La pittura manierista

La pittura MANIERISTA

In 2 parole
Composizioni ASIMMETRICHE, colori FREDDI e INNATURALI

Con il termine “Manierismo” si indica lo stile diffuso nella seconda metà del Cinquecento, che si ispira alla “maniera” (cioè al modo di dipingere) dei grandi maestri Leonardo, Raffaello e Michelangelo, esaltandone però il virtuosismo e l’espressività. Il nuovo stile supera quindi gli ideali di equilibrio e armonia rinascimentali, per dare più spazio all’espressione degli stati d’animo, attraverso le pose innaturali delle figure, le proporzioni allungate, i colori freddi e, talvolta, anche attraverso la scelta di soggetti bizzarri. Il Manierismo si diffonde in Italia e poi in Europa grazie alla sempre più frequente mobilità degli artisti, invitati presso le diverse corti europee.

L’arte inquieta di Rosso Fiorentino

Rosso Fiorentino (Firenze 1495-Fontainebleau, Francia, 1540), artista dalla personalità complessa, lavora a Firenze, a Roma e in Francia.

Rosso crea atmosfere di sogno, lontane dalla realtà, infondendo alle espressioni dei suoi personaggi inquietudine e mistero.

Nella sua Deposizione i gesti angosciati dei personaggi e la posizione dei corpi sono resi con spiccata teatralità: alcuni uomini sostengono a fatica il corpo di Gesù, mentre in basso la madre, sorretta da due donne, è piegata dal dolore. Verso di lei si protende la Maddalena, con una posa molto drammatica, mentre san Giovanni a destra è ritratto in un gesto di profonda disperazione.

Le figure hanno profili secchi e taglienti, come fossero scolpite nel legno, e la luce esalta i colori freddi e contrastanti. L’influenza di Michelangelo è facilmente riconoscibile nella resa dei particolari anatomici del corpo di Gesù e delle membra nude delle altre figure presenti nella scena.

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Le atmosfere sospese di Pontormo

Jacopo Carrucci (Pontorme, Empoli 1494-Firenze 1557) è detto Pontormo, dal nome del piccolo borgo in cui è nato.

La sua pittura, in continua evoluzione, incarna perfettamente il Manierismo: il punto di partenza sono gli esempi di Leonardo e di Raffaello, su cui però si innesta un’ammirazione fortissima per l’opera di Michelangelo.

In particolare la Deposizione di Cristo nel sepolcro è considerata una delle opere in cui l’influenza della “maniera” di Michelangelo è più evidente, nella definizione scultorea dei corpi e nella scelta dei colori freddi che ricordano quelli del Tondo Doni (▶ p. 265). Allo stesso tempo, tuttavia, la creazione di un’atmosfera priva di drammaticità, che pervade di grazia la scena, rivela il debito dell’artista nei confronti di Raffaello.

Il corpo di Cristo viene deposto nel sepolcro da personaggi dai corpi affusolati, che sembrano guardare attoniti fuori dal dipinto. Tutto il dolore e il dramma della scena sono concentrati sul volto della Madonna, mentre la composizione, nell’insieme, risulta sospesa e armonica.

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L’uso drammatico della luce di Tintoretto

Eterno rivale di Tiziano, Jacopo Robusti (Venezia 1518-1594), chiamato Tintoretto perché figlio di un tintore, studia a Venezia, ma apprende anche l’arte toscana e romana attraverso le incisioni che circolano in Laguna. In particolare, si ispira alla monumentalità dei corpi di Michelangelo e dipinge grandi scene affollate e dinamiche segnate da una luce che accentua la profondità dello spazio e il movimento della scena. I soggetti sono storie sacre o mitologiche, come nella tela con il Ritrovamento del corpo di san Marco, che raffigura il momento in cui San Marco, circonfuso di luce, appare ai veneziani ad Alessandria d’Egitto, dove si trovavano per dissotterrare i cadaveri dalle tombe alla ricerca del corpo del santo, da riportare in Laguna. L’architettura è protagonista del dipinto, al pari delle figure, ritratte in pose teatrali e atteggiamenti drammatici. I colori sono cupi e la luce crea forti contrasti di chiaroscuro.

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Le grandi scenografie di Veronese

Il pittore Paolo Caliari (Verona 1528-Venezia 1588) è conosciuto con il nome di Veronese, dalla sua città di origine.

Veronese dipinge prospettive grandiose che, attraverso effetti illusionistici, vogliono suscitare meraviglia e stupore. Il pittore rielabora e fonde il realismo di Giorgione, i caratteri della pittura ufficiale di Tiziano e l’innovativo uso della luce di Tintoretto.

I suoi colori sono chiari e luminosi e le figure imponenti, le composizioni sono equilibrate e solenni, i dettagli sono disegnati in maniera realistica così come i complessi e ampi scenari architettonici “all’antica”.

Nella grande tela delle Nozze di Cana, il primo miracolo di Cristo (quando a un banchetto di nozze trasformò l’acqua in vino) è ambientato in un’architettura classica monumentale, con colonne e pavimenti in marmi colorati. Il contrasto tra luce e ombra è ben evidente osservando le colonne a sinistra e a destra. Sullo sfondo, dietro a una balaustra, si intravede una città.

La scena è affollata, ma i personaggi, in abiti sfarzosi, sono disposti ordinatamente e con teatralità. L’episodio evangelico diviene quindi l’occasione per raffigurare la vita dell’aristocrazia veneziana alla metà del Cinquecento.

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Le bizzarre teste di Arcimboldo

Animato da un grande gusto per lo strano e il raro, l’imperatore Rodolfo II d’Asburgo chiama alla sua corte a Praga l’originale pittore milanese, Giuseppe Arcimboldi (Milano 1527-1593) detto Arcimboldo. L’imperatore è particolarmente interessato alle “teste bizzarre” che l’artista dipinge assemblando in modo curioso oggetti di varia natura, come se fossero dei puzzle. Lo scopo di Arcimboldo è suscitare meraviglia e stupore con la sua abilità pittorica e la sua fantasia. L’artista dimostra una particolare capacità di osservazione e riproduzione della realtà, di cui evidenzia soprattutto il lato fantastico e magico. Nello stesso tempo mostra come gli oggetti possano cambiare profondamente significato in base al contesto in cui sono collocati.

Nel dipinto Il bibliotecario, Arcimboldo rappresenta il custode del sapere per eccellenza attraverso gli oggetti di cui si prende cura quotidianamente: i libri. La sua dedizione al lavoro e l’amore per i libri sono tali che diviene tutt’uno con essi: due grandi volumi inclinati diventano un braccio piegato, mentre le dita della mano sono evocate da alcuni sottili segnalibri. Un massiccio volume, aperto circa a metà, crea una chioma un po’ ribelle, mentre altri libri più piccoli danno forma ai tratti del volto: un’ampia fronte, un naso prominente e una delle due guance. Sullo sfondo, la tenda azzurro scuro (preziosa e avvolgente) si trasforma in un mantello che non copre una spalla in carne e ossa ma un’alta pila di libri, sovrapposti a formare il busto.

beni culturali
TUTELA DEL PATRIMONIO La Wunderkammer di Rodolfo II

Le Wunderkammer, ossia le “stanze delle meraviglie”, sono un fenomeno tipico del tardo Cinquecento che interessa nobili e studiosi di tutta Europa: si tratta di collezioni private di oggetti rari e stupefacenti, spesso esotici. Questi primi nuclei di raccolte sono alla base della nascita delle grandi collezioni che si svilupperanno nei secoli successivi e che in alcuni casi sono giunte sino a noi, conservate oggi nei musei.

Anche Rodolfo II, il mecenate di Arcimboldo, allestisce nel suo castello a Praga una Wunderkammer. L’ansia di accumulare oggetti rari e preziosi provenienti da ogni dove è tipica del carattere del sovrano. La stanza infatti è stipata di oggetti incredibili: coralli, piume colorate, calchi di lucertola, ossa, automi, pistole, corni, drappi. La scelta degli oggetti non sta tanto nella loro preziosità, ma nella loro rarità e nella capacità di sorprendere il visitatore che vedeva la collezione.

InsegnArti - volume B
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Storia dell’arte