Tua vivit imago - volume 1

L autore Cicerone 15 Nam de viris, quid dicam? Mores enim ipsi interierunt virorum penuria, cuius tanti mali non modo reddenda ratio nobis, sed etiam tamquam reis capitis quodam modo dicenda causa est. Nostris enim vitiis, non casu aliquo, rem publicam verbo retinemus, re ipsa vero iam pridem amisimus. E che dovrei dire degli uomini? I costumi stessi infatti perirono per mancanza di uomini; di questo male così grande non soltanto dobbiamo rendere conto, ma anche dobbiamo difenderci, come se in qualche modo fossimo accusati di delitto capitale. Per le nostre colpe infatti, e non per un qualche caso fortuito, lo Stato a parole lo conserviamo, ma nei fatti già da tempo l abbiamo perso. (trad. E.R. D Amanti) ut ignorentur: nota la correlazione non modo sed etiam, espressione della concinnitas ciceroniana, all interno della consecutiva. dicam: è un congiuntivo dubitativo. virorum: vir è da intendere qui come uomo degno, meritevole . reddenda ratio: rationem reddere esprime un assunzione di responsabilità. tamquam causa est: reis capitis si riferisce al precedente nobis; capitis è genitivo di colpa. Dicere causam, perorare la causa , difendere/difendersi , è una locuzione del lessico giuridico. Nostris vitiis, non casu aliquo: ablativi di causa. Analisi del testo I costumi e gli uomini eccellenti fondamento della potenza di Roma Il testo si apre con la citazione di un verso di Ennio, che Cicerone assimila, per la brevità e la verità del suo enunciato, a una sorta di oracolo: la potenza di Roma poggia sull azione congiunta dei costumi e degli uomini eminenti del passato. Secondo Cicerone, dunque, la Roma degli antenati è divenuta un modello di stabilità istituzionale grazie al rapporto di complementarità tra il mos e la sapienza politica di uomini insigni e autorevoli. Roma era radicata nella tradizione (morata civitas, r. 3) e uomini eccellenti (praestantes, r. 5; excellentes viri, r. 6) si prendevano cura dello Stato tutelando il mos patrius. La crisi del tempo presente Cicerone paragona la res publica dei suoi tempi a un bellissimo dipinto (r. 7), a cui gli uomini non hanno garantito un minimo restauro che potesse ripristinare la vivacità dei colori sbiaditi dal tempo (iam evanescentem vetustate, r. 7) e le linee di contorno delle gure. Provando a misurare il verso enniano sulle caratteristiche della sua epoca, Cicerone si chiede cosa rimanga del mos maiorum e degli uomini del passato: i mores maiorum non sono più rispettati, addirittura vengono ignorati. La crisi morale e politica della res publica non è determinata dalla vetustas né dal caso (non casu aliquo, r. 14), bensì dalla virorum penuria, dalla mancanza di uomini capaci di costituire una vera classe dirigente (r. 12). Negli anni in cui Cicerone scrive il De re publica mancano ormai i due elementi che erano stati, in passato, le cause della grandezza di Roma, i mores e gli uomini eccellenti. I vizi degli uomini e la corruzione hanno rovinato le fondamenta morali e politiche dello Stato, gli hanno fatto perdere il suo originario splendore: lo Stato esiste solo nel nome, ma non nella sua essenza (rem publicam verbo retinemus, re ipsa vero iam pridem amisimus, rr. 14-15). La metafora del dipinto Quella del dipinto abbandonato all oblio è soltanto una delle numerose metafore che caratterizzano il pensiero e il linguaggio politico di Cicerone: accanto alla celebre metafora della nave dello Stato (Pro Sestio 15, dove si parla del naufragio della repubblica ), presente già nella letteratura greca (il poeta lirico Alcèo, il losofo Platone, l oratore Demostene), troviamo quelle del corpo malato e del soldato ferito, e persino quelle dell incendio e del crollo architettonico, sempre per esprimere la crisi e la rovina della repubblica. lo stesso Cicerone, del resto, a tessere nel De oratore (III, 160) l elogio dei traslati, che, quando sono usati a proposito, piacciono di più dei termini propri, «o perché è indizio di vivido ingegno lasciare ciò che si ha a portata di mano e usare cose che vengono da lontano; o perché colui che ascolta corre altrove col pensiero, senza però uscire di strada (il che procura grande piacere); o perché con una sola parola si esprimono un concetto e la sua immagine; o perché ogni traslato, quando è usato a proposito, colpisce i sensi, in modo particolare la vista, che tra tutti i sensi è il più acuto (trad. G. Norcio). 617

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Età arcaica e repubblicana