PLUS - Il piacere

LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI Il piacere Il piacere (voluptas) è il sommo bene cui l uomo può aspirare. La ricerca del piacere è facilitata dalla comprensione di che cosa è davvero necessario e cosa invece superfluo. I piaceri si distinguono quindi in: piaceri naturali e necessari, la cui mancata soddisfazione comporta la morte: nutrirsi, scaldarsi; naturali e non necessari (variazioni nel cibo, il sesso); i piaceri non naturali e quindi non necessari (sono moltissimi), che irretiscono l uomo senza procurargli altro che ansie e dolori (l ambizione, il desiderio di ricchezze e di gloria). Riportiamo qui un passo della Lettera a Meneceo in cui Epicuro espone iconicamente la sua teoria del piacere. Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per essere felici, altri per la buona salute del corpo, altri per la vita stessa. Una sicura conoscenza dei desideri naturali necessari guida le scelte della nostra vita al fine della buona salute del corpo e della tranquillità dell animo, perché queste cose sono necessarie per vivere una vita felice. Infatti noi compiamo tutte le nostre azioni al fine di non soffrire e di non avere l animo turbato. Ottenuto questo, ogni tempesta interiore si placherà, perché il nostro animo non desidera nulla che gli manchi, né ha altro da cercare perché sia completo il bene dell anima e del corpo. Abbiamo infatti bisogno del piacere quando soffriamo perché esso non c è. Quando non soffriamo, non abbiamo neppure bisogno del piacere. Per questo motivo noi diciamo che il piacere è il principio ed il fine di una vita felice. Noi sappiamo che esso è il bene primo, connaturato con noi stessi, e da esso prende l avvio ogni nostra scelta e in base ad esso giudichiamo ogni bene, ponendo come norma le nostre affezioni. (trad. P. Pultrini) Analisi del testo Un modello da seguire e uno da evitare Sulle forme tipiche della Priamel* (uno schema secondo cui a una rassegna di scelte altrui si oppone la propria, considerata superiore), Lucrezio sviluppa un protrettico loso co, un esortazione che riprende i temi essenziali dell etica epicurea: l atarassia (la capacità di chi è interiormente sicuro, non toccato dalle vicende del mondo esterno); la fondamentale distinzione tra piaceri necessari e non necessari; l idea chiave di limite cui il piacere può aspirare. Non meno esplicita è l indicazione del modello negativo, le tentazioni inutili e dannose che il saggio (o il discepolo sulla via della saggezza) deve respingere con forza, come veri morbi animi: la vita politica e la ricchezza, fonte di assilli, ma soprattutto irrilevanti di fronte ai veri bisogni elementari che la natura impone («non aver fame, sete e freddo , nelle parole di Epicuro). Questi temi sono comuni a larga parte della ri essione ellenistica, ma trovano nelle opere di Epicuro una consonanza profonda, sistematica, con i princìpi di interpretazione della natura: il lettore, che ha appreso già nel primo libro di Lucrezio gli aspetti fondamentali del cosmo epicureo, è ora in grado di recepire questa lezione di morale con la consapevolezza del suo intrinseco valore scienti co. 496 Un punto di vista distaccato Il distacco del discepolo epicureo è illustrato nell immagine iniziale (vv. 1-13), l imperturbata visione delle vicissitudini degli altri mortali presi nell affanno di un vivere quotidiano irrazionale. La speculazione da lontano (spectare, v. 2) è il simbolo della superiorità razionale del saggio epicureo, capace di indagare i fenomeni invisibili della realtà atomica, di osservare stelle e astri nelle loro rivoluzioni, e in ne di guardare da lontano i modelli di vita che non obbediscono ai canoni di ragione. Lo spettacolo della natura, in tutti i suoi aspetti, è proprio quello che Lucrezio offre ai suoi lettori con l enàrgeia ( evidenza ) raccomandata da Epicuro, strumento principe della persuasione ef cace. E saper vedere (il termine ricorre con insistenza: spectare, v. 2; tueri, v. 5; despicere, v. 9; videmus, v. 20) è appunto ciò che distingue il saggio dalla massa disorientata, letteralmente cieca (O miseras hominum mentes, o pectora caeca!, v. 14; in tenebris, v. 15), dei suoi sfortunati compagni di cammino. Una poesia visiva Sul piano stilistico, il brano presenta molte delle caratteristiche salienti del poema lucreziano, a cominciare dalle due immagini poste in

Tua vivit imago - volume 1
Tua vivit imago - volume 1
Età arcaica e repubblicana