Tua vivit imago - volume 1

LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI 15 20 50 55 60 Qualibus in tenebris vitae quantisque periclis degitur hoc aevi quodcumquest! Nonne videre nil aliud sibi naturam latrare, nisi utqui corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur iucundo sensu cura semota metuque? Ergo corpoream ad naturam pauca videmus esse opus omn no: quae demant cumque dolorem, delicias quoque uti multas substernere possint; [ ] Quod si ridicula haec ludibriaque esse videmus, re veraque metus hominum curaeque sequaces nec metuunt sonitus armorum nec fera tela audacterque inter reges rerumque potentis versantur neque fulgorem reverentur ab auro nec clarum vestis splendorem purpurea i, quid dubitas quin omnis sit haec rationis potestas? Omnis cum in tenebris praesertim vita laboret. Nam veluti pueri trepidant atque omnia caecis in tenebris metuunt, sic nos in luce timemus interdum, nilo quae sunt metuenda magis quam quae pueri in tenebris pavitant finguntque futura. Hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest non radii solis neque lucida tela diei discutiant, sed naturae species ratioque. degitur: impersonale ( si trascorre ). Nonne videre metuque: videre è in nito di esclamazione; si deve sottintendere un soggetto generico homines, che si può ricavare ad sensum da hominum al v. 14: Come [possono gli uomini] non vedere che nient altro (nil aliud) la natura reclama per sé (sibi latrare), se non che (nisi utqui) il dolore sia assente (absit) e rimosso dal corpo (corpore seiunctus; corpore è ablativo di separazione), e nella mente essa goda (fruatur) di un senso di gioia (iucundo sensu), libera da affanno e timore (cura semota metuque; ablativi di separazione)? . L accumulo sinonimico di termini che esprimono l allontanamento (seiunctus, absit, semota) del dolore sico e del turbamento psichico de nisce l essenza del piacere epicureo come mancanza di mali ( p. 496). 20-22. Ergo substernere possint Ergo omn no: Dunque vediamo che per [soddisfare] il corpo (corpoream ad naturam) occorre (esse opus) ben poco . La costruzione è videmus pauca esse 494 opus, dove pauca è soggetto di opus esse, ma all accusativo, perché in una frase subordinata in nitiva retta da videmus. quae possint: la sintassi più probabile è questa: quae... cumque va considerato epesegesi (cioè sviluppo esplicativo) di pauca, con uti (che equivale a ut) consecutivo. Un altra possibilità è che quae... cumque sia soggetto della proposizione introdotta da uti (si tratterebbe di una prolessi, cioè anticipazione, allo scopo di mettere in evidenza il sintagma). 47-52. Quod si splendorem purpurea i I beni materiali e la potenza militare non hanno alcun effetto liberatorio sull uomo, e solo la ratio può allontanare superstizione e angoscia. In questa sezione di versi il tono si innalza ancora, ironicamente: nota, per esempio, l allitterazione onomatopeica al v. 50 (audacterque inter reges rerumque), le espressioni epicheggianti sonitus armorum e fera tela al v. 49, fulgorem posto solennemente a metà del v. 51, la clausola polisillabica purpurea i, con il genitivo arcaico -ai, al v. 52. Quod videmus: costruisci: Quod si videmus haec esse ridicula ludibriaque. re vera: espressione avverbiale ( veramente , in realtà ). metus sequaces: l idea dei metus e delle curae che incalzano l uomo come furie è un tòpos della diàtriba, strettamente connesso a quello dell impossibilità di sfuggire a sé stessi. fulgorem... auro: equivale a fulgor auri; è costruzione frequente in greco, anche se non rara in latino: forse è sentita come grecismo, e aggiunge un elemento di esotismo al quadro. nec purpurea i: i beni materiali e la potenza militare non hanno alcun effetto liberatorio sull uomo, e solo la ratio può allontanare superstizione e angoscia. 53-61. quid species ratioque Dopo l innalzamento ironico dei versi precedenti, il tono si abbassa improvvisamente. quid futura: come puoi dubitare (quid dubitas) che questo potere (haec potestas) sia tutto della ragione (omnis sit rationis)? Soprattutto (praesertim) quando tutta nelle tenebre la vita si travaglia (laboret). Infatti, come (veluti) i fanciulli (pueri) trepidano e temono ogni cosa nelle tenebre cieche (caecis / in tenebris), così noi, [sebbene] alla luce del giorno (in luce), temiamo allora cose che (quae) non sono affatto più temibili (nilo sunt metuenda magis) di quelle che i fanciulli paventano nelle tenebre e immaginano ( ngunt) che stiano per accadere (futura) . Quid dubitas quin è probabilmente colloquiale; l apostrofe* diretta di seconda persona è tipica dello stile della diatriba. La dizione del v. 53 è decisamente antiaulica, e riproduce un parlato aggressivo e quasi volgare, in forte contrasto con la solennità dei versi precedenti; nota inoltre, nel verso, il fenomeno, proprio della poesia arcaica, della -s cadùca, per il quale la s nale di omnis e rationisnon si pronuncia (in caso contrario, infatti, non tornerebbe la scansione metrica). Finguntque futura sottintende esse; si tratta di clausola allitterante. naturae species ratioque: almeno due interpretazioni dell espressione meritano di essere ricordate, perché entrambe mettono in risalto aspetti essenziali della frase, e non devono escludersi a vicenda; essa può essere interpretata in senso oggettivo ( l esame della natura e la sua spiegazione ) e in senso soggettivo ( l aspetto esterno e la legge interna della natura ).

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Tua vivit imago - volume 1
Età arcaica e repubblicana