenze tra quest’opera e la biografia di Dante, vagliando la fedeltà autobiografica dei singoli momenti narrativi: si discuteva, cioè, su quanto di vero e su quanto di inventato ci fosse nel testo. La disputa critica è oggi essenzialmente fra chi pone l’accento sul carattere mistico-agiografico dell’opera e chi ne privilegia invece il carattere laico, insistendo sul solo significato letterario e poetico.
L’interpretazione religiosa
A sostegno della prima tesi si può notare l’alto numero di riferimenti biblici, espliciti e impliciti, che, se per le liriche possono essere interpretati come metafore (ricorrenti, del resto, anche nella poesia provenzale e in quella italiana coeva a Dante), nella prosa vengono a costituire un insieme sistematico e quindi particolarmente significativo.
A ciò si aggiungono altri elementi: le frequenti analogie cristologiche; temi come quello della salute, evidente simbolo religioso (l’allusione alla salvezza portata da Cristo); il tono agiografico con cui è rievocata, soprattutto a partire dal momento della lode, la vita di Beatrice insieme con la certezza della sua gloria celeste.
C’è chi ha voluto addirittura vedere nella Vita nuova i tre momenti dell’itinerario mistico configurato da san Bonaventura da Bagnoregio (un francescano del XIII secolo assai popolare ai tempi di Dante, al punto che nel canto XII del Paradiso sarà lui a pronunciare l’elogio di san Domenico): la purificazione dei sensi e dell’immaginazione; la lode e la contemplazione spirituale; la contemplazione intellettiva, corrispondente all’esaltazione dell’essenza incorporea di Beatrice una volta ascesa al Paradiso. La donna diventerebbe così guida a Dio, l’amore umano “scala” (cioè strumento di accesso) a quello divino, alla contemplazione dell’essenza di Dio e a una partecipazione spirituale ai misteri celesti.
L’interpretazione laica
Sul carattere laico e puramente letterario insistono invece altri critici, che interpretano l’opera come giustificazione di un amore umano e terreno che non andrebbe inteso come un semplice sentimento, ma come una vera e propria conquista intellettuale. Tale amore, pur definendosi attraverso le immagini e il linguaggio propri di una secolare meditazione cristiana, giunge ad affermare una propria dignità autonoma. La poesia, espressione di una “gentilezza” conseguita attraverso l’amore, è il culmine di questa esperienza: le citazioni dei testi sacri andrebbero in una direzione definita essenzialmente dalla fantasia, in termini più metaforici che mistici.
Secondo questa tesi, insomma, l’esaltazione di Beatrice è fine a sé stessa; l’amore per lei trae forma dall’amore di Dio, ne assume i caratteri, ma non è assorbito dall’amore di Dio, non è “scala” alla divinità. Le rime della lode sono un atto di fede nella poesia e la Vita nuova celebra essenzialmente un ideale letterario basato sulla rappresentazione lirica della realtà; la sua stessa forma di libro di ricordi e confessioni pone l’opera accanto ai romanzi dell’amore cortese e ai cantari cavallereschi provenienti d’Oltralpe.
Il magnifico viaggio - volume 1
Dalle origini al Trecento