Tua vivit imago - volume 1

LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI virtus quaerendae finem re scire modumque, virtus divitiis pretium persolvere posse, virtus id dare quod re ipsa debetur honori, hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum, 1335 contra defensorem hominum morumque bonorum, hos magni facere, his bene velle, his vivere amicum; commoda praeterea patria i prima putare, deinde parentum, tertia iam postremaque nostra. è riuscire ad assegnare un valore alla ricchezza, virtù è dare agli onori ciò che in effetti gli si deve, esser nemici e avversari di uomini e costumi cattivi e al contrario difensori di uomini e costumi buoni, questi stimare molto, a questi voler bene, con questi vivere in amicizia; mettere inoltre al primo posto gli interessi della patria, poi quelli dei genitori, al terzo e ultimo i nostri. (trad. E.R. D Amanti) so il verbo sit. quaerendae re: lett. del procacciarsi guadagno (re) . Quaerendae è un gerundivo, da quaero, ricerco , da ricollegare a re. Questa parola (così re- staurata dai lologi) rappresenta la forma arcaica del dativo rei. contra: avverbio, al contrario . magni: genitivo di stima, da collegare con facere. patria i: forma arcaica del genitivo singolare della prima declinazione. Equivale a patriae. prima: complemento predicativo dell oggetto, da collegare a commoda. Analisi del testo Una discussione poetica sulle virtù La de nizione della virtù, cioè del modo di agire retto e conveniente nell uomo, ricopre un ruolo centrale nella loso a etica, cioè quella loso a che si interessa delle azioni umane. Il più importante esempio, in questo senso, è quello di Socrate: in un dialogo scritto da Platone (428/427-348/347 a.C.), il Menone, un intera sezione (71e-73a) è dedicata proprio alla de nizione socratica di virtù. Il tema, sviluppato anche da Aristotele, riscuote un notevole successo nelle maggiori loso e ellenistiche: l epicureismo, lo stoicismo, il cinismo, lo scetticismo. Praticata in particolar modo nella cosiddetta diàtriba cinico-stoica , un genere loso co improntato sul modello del dialogo, l indagine sulla virtù giunge a Roma soprattutto grazie alla mediazione dello stoicismo. Il più fulgido esempio, in lingua latina, di questa speculazione è costituito dal trattato di Cicerone De of ciis (Sui doveri, in tre libri, del 44 a.C. p. 561), interamente dedicato alla de nizione degli obblighi morali del buon Romano. Il brano di Lucilio qui proposto il frammento del poeta più lungo e più articolato a noi giunto elenca una serie di comportamenti tradizionalmente considerati retti, in piena sintonia con le dure accuse mosse dal poeta alla corruzione morale e alle volga- ri ambizioni dei suoi contemporanei. Il testo appare quadripartito: ai vv. 1326-1330 Lucilio delinea la virtù in rapporto alla capacità umana di saper adeguare il proprio comportamento alle circostanze, attribuendo il giusto valore alle cose; ai vv. 1331-1333, direttamente collegati ai precedenti, il poeta si sofferma sulla necessità di riconoscere e di perseguire la misura nell accumulo di ricchezze, mantenendo saldo il proprio onore; ai vv. 1334-1336, si concentra sull aspetto pubblico della virtù, che consiste nella stima degli uomini onesti e nella deprecazione di quelli improbi; chiude il frammento, ai vv. 1337-1338, quella che si può considerare come una de nizione della pietas: porre al primo posto il bene della patria (patria i, genitivo arcaico che rende ancora più solenne la frase), a seguire quello dei parentes (i genitori, ma per estensione l intera famiglia) e, solo alla ne (postrema, v. 1338), il proprio. Stilisticamente, il brano si segnala per la martellante ripetizione del sostantivo virtus, in alcuni casi in anafora* (vv. 1328-1329; vv. 1331-1333). La sintassi è semplice, costituita quasi soltanto da una serie di in niti sostantivati, riferiti alla virtus. Mettiti alla prova Laboratorio sul testo ONLINE 320

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Età arcaica e repubblicana