PLUS - Le interiezioni in Plauto

DALLE ORIGINI ALLA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO ! repetita iuvant 723a p. 174 724a 725 725a 726 Perditissimus ego sum omnium in terra; nam quid mi opust vita, qui tantum auri perdidi, quod concustodivi sedu lo? Ego met me defraudavi animumque meum geniumque meum; nunc eo alii laetificantur meo malo et damno. Pati nequeo. 723-726. Perditissimus Pati nequeo Perduto il tesoro, l avaro non vede più alcun senso nella sua vita. Perditissimus omnium: il più disgraziato di tutti (complemento partitivo in dipendenza da un superlativo relativo). opust: opus est; all aferesi si combina qui il fenomeno della -s cadùca, proprio della lingua arcaica. qui: pronome relativo riferito a mi (= mihi). concustodivi: verbo composto, formato dall unione del pre sso con- e di custodio. un invenzione plautina che intensi ca il signi cato del verbo base ( ho custodito con ogni cura ), ulteriormente ribadito dall avverbio sedu lo ( con cura ). Ego met me defraudavi: l utilizzo della diatesi attiva, l enclitica intensiva -met e la presenza di un altro tricolon (me animumque meum geniumque meum, con epifora) rafforzano comicamente il paradosso per il quale Euclione ha ingannato sé stesso , lasciandosi sottrarre la pentola. geniumque meum: il genius era per i Romani il nume tutelare di ogni uomo dalla nascita alla morte, e nel giorno del compleanno era consuetudine dedicare a questa divinità protettrice un banchetto. eo meo malo et damno: di questo mio male e danno (nota l allitterazione). Pati: in nito presente di patior ( sopportare ). Le interiezioni in Plauto Nella commedia latina è frequente l uso di interiezioni, usate o con valore asseverativo o come formule di giuramento oppure in luogo di vere e proprie imprecazioni. Molte di esse utilizzano nomi di divinità o di eroi divinizzati, invocati in origine come testimoni o garanti di un determinato atto. Con il tempo, tali formule hanno perso il loro valore sacrale e sono entrate nel linguaggio comune come semplici esclamazioni, e come tali compaiono in Plauto e Terenzio. sicuramente Plauto a farne un uso molto più frequente per una precisa scelta stilistica, dal momento che esse danno colore al discorso e accrescono la vis comica. Fra le interiezioni che utilizzano nomi di divinità le più frequenti fanno riferimento ai Diòscuri (o, più correttamente, Dioscùri), i due gemelli Càstore e Pollùce. Ecastor e mecastor derivano dal nome di Càstore: la prima è il vocativo di Castor preceduto dal prefisso e-, la seconda utilizza invece il prefisso me-, cioè l accusativo del pronome personale di prima persona, ed equivale perciò a una richiesta di aiuto (come a dire: Càstore, aiutami! ). Questa interiezione è usata soltanto da personaggi fem- 172 minili, ma la ragione non è chiara: già gli stessi Romani si interrogavano sul motivo di tale selezione (per esempio Aulo Gellio, Notti Attiche XI, 6: «Perché le donne di Roma non giuravano per Ercole, né gli uomini per Càstore ). Il nome di Pollùce è presente invece in pol e ede pol, espressioni che sembrerebbero essere usate indifferentemente da personaggi maschili e femminili. Altre interiezioni derivano invece dal nome dell eroe e semidio Ercole: hercules, hercule, hercle, mehercules, mehercule, mehercle. Si tratta di formule legate al vocativo (che poteva essere Hercules o Hercule), negli ultimi tre casi con l aggiunta del già citato prefisso me-. Le interiezioni iuppiter ed eiu no più comune la prima, rara la seconda si rifanno invece ai nomi di Giove e Giunone. Molto comuni sono anche le interiezioni age, age dum e ag te, definibili come imperativi irrigiditi del verbo ago e usate come i nostri suvvia , orsù . Altre particelle interiettive sono ne e nae, equivalenti a un sì deciso, vah come espressione di stupore e vae per indicare invece sdegno e ira, oppure in altri casi disperazione.

Tua vivit imago - volume 1
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Età arcaica e repubblicana