T5 - I principati nuovi che si acquistano con le armi di altri e con la fortuna
T5
I principati nuovi che si acquistano con le armi di altri e con la fortuna
Il Principe, VII
Audiolettura
1. Coloro che solamente con l’aiuto della fortuna da privati cittadini diventano
principi, con poca fatica diventano principi, ma con grande fatica mantengono il
potere. Essi non incontrano alcuna difficoltà lungo il percorso, perché lo fanno
come se volassero. Ma tutte le difficoltà sorgono quando sono giunti al potere.
danari o per la grazia di chi lo concede. Ciò avvenne a molti in Grecia, nelle città
della Ionia e dell’Ellesponto. Essi furono fatti principi da Dario,1 affinché mantenessero
quelle città per la sua sicurezza e per la sua gloria. Ciò avvenne ancora a
quegli imperatori romani che, da cittadini privati, pervenivano al potere mediante
fortuna di chi ha loro concesso il potere, due cose molto volubili ed instabili.
E non sanno e non possono mantenere quel grado. Non sanno, perché, se non è
uomo di grande ingegno e virtù, non è ragionevole che, essendo sempre vissuto
come cittadino privato, sappia comandare. Non possono, perché non hanno forze
tempo, come tutte le altre cose della natura che nascono e crescono in poco
tempo, non possono far penetrare in profondità le loro radici e le loro ramificazioni.
In tal modo il primo tempo avverso li spegne,3 se, come si è detto, costoro,
che così rapidamente sono diventati principi, non sono di tanta virtù che sappiano
e gli costruiscano poi quelle fondamenta che gli altri principi hanno fatto prima
di diventare principi.
2. All’uno ed all’altro di questi modi di diventare principe per virtù o per
fortuna io voglio addurre due esempi che sono avvenuti a nostra memoria.4 Essi
con una grande virtù, da privato diventò duca di Milano. E quello che con mille
affanni aveva acquistato, con poca fatica mantenne. Cesare Borgia, chiamato
dal volgo duca Valentino, acquistò invece lo stato con la fortuna del padre, e
con quella lo perdette. Non servì a nulla che usasse ogni opera e facesse tutte
in quegli stati che le armi e la fortuna di altri gli avevano concesso. Come più
sopra si disse, chi non fa le fondamenta prima, potrebbe con una grande virtù
farle poi, per quanto si facciano con disagio dell’architetto e pericolo dell’edificio.
Se dunque si considerano tutti i modi di agire del duca, si vedrà che egli ha
discutere, perché io non saprei quali precetti migliori dare a un principe nuovo,
che l’esempio delle sue azioni. E, se i suoi ordinamenti politici non gli recarono
profitto, non fu colpa sua, perché ciò dipese da una straordinaria ed estrema
malignità della fortuna.
40 3. Nel voler fare grande il duca suo figlio, Alessandro VI8 aveva numerose
difficoltà presenti e future. Per prima cosa non vedeva via di poterlo fare signore
di alcuno stato che non fosse lo stato di Chiesa.9 E, se si volgeva a togliere quello
della Chiesa, sapeva che il duca di Milano e i veneziani non glielo avrebbero
acconsentito,10 perché Faenza e Rimini erano già sotto la protezione dei veneziani.
45 Per seconda cosa vedeva che gli eserciti dell’Italia11 (in particolare quello di
colui di cui si poteva servire) erano nelle mani di coloro che dovevano temere la
grandezza del papa. Perciò non se ne poteva fidare, poiché erano tutti capeggiati
dagli Orsini e dai Colonna,12 e dai loro complici. Era adunque necessario che si
sconvolgessero quegli ordinamenti politici e che si disarticolassero gli stati di
50 costoro, per far sì che egli si potesse insediare con sicurezza su parte di quegli
stati. Ciò gli fu facile; perché trovò che i veneziani, mossi da altre cause, avevano
deciso di far ritornare i francesi in Italia.13 Ciò non solamente non ostacolò i
suoi piani, ma li rese anche più facili con lo scioglimento del precedente matrimonio
del re Luigi XII.14 Il re passò dunque in Italia con l’aiuto dei veneziani e
55 con il consenso di Alessandro VI. Non era giunto a Milano, che il papa ebbe da
lui un contingente di soldati15 per l’impresa di Romagna.16 Essa gli fu resa possibile
per la reputazione17 del re. Così egli acquistò la Romagna e batté i Colonna.
Per mantenerla e per procedere con i suoi piani, il duca era impedito18 da due
cose: l’una, le sue armi che non gli sembravano fedeli; l’altra, la volontà della
60 Francia. Egli temeva che le armi degli Orsini, delle quali si era finora valso, lo
abbandonassero, e non solamente gli impedissero di acquistare altri territori,
ma gli togliessero anche quelli che aveva acquistato. Temeva che anche il re si
comportasse allo stesso modo. Della scarsa affidabilità degli Orsini ebbe un
riscontro di lì a poco, quando dopo l’espugnazione di Faenza, assalì Bologna.
65 Li vide andare freddi in quell’assalto.19 Circa il re, conobbe il suo animo quando,
conquistato il ducato di Urbino, assalì la Toscana. Da questa impresa il re
lo fece desistere. Perciò il duca decise di non dipendere più dalle armi e dalla
fortuna di altri. Per prima cosa indebolì i partigiani degli Orsini e dei Colonna
in Roma: guadagnò20 tutti i loro aderenti che fossero gentiluomini,21 facendoli
70 suoi gentiluomini e dando loro grandi stipendi. Secondo le loro qualità li onorò
di comandi militari e di governi. In tal modo in pochi mesi negli animi loro
l’attaccamento alle fazioni si spense e si volse tutto verso il duca. Dopo questa,
aspettò l’occasione di spegnere gli Orsini, avendo dispersi quelli di casa Colonna.
L’occasione gli giunse bene ed egli la usò meglio.22 Gli Orsini si erano accorti
75 troppo tardi che la grandezza del duca e della Chiesa erano la loro rovina. Perciò
fecero una riunione alla Magione, nel territorio di Perugia. Da quella riunione
nacquero la ribellione di Urbino, i tumulti di Romagna e infiniti altri pericoli.
Il duca li superò tutti con l’aiuto dei francesi. Una volta riacquistata la reputazione,
non fidandosi della Francia né delle altre forze esterne, per non doversi
80 scontrare con esse, ricorse agli inganni. Seppe tanto dissimulare il suo animo,
che gli Orsini, attraverso il signor Paolo Orsini, si riconciliarono con lui.23 Con
lui il duca ricorse ad ogni genere di cortesie per rassicurarlo. Gli diede danari,
vesti e cavalli; tanto che la loro semplicità24 li condusse a Sinigallia nelle sue
mani.25 Spegnendo questi capi e riducendo i loro partigiani ad amici suoi, il
85 duca aveva gettato fondamenta molto buone alla sua potenza: aveva il possesso
della Romagna con il ducato di Urbino. In particolare gli sembrava di aver acquistato
l’amicizia della Romagna e di essersi guadagnato tutti quei popoli, che
avevano incominciato a gustare il loro bene essere.26
4. Questa parte è degna di nota e merita di essere imitata da altri, perciò
90 non la voglio tralasciare. Il duca conquistò la Romagna e trovò che era stata
comandata da signori impotenti, che avevano spogliato i loro sudditi più che
riportati all’ordine. E avevano dato loro motivi di disunione, non di unione,27
tanto che quella provincia era tutta piena di latrocini, di brighe e di ogni altro
genere di insolenza.28 Per ridurla pacifica e obbediente al potere sovrano, egli
95 giudicò che fosse necessario darle un buon governo. Perciò vi prepose messer
Remirro de Orco,29 un uomo crudele e di modi sbrigativi, al quale dette i pieni
poteri. Costui in poco tempo la ridusse pacifica ed unita, ottenendo una grandissima
reputazione. Il duca giudicò poi che non era necessario un’autorità così
eccessiva, perché temeva che divenisse odiosa. E prepose un tribunale civile30 al
100 centro della provincia con un presidente davvero eccellente.31 In esso ogni città
aveva il suo avvocato. E, poiché capiva che le repressioni precedenti gli avevano
procurato qualche odio,32 per liberare da ogni ostilità gli animi di quei popoli
e guadagnarseli del tutto, volle mostrare che, se era avvenuta qualche crudeltà,
non era stata colpa sua, ma del cattivo carattere del ministro.33 Cogliendo l’occasione
105 opportuna, una mattina lo fece mettere tagliato in due pezzi sulla piazza
di Cesena, con un pezzo di legno e un coltello insanguinato accanto.34 La ferocia
di quello spettacolo fece sì che quei popoli rimanessero ad un tempo soddisfatti
e stupiti.35
5. Ma ritorniamo al punto di partenza. Dico che il duca si trovava assai potente
110 ed in parte si era assicurato dei presenti pericoli, poiché si era armato a suo modo
e aveva in buona parte spente quelle armi che, vicine, lo potevano offendere. Ora,
se voleva procedere con l’acquisto di altri territori, gli restava il rispetto del re di
Francia. Egli capiva che il re, il quale si era accorto troppo tardi del suo errore,36
non glielo avrebbe permesso. Per questo motivo incominciò a cercare nuove amicizie
115 e a prendere le distanze con la Francia, quando i francesi fecero una spedizione
verso il regno di Napoli contro agli spagnoli che assediavano Gaeta.37 La sua
intenzione era quella di assicurarsi la loro neutralità. Ciò gli sarebbe facilmente
riuscito, se Alessandro VI fosse rimasto in vita.38
6. Questi furono i suoi comportamenti quanto alle cose presenti. Ma, quanto
120 alle future, egli temeva in primo luogo che il nuovo successore alla Chiesa39
non gli fosse amico e che cercasse di togliergli quello che Alessandro VI gli aveva
dato. Pensò di eliminare ogni incertezza in quattro modi: primo, spegnere
tutti i discendenti di quelli signori che egli aveva spogliato, per togliere al papa
quell’occasione; secondo, guadagnarsi tutti i gentiluomini di Roma, per potere
125 tenere con quelli il papa in freno; terzo, ridurre il Collegio dei cardinali più
suo che poteva;40 quarto, acquistare tanto potere, prima che il papa morisse, da
poter resistere da solo a un primo scontro. Alla morte di Alessandro VI aveva
condotto a termine tre di queste quattro imprese. Aveva quasi portato a termine
anche la quarta. Dei signori spogliati dei loro beni ne ammazzò quanti ne poté
130 raggiungere, e pochissimi si salvarono. Si era guadagnato i gentiluomini romani.
E nel Collegio cardinalizio aveva grandissimo séguito. Quanto al nuovo acquisto,
aveva disegnato di diventare signore della Toscana. Possedeva già Perugia
e Piombino, e aveva preso la protezione di Pisa. E, come se non dovesse avere
rispetto per la Francia (non gliene doveva più, perché i francesi erano già stati
135 spogliati del Regno di Napoli dagli spagnoli, così che ciascuno di loro era costretto
a comperare la sua amicizia), assaliva41 con successo la città di Pisa. Dopo
questo, Lucca e Siena cedevano42 subito, in parte per invidia43 dei fiorentini, in
parte per paura. I fiorentini non avevano alcun rimedio da opporre.44 Se ciò gli
fosse riuscito (gli riusciva45 l’anno stesso in cui Alessandro VI moriva), acquistava
140 tante forze e tanta reputazione, che si sarebbe sorretto da solo, e non sarebbe
più dipeso dalla fortuna né dalle forze di altri, ma dalla sua potenza e dalla sua
virtù. Ma Alessandro VI morì dopo cinque anni che egli aveva incominciato ad
impugnare la spada.46 Lo lasciò con lo stato di Romagna solamente consolidato,
con tutti gli altri in aria,47 tra due potentissimi eserciti nemici,48 e soprattutto
145 malato a morte.49 Il duca era di grande ferocia e di grande virtù; conosceva bene
come gli uomini si guadagnano e si perdono; ed al suo stato aveva anche saputo
costruire valide fondamenta in poco tempo. Per questo motivo, se non avesse
avuto quegli eserciti addosso o se egli fosse stato sano, avrebbe saputo far fronte
ad ogni difficoltà. E che le sue fondamenta fossero buone, si vide con sicurezza:
150 la Romagna l’aspettò per più d’un mese;50 a Roma, per quanto mezzo morto,
stette sicuro; e, benché Baglioni, Vitelli ed Orsini51 venissero in Roma, non tentarono
nulla contro di lui. Egli poté fare papa, se non chi egli voleva, almeno
che non fosse chi non voleva.52 Ma, se alla morte di Alessandro VI fosse stato
sano, ogni cosa gli era facile. Egli mi disse, nei giorni in cui fu nominato Giulio
155 II,53 che aveva pensato a ciò che poteva succedere, alla morte di suo padre, e a
tutto aveva trovato rimedio, eccetto che non pensò mai, alla sua morte, di stare
ancora lui per morire.
7. Riflettendo su tutte le azioni del duca qui riportate, non saprei rimproverarlo.
Mi pare anzi, come ho già fatto, di poterlo indicare come modello da
160 imitare per tutti coloro che grazie alla fortuna e con le armi di altri sono saliti
al potere. Egli aveva un grande animo e una nobile intenzione,54 perciò non si
poteva comportare in altro modo. Ai suoi disegni si oppose soltanto la brevità
della vita di Alessandro VI e la sua malattia. Chi dunque giudica necessario nel
suo principato nuovo assicurarsi dei nemici,55 guadagnarsi degli amici, vincere o
165 per forza o per frode, farsi amare e temere dai popoli, farsi seguire e farsi temere
dai soldati, spegnere quelli che ti possono o ti devono offendere, innovare con
nuove istituzioni gli ordinamenti politici antichi, essere severo e grato, magnanimo
e liberale, spegnere la milizia infedele, crearne una nuova, mantenere le
amicizie di re e di principi in modo che ti abbino o a beneficare con grazia o
170 a offendere con rispetto,56 non può trovare esempi più freschi57 che le azioni
di costui. Si può solamente muovergli qualche rimprovero per la nomina del
pontefice Giulio II, nella quale egli fece una cattiva scelta. Come si è detto, se
non poteva fare un papa a suo modo, poteva almeno ottenere che uno non fosse
papa. Non doveva neanche permettere che divenisse papa uno di quei cardinali
175 che egli aveva offeso o, se lo diveniva, doveva fare in modo che avesse paura di
lui. Gli uomini offendono o per paura o per odio. Quelli che egli aveva offeso
erano, fra gli altri, San Pietro in Vincoli, Giovanni Colonna, San Giorgio, Ascanio
Sforza. Tutti gli altri cardinali, che fossero divenuti papa, dovevano temerlo,
eccetto Roano e gli spagnoli. Questi per il legame di parentela e per obbligo;
180 quello per la potenza, poiché aveva alle spalle il re di Francia.58 Pertanto il duca,
prima di ogni altra cosa, doveva creare papa uno spagnolo. Non potendo, doveva
acconsentire che fosse Roano e non San Pietro in Vincoli. E chi crede che
nei grandi personaggi i benefici nuovi facciano dimenticare le ingiurie vecchie,
si inganna. Il duca quindi commise un errore in questa elezione. E questo errore
185 fu causa della sua rovina definitiva.
DENTRO IL TESTO
I contenuti tematici
A differenza della condizione analizzata nel capitolo VI, nel VII Machiavelli prende in esame una situazione più difficile, quella di chi voglia mantenere il potere dovendo dipendere dalle armi e la fortuna di altri (r. 31). Questa è un’impresa ardua, in quanto al principe che ha beneficiato della fortuna spetta il compito poi di emanciparsi da essa. Infatti, uno Stato costituito solo grazie al concorso di circostanze esterne propizie è paragonato a un albero cresciuto in fretta, senza le radici e le loro ramificazioni (rr. 17-18): questa metafora* botanica rivela ancora una volta la concezione naturalistica di Machiavelli e rende l’idea della vulnerabilità dello Stato, se a esso non vengono fornite al più presto le fondamenta, che la fortuna non è in grado di erigere.
Per descrivere l’azione politica del principe seguiremo l’andamento cronologico utilizzato dall’autore isolando tre fasi essenziali: la conquista dello Stato; il rafforzamento del potere; i progetti futuri e la sconfitta.
Il racconto delle vicende del Valentino inizia con le difficultà presenti e future di papa Alessandro VI nel volere fare grande il duca suo figliuolo (rr. 40-41) e dargli un principato. La discesa in Italia di Luigi XII permette al pontefice di superare i due ostacoli maggiori: l’opposizione veneziana e milanese e l’insidia rappresentata dalle fazioni legate alle potenti famiglie romane degli Orsini e dei Colonna.
Ottenuto il principato, Cesare Borgia mostra risolutezza nel non dipendere più dall’arme e fortuna di altri (r. 31). Machiavelli indica le sue iniziative più lungimiranti (e, in alcune occasioni, efferate, ma ciò non induce l’autore a stigmatizzarle): uccidere gli Orsini, accaparrarsi il favore dei romagnoli, preparare un’alleanza con gli spagnoli.
Il Valentino è consapevole che la stabilità del suo Stato deriva dal favore del papa, e inizia a operare in modo che il pontefice destinato a succedere al padre non gli sia ostile. A questo fine, uccide gli eredi e i parenti di quelli che aveva spogliato di beni e potere, e si guadagna il favore dei nobili romani e del Collegio cardinalizio.
VERSO LE COMPETENZE
Comprendere
1 Riassumi in 20 righe il contenuto del capitolo.
2 L’insuccesso finale del Valentino viene spiegato da Machiavelli fornendo, in passi diversi, due interpretazioni contraddittorie tra loro. Quali?
ANALIZZARE
3 Quali eventi, tra quelli narrati, hanno avuto Machiavelli come testimone diretto?
INTERPRETARE
4 Oltre a quello di Cesare Borgia, l’autore analizza anche l’operato di Francesco Sforza. Perché?
5 Sintetizza le ragioni dell’ammirazione di Machiavelli per il Valentino esposte nel capitolo.
scrivere per...
COMUNICARE
6 Immagina di essere l’avvocato difensore del Valentino e il pubblico ministero che lo accusa. Metti per iscritto le due arringhe.
Dibattito in classe
7 Secondo Machiavelli, il potere politico conquistato con l’appoggio di altri è più instabile rispetto a quello conquistato facendo affidamento unicamente sui propri mezzi. Sei d’accordo con lui? Ti vengono in mente esempi, storici o recenti, che suffraghino l’una o l’altra tesi? Discutine con i compagni.
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento