Tua vivit imago - volume 1

LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI 95 100 Nec miserae prodesse in tali tempore quibat, quod patrio princeps dona rat nomine regem. Nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras deductast, non ut sollemni more sacrorum perfecto posset claro comitari Hymenaeo, sed casta inceste nubendi tempore in ipso hostia concideret mactatu maesta parentis, ex tus ut classi felix faustusque daretur. Tantum religio potuit suadere malorum. Non poteva in quel momento giovarle, infelice, l aver donato al re il nome di padre per prima. Fu sollevata a braccia dagli uomini e tremante condotta all altare, non per essere accompagnata, dopo il rito solenne, da Imeneo col suo canto sonoro, ma per cadere, empiamente pura nel tempo stesso delle nozze, mesta vittima immolata dal padre, perché fosse concessa alla flotta fausta e fortunata partenza. A tanto male poté indurre la religione. (trad. L. Canali) 93-94. Nec miserae regem La religio calpesta anche i più stretti vincoli di parentela: Agamennone è costretto a sacri care la sua primogenita. dona rat: forma contratta di donaverat; la persona a cui si dona è qui all accusativo e la cosa donata è in ablativo. 95-97. Nam Hymenaeo deductast: aferesi per deducta est. non ut posset: il pàthos della scena è accresciuto da questa proposizione negativa: la natura vorrebbe che I genìa, ormai in età da marito, fosse portata all altare per le nozze, e poi, compiuto il rito, si svolgesse la tradizionale processione nuziale. Ma altro è il suo destino: ancora una volta Lucrezio sottolinea le perverse, innaturali conseguenze della religio. perfecto posset claro comitari: doppia allitterazione (p e c). Hymenaeo: person cazione del canto nuziale. 98-101. sed casta malorum casta inceste: l ossimoro* cristallizza la contrapposizione tra natura e religio, perché I genìa, del tutto innocente (casta), cade vittima di un rito empio (inceste): Lucrezio osa riferire polemicamente alla religio un avverbio come inceste. maesta: lo stesso aggettivo è, non a caso, attribuito al padre Agamennone al v. 89. ex tus ut: anastrofe*; da ut dipende il congiuntivo daretur: proposizione nale. Analisi dei testi La religio tradizionale La trattazione vera e propria del poema ha inizio al v. 62, dove Lucrezio descrive la condizione infelice degli uomini che vivono prigionieri delle superstizioni religiose: Epicuro (che non viene qui nominato esplicitamente, ma indicato con l espressione Graius homo mortalis, v. 66) è stato il primo essere mortale a s dare queste superstizioni e a indagare con la forza del pensiero scienti co la natura delle cose, che esclude appunto l azione degli dèi. I vv. 62-79 hanno un importanza fondamentale nell economia del poema, perché introducono esplicitamente la connessione tra ignoranza delle causae rerum, timore degli dèi e paura della morte (cioè di una punizione ultramondana). Un ritratto eroico Questo primo elogio di Epicuro (ne seguiranno altri nel corso del poema: III, 1-30; 484 V, 1-54; VI, 1-34) riprende elementi tradizionali della letteratura epicurea greca, come si vede dal confronto con questo frammento testimoniato da Eusebio di Cesarea (III-IV secolo d.C.): «Epicuro, sporgendosi sul mondo e varcando le mura del cielo (364 Usener). Al tempo stesso, adotta la terminologia militare romana (refert victor, v. 75) e presenta il losofo come un primo scopritore (primum, v. 66; primus, v. 67), come un salvatore quasi divinizzato, che si avvicina e fa avvicinare al livello delle divinità (nos exaequat victoria caelo, v. 79) pur essendo un semplice homo mortalis (v. 66), e persino come un eroe epico (tollere contra / est oculos ausus primusque obsistere contra, vv. 66-67; animi virtutem, v. 70; vivida vis animi perv cit et extra / processit longe ammantia moenia mundi, vv. 72-73).

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Età arcaica e repubblicana