Intrecci letteratura - Petrarca e la scoperta

letteratura Petrarca e la scoperta dell epistolario ciceroniano Gran parte dell epistolario ciceroniano è stato scoperto a Verona, nella Biblioteca Capitolare, tra il 1345 e il 1389 da Francesco Petrarca (1304-1374) e dal cancelliere e umanista Coluccio Salutati (1331-1406). Dopo la lettura delle epistole ciceroniane ad Atticum, ad Brutum e ad Quintum fratrem, Petrarca decide di seguirne il modello e di raccogliere il proprio epistolario in diverse raccolte organiche. Nella prima di queste raccolte, detta Familiares, il poeta inserisce due epistole indirizzate proprio a Cicerone: nella XXIV, 3 (riportata qui di seguito in traduzione) ne rimprovera la volubilità, soprattutto in relazione alla scelta di tornare a impegnarsi in politica dopo aver tessuto, nelle opere filosofiche, l elogio della vita contemplativa (Ubi et aetati et professioni et fortunae tuae conveniens otium reliquisti?, «Dove hai lasciato l ozio che si addice sia alla [tua] età, sia alla [tua] vocazione, sia alla [tua] sorte? ). La lettura dell epistolario ha permesso a Petrarca di scoprire un Cicerone diverso da quello delle orazioni e dei trattati: un uomo con difetti e debolezze, del quale in questa epistola critica le ambizioni politiche, le numerose inimicizie, le ombre e le incertezze del suo carattere, il contrasto tra le parole virtuose e le azioni effettivamente compiute. Al contrario, nella XXIV, 4 ne loda l ingegno e l eloquenza, quasi a giustificare le critiche della precedente. A Marco Tullio Cicerone Francesco saluta il suo Cicerone. Trovate, dopo molte e lunghe ricerche, le tue lettere là dove meno credevo, le ho lette avidamente. E ti ho inteso dir molte cose, molte deplorare, su molte cambiar parere, o Marco Tullio; e se da un pezzo sapevo qual precettore tu fossi agli altri, ora finalmente ho compreso qual tu sia davanti a te stesso. Ora a tua volta, dovunque tu sia, ascolta non un consiglio, ma un lamento, ispirato da vero affetto, che uno dei posteri, di te amantissimo, esprime non senza lacrime. O uomo sempre inquieto e ansioso, o meglio, per dirlo con le tue parole, o vecchio impulsivo e infelice,1 che hai inteso di fare con tante contese e inutili inimicizie? Dove hai lasciato quella calma così conveniente all età, alla professione, alla fortuna tua? Qual falso splendore di gloria ti spinse vecchio in gare giovanili e dopo averti fatto ludibrio d ogni fortuna ti condusse a una morte indegna di un filosofo? Ahimè! dimentico dei fraterni consigli e dei tuoi stessi salutari precetti, come un viaggiatore notturno che porta un lume fra le tenebre, mostrasti a chi ti seguiva la via sulla quale miseramente cadesti. Non parlo di Dionisio,2 né del tuo fratello e del tuo nipote, e neppure di Dolabella,3 che ora con lodi innalzi al cielo, ora colpisci con improvvise ingiurie; tutto questo si potrebbe sopportare. Tralascio anche Giulio Cesare, la cui ben nota clemenza era un rifugio a tutti i maledici; taccio di Pompeo, col quale tutto ti era permesso per diritto di amicizia. Ma qual furore ti spinse contro Antonio? Credo, l amore per la repubblica, che vedevi ormai prossima all estrema rovina. Ma se da pura fede, da amor di libertà eri spinto, perché tanta familiarità con Augusto? [ ] Questo ti restava, o infelice, questo doveva essere l ultimo tuo errore: che tu offendessi anche lui già da te tanto lodato, sicché egli fosse indotto, non dico a farti del male, ma a lasciar che altri te ne facessero. Mi dolgo della tua sorte, o amico, e provo vergogna e pietà dei tuoi errori [ ]. Infatti, che giova ammaestrare gli altri, che giova parlar continuamente con belle parole di virtù, se poi non ascolti te stesso? Ah, quanto meglio sarebbe stato, soprattutto a un filosofo, invecchiare tranquillamente in campagna «meditando , come tu stesso scrivi in un certo luogo, «sulla vita eterna, non su questa terrena così breve ,4 non aver avuto l onore dei fasci, non aver aspirato a nessun trionfo, non aver messo superbia per alcun Catilina! Ma ormai ogni rimprovero è vano. Addio in eterno, o mio Cicerone. Dal mondo dei vivi, sulla riva destra dell Adige, nella città di Verona nell Italia transpadana, il 16 di giugno nell anno 1345 dalla nascita di quel Dio che tu non conoscesti. (trad. E. Bianchi) 1. o vecchio impulsivo e infelice: Petrarca parafrasa le parole o meam calamitosam ac praecipitem senectutem dell Epistula ad Octavianum, 6, attribuita a Cicerone. 2. Diniosio: fu un servo di Cicerone, uomo molto dotto e precettore del glio Marco. 3. Dolabella: il terzo marito di Tullia ( p. 655); egli si era risentito del comportamento equivoco di Cicerone dopo l assassinio di Cesare. 4. «meditando così breve : Cicerone, Ad Atticum X, 8, 8. Scuola italiana, Ritratto di Francesco Petrarca, XVI sec. Innsbruck, Castello di Ambras. 651

Tua vivit imago - volume 1
Tua vivit imago - volume 1
Età arcaica e repubblicana