Torquato Tasso

I GRANDI TEMI

1 Il difficile rapporto con la corte

Ariosto e Tasso: due modi diversi di vivere a corte A distanza di poco più di due decenni, Ariosto e Tasso vivono nella stessa corte, quella ferrarese degli Estensi. Il primo, addirittura, vi si trasferisce bambino e, divenuto poeta, vi si adatta, con discrezione e realismo, tollerando contraddizioni e ipocrisie e mitigando (come si è visto nelle Satire, T2, p. 717) la protesta e la disapprovazione. Senza mai rinunciare alla sua dignità – al pari dei contemporanei Machiavelli e Guicciardini, costretti anch’essi a dolorose sconfitte personali – Ariosto fronteggia la realtà, per quanto spregevole possa essere, senza mai lasciarsene sopraffare, osservando con equilibrio e con coscienza critica le miserie dell’esistenza.

Tasso, invece, a corte arriva da lontano, desideroso di gloria e blandito come un ospite eccezionale. E vi arriva con la convinzione di trovare un pubblico aristocratico, fatto di spiriti eletti, che possa apprezzare e capire fino in fondo la sua arte. In altre parole, idea­lizza un ambiente che invece si rivela un luogo di invidie e maldicenze, insidiato dal conformismo e dalla presenza occhiuta del tribunale dell’Inquisizione.

Il conflitto tra ideale e reale La corte quale regno di bellezza, di genuina naturalezza e di splendore dell’arte esiste ormai solo nella fantasia di Tasso, che vi proietta tutta la propria sognante immaginazione: i cortigiani sono per lui gloriosi cavalieri armati in difesa della fede, le principesse eleganti fanciulle a cui promettere amore e dedizione, il principe un magnanimo eroe pronto a guidare una nuova crociata e, al tempo stesso, disposto a sostenere con munifica generosità l’attività letteraria. La realtà si manifesta invece agli occhi del poeta molto diversa, e diversi i suoi protagonisti: tutt’altro che anime gentili impegnate in nobili imprese; piuttosto, piccoli uomini alle prese con litigi e miserie quotidiane.

Certo, sopravvivono ancora l’abbagliante vitalità esteriore e le apparenze lussuose: feste, spettacoli, concerti. Ma tali cerimonie – in cui Tasso vede rispecchiata la più profonda anima rinascimentale – «costituivano l’ultimo lusso d’un mondo al tramonto, mentre dietro l’aurea facciata la diffidenza e il sospetto, l’invidia e la gelosia, ma soprattutto l’abile dissimulazione e il gioco diplomatico, avevano corrotto l’ambiente cortigiano creando una atmosfera ambigua in cui serpeggiavano, contrastando tra di loro, residui fuochi dell’originaria sensualità, ricca e animosa, e tortuose preoccupazioni e meschine ipocrisie» (Caretti).

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Il valore assoluto della letteratura A questa degenerazione Tasso non sa rispondere con disincanto o spregiudicatezza: reagisce invece con crescente instabilità, con un tormento inappagato, con un senso di disagio che lo porta a sentirsi uno sradicato, un disadattato. Serenità, ironia e dominio delle passioni sono per lui impossibili: la coscienza dello scarto tra sé e il modello del cortigiano (incarnato, tra l’altro, dalla figura del padre Bernardo) accentua la frustrante percezione di essere un ospite indesiderato, vittima di un mondo che non lo comprende.

Del resto, se Ariosto rivendica il proprio diritto a essere uomo tra gli uomini e a cercare il giusto mezzo nella vita e nell’arte, Tasso non può concepire la propria esistenza se non nell’inestricabile intreccio con la letteratura: in un’epoca che soffoca la libertà espressiva e impone di banalizzare l’ispirazione dentro schemi forzati (retorici o religiosi), egli tenta – tra le infinite incongruenze della sua personalità e rimbalzando tra insoddisfazione, autocensura e ricerca dell’ortodossia – di restituire alla letteratura ancora un ruolo conoscitivo, ridando dignità alla poesia. È una ricerca disperata, che lo porta a un conflitto con l’autorità da cui esce sconfitto, ma che, al contempo, fa di lui, con tutte le contraddizioni della sua psiche, il primo grande letterato della modernità.

2 Tra sensualità e spiritualità

Tra Rinascimento e Barocco Non capiremmo la figura di Torquato Tasso nella sua complessità se non la collocassimo al centro dell’epoca manierista, che assiste alla crisi (ma non ancora alla fine) dei valori rinascimentali, ai quali si oppongono i nuovi valori dell’età controriformistica. La sua parabola poetica e umana suggerisce proprio l’immagine di questa transizione. Prima, percepiamo le atmosfere e i contenuti, ancora solari, lirici e pieni di accensioni sensuali, della sua produzione giovanile, dalle rime giovanili fino all’Aminta; poi, le pagine, tormentate e laceranti, della Gerusalemme liberata e, ancor più, del suo rifacimento e delle ultime opere (per esempio, quelle sacre e Re Torrismondo) ci fanno presentire l’affermazione di ideali religiosi rigidi e assoluti e una profonda ansia spirituale che prelude a una visione del mondo tragica e barocca.

La sirena fugace dell’amore Tuttavia, sin dalle sue prime prove l’immaginazione poetica di Tasso è sempre ambivalente, come se un’innata e libera vocazione lirica e passionale si dovesse confrontare con gli aspetti più bui e inconfessabili di una realtà perennemente minacciata dall’incombere della morte. Per questo, a Tasso anche l’amore appare sempre avvolto da un’atmosfera di mistero, come l’incanto di una favola dai contorni irreali, destinata a svanire rapidamente.

Questo sentimento di precarietà fa nascere nella sua poesia un tono voluttuoso e sensuale, che non alimenta mai un fiducioso e sereno abbandono alla bellezza dei sensi, ma esprime al contrario la consapevolezza che, come ogni altra cosa bella della vita, anche il piacere e la sensualità si spengono presto e sfioriscono senza lasciare traccia. Il poeta non rinuncia a dipingere il fascino di imprevedibili oasi di pace, ma si tratta solo di rifugi dalla dura quotidianità dell’esistenza, che si ripropone puntuale con le sue contraddizioni e tragedie.

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Le tensioni contrapposte: il «bifrontismo» di Tasso Intorno a questo dissidio – tra bellezza e dolore, sogno e realtà – ruota l’intera produzione di Tasso, da quella minore alla Gerusalemme liberata. Da un lato troviamo i motivi rinascimentali, che non hanno perso attrattiva (l’amore, l’edonismo, la libertà); dall’altro, però, tali motivi, che Ariosto vagheggiava ancora con tranquillità d’animo, appaiono ora effimeri e minacciati da forze oscure, misteriose e irrazionali. Si tratta, per usare la definizione del critico Lanfranco Caretti, di una sorta di «bifrontismo»: Tasso è sempre in bilico tra l’aspirazione alla serenità del classicismo umanistico-rinascimentale e un’inclinazione alla trasgressione che pare anticipare il Barocco.

Tale ambiguità caratterizza tutta la sua personalità. Sul piano ideologico, il desiderio di naturalezza, la spinta all’evasione verso uno spazio incontaminato, il fascino esercitato su di lui dal sentimento amoroso e dalla sensualità passionale cozzano con le convenzioni imposte dall’etica e dalla religione, con il controllo esercitato dalle corti, sempre più ripiegate su sé stesse in un angusto culto dell’etichetta formale, e infine con una sorta di autocensura, che gli intima di adeguarsi ai sistemi ideologici e ai valori controriformistici. La celebrazione dell’ideologia cristiana, che vediamo nella Gerusalemme liberata, nasce proprio da questa esigenza di ortodossia autoimposta: un’esigenza che non impedisce tuttavia il continuo affiorare delle languide e seducenti tentazioni dell’amore.

Uno stile «magnifico» ed emotivo Sul piano stilistico è possibile notare la stessa ambivalenza. Tasso infatti, pur non rinunciando mai alla ricerca del decoro e dell’eleganza formale, oscilla tra un linguaggio fluido e sfumato e uno più mosso, tendente al solenne e al sublime (che definisce «magnifico»). È un pluristilismo che risente indubbiamente della sua scissione interiore: da una parte l’anima più edonistica e sentimentale, che si riflette nel registro lirico; dall’altra quella etica e religiosa, che si manifesta nei toni epici e drammatici.

Da rappresentante del Manierismo qual è, Tasso si rivela un esperto e sapiente cesellatore di immagini e parole, ricorrendo a una vasta gamma di “maniere” e reminiscenze della tradizione letteraria, in primo luogo quella del Petrarchismo rinascimentale. Eppure, anche in questo ambito il poeta rimane fedele a sé stesso, esasperando la ricerca degli effetti fino al cerebralismo e all’eccesso di virtuosismo, studiando metafore e giochi verbali e fonici di facile presa, finendo quindi per anticipare le sottigliezze e le artificiose invenzioni che troveremo nella poesia barocca del Seicento.

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3 Amore e letteratura

La centralità dell’amore Buona parte della produzione di Tasso ruota intorno all’amore. Come vedremo, anche in un poema epico complesso quale la Gerusalemme liberata, accanto al sentimento religioso e al tema cavalleresco l’amore svolge una funzione essenziale sia come sinonimo di perdita di controllo e razionalità, sia come errore peccaminoso e voluttà sensuale in conflitto con il dovere e la coscienza, sia ancora come sofferenza che conduce alla morte.

L’impossibile abbandono al piacere In ogni caso, l’amore non è mai vissuto come passione appagante, soggetto com’è a una fatalità che incombe e proietta sempre una luce sinistra di tragicità e disinganno su ogni vicenda sentimentale. Anche quando Tasso evade verso l’idillio pastorale, come nell’Aminta, il rimpianto prevale sempre sul sereno godimento del piacere senza condizionamenti: un mondo di libertà, dominato dall’amore, esiste, ma solo nel tempo indefinibile di una bella favola. Anche dove, a prima vista, l’autore celebra la forza dell’amore e dell’istinto, si coglie sempre il lamento per il fatto che quella forza è ormai perduta: può essere vagheggiata ma non realizzata, perché oppressa dalle leggi, dalla falsa moralità, dall’ipocrisia della vita cortigiana.

Dove sono finiti gli affetti più schietti? Dove la purezza originaria degli uomini e la felicità dei sensi da assaporare senza remore a contatto con la natura? Dietro la calda musicalità dei versi e le atmosfere idealizzate delle opere di Tasso si scorge sempre una riflessione sconsolata sul mondo in cui l’autore vive, nell’incerto equilibrio tra la speranza di felicità (possibile solo, non a caso, tra i felici pastori di un’età dell’oro perduta per sempre) e la delusione, fra uno struggente bisogno di autenticità e l’ipocrisia che regola i meccanismi del “vivere civile”.

Letteratura e vita: un legame inestricabile Nonostante la Controriforma esiga l’inderogabile osservanza dei princìpi religiosi, Tasso non rinuncia mai all’espressione della malinconia e dell’insofferenza. La letteratura si configura per lui come il luogo delle proprie tensioni e contraddizioni irrisolte: è grazie alla letteratura che egli tenta di surrogare la realtà, concependo la poesia come un’alternativa al mondo reale e come luogo del supremo riconoscimento di sé. Per questo si può dire che con Tasso venga meno l’idea dell’arte come regno appartato, paradiso astratto e sublime, non toccato dalle iniquità del mondo, tipica della letteratura umanistica. Egli afferma invece una nuova visione della letteratura, nella quale il poeta ha il dovere e insieme la missione di recuperare senso e dignità al proprio ruolo, documentando la molteplicità e le contraddizioni di una realtà storica frammentaria e dilaniata, impossibile da sanare: a costo, come sappiamo, di rimanere solo e veder deluso dappertutto, nel suo lungo ed errabondo supplizio per le corti d’Italia, il desiderio di essere compreso e lasciato libero.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento