Tua vivit imago - volume 1

L autore Cicerone ! repetita iuvant p. 600 10. Te vero, quem praesentem intuemur, cuius mentem sensusque et os cernimus, ut, quicquid belli fortuna rel quum rei publicae fecerit, id esse salvum velis, quibus laudibus efferemus? quibus studiis prosequemur? qua benevolentia complectemur? solo avvenimenti realmente accaduti, ma anche i fatti immaginari narrati nei poemi o nelle opere teatrali. 10. Te vero complectemur? ma te, che vediamo qui presente, di cui scorgiamo i propositi e i sentimenti e l espressione del volto, cioè la tua volontà di conservare (ut esse velis, lett. cioè che tu vuoi che sia ) sano e salvo tutto ciò che le vicende della guerra (belli fortuna, lett. l esito della guerra ) hanno preservato dello Stato (rel quum rei publicae fecerit, lett. ha lasciato allo Stato ), con quali lodi ti esalteremo, con quali voti ti seguiremo, con quale benevolenza ti circonderemo? . Te: è il complemento oggetto, in posizione enfatica, dei verbi dell interrogativa diretta efferemus, prosequemur, complectemur. praesentem: si oppone al precedente eos quos numquam vi- dimus. ut velis: proposizione completiva, esplicativa di mentem sensusque et os; da essa dipende l in nitiva id esse salvum, a cui si lega la relativa inde nita al congiuntivo per attrazione modale (quicquid fecerit). rei publicae: genitivo partitivo retto da quicquid reliquum. quibus quibus qua: aggettivi interrogativi. Analisi del testo Il contesto dell orazione Dopo la disfatta di Farsàlo, Marco Claudio Marcello, uno dei più accaniti avversari di Cesare, non volendo sollecitare la grazia del vincitore si rititra a Mitilene, nell isola di Lesbo, dove ha deciso di trascorrere il resto della sua vita. Mosso però dalle premure di suo fratello, Gaio Marcello, e di Cicerone, Marcello accetta di rientrare. Quando nel 46 a.C. Cesare, cedendo alle preghiere unanimi dei senatori, accorda il perdono a Marcello, Cicerone, colpito dalla magnanimità del dittatore, pronuncia la Pro Marcello, rompendo in tal modo il silenzio in cui si è rinchiuso dall inizio della guerra civile. Così l oratore scrive a Sulpicio (Ad familiares IV, 4, 3), proconsole in Acaia, già collega di Marcello nel consolato nel 51 a.C.: «quel giorno mi parve così bello che mi sembrava quasi di vedere rivivere una parvenza di repubblica (trad. F. Boldrer). Nonostante il suo richiamo, però, Marcello non tornerà a Roma, perché pugnalato, per motivi ignoti, da un certo Publio Magio Chilone proprio durante il suo imbarco al Pireo alla volta dell Italia. i quali ha usato equità e clemenza, Cesare ha riportato una vittoria su sé stesso e sulla propria collera (in iracundia, rr. 12-13), come scrive Cicerone poco più avanti: «oggi tu hai vinto te stesso [ ]. Mi sembra che tu abbia vinto la stessa vittoria quando hai restituito ai vinti ciò era stato loro tolto . Per questi meriti Cicerone arriva ad attribuire a Cesare qualità divine: n dal prooemium l oratore ricopre infatti il dittatore di lodi esagerate e ne esalta l incredibile e quasi divina saggezza. Cesare merita quindi i più grandi apprezzamenti e onori per il suo comportamento clemente, mite, giusto, moderato, saggio. Se poi salverà tutto ciò che della res publica è sopravvissuto alla guerra civile si acquisterà laudes, studia e benevolentia tia (r. 18). Nicolas Coustou, Statua di Giulio iulio Cesare, 1696. 96. Parigi, Museo del Louvre. L elogio di Cesare L esaltazione delle virtù belliche, delle imprese e delle conquiste di Cesare tende a farne risaltare la clemenza, tratto che sarà per il dittatore un titolo di gloria così grande da oscurare anche lo splendore dei suoi trion . Cesare ha piegato i nemici ferro et viribus (rr. 3-4), ma la sua vera grandezza egli l ha dimostrata alla ne della guerra: ha infatti domato le proprie passioni, il risentimento e lo sdegno, ha perdonato i vinti e li ha posti in una condizione ancora più elevata, ne ha accresciuto gli onori. Mostrando rispetto per la dignitas dei vinti delle guerre civili, verso 599

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Età arcaica e repubblicana