Niccolò Machiavelli

LA VITA

La formazione e la carriera politica

Niccolò Machiavelli nasce a Firenze nel 1469 da una famiglia borghese, non agiata ma colta. «Nacqui povero, et imparai prima a stentare che a godere», scriverà nel 1513; tuttavia, nonostante l’iniziale scarsità di mezzi, riceve dal padre avvocato una buona educazione umanistica. Tra i suoi libri preferiti c’è il De rerum natura (La natura delle cose), il poema dell’autore latino Lucrezio (I secolo a.C.), che decide di trascrivere. È un primo indizio della personalità del giovane, interessato un testo di ispirazione materialistica in anni in cui, a Firenze, un frate domenicano,  Girolamo Savonarola, divenuto la guida spirituale della città, predica la moralizzazione della vita pubblica e privata, censurando la corruzione della Chiesa e i costumi licenziosi di uomini e donne. Proprio a Savonarola sono dedicate le sue prime riflessioni politiche, estremamente critiche nei confronti dell’operato e della personalità del frate.

Dopo la scomunica, la condanna e l’esecuzione di Savonarola (1498), Niccolò comincia la carriera politica. Nel giugno del 1498 assume infatti il ruolo di segretario della seconda Cancelleria della Repubblica, che si occupava degli affari interni della città: è l’inizio di quindici anni («né dormiti né giuocati», dirà) impegnati in viaggi, incarichi di rappresentanza e missioni speciali presso le corti italiane e straniere. Subito dopo gli viene affidato l’incarico di dirigere i “Dieci di libertà e pace”, una magistratura di carattere diplomatico-militare. Già in questi anni gli interessi di Machiavelli sono chiari: la diplomazia e l’esercito, ambiti fondamentali della sua futura elaborazione della scienza politica. Nel 1506 fonda i “Nove ufficiali dell’ordinanza e della milizia fiorentina”, un organismo che ristruttura le milizie della città.

L’esercito svolge in quegli anni convulsi un ruolo preminente. Il governo repubblicano, guidato dal gran gonfaloniere Pier Soderini, è minacciato su più fronti: all’interno, dove non mancano gli oppositori; all’esterno, dove preoccupano le mire espansionistiche di Venezia e dello Stato della Chiesa e le ambizioni di Cesare Borgia, il famoso duca Valentino ( p. 864), che sta ampliando il suo dominio nell’Italia centro-settentrionale con l’aiuto del padre, papa Alessandro VI. In tale panorama, l’ascesa di Machiavelli è fulminea.

In breve tempo, Niccolò diventa l’uomo di fiducia di Pier Soderini. I suoi avversari con minor garbo lo chiamano “mannerino”, cioè lacchè, servile aiutante. Importanti missioni diplomatiche lo portano a osservare dall’interno gli ingranaggi del potere. Nel 1500 e nel 1504 è presso il re di Francia Luigi XII; nel 1502 incontra il duca Valentino, che indicherà nel Principe come un modello da imitare. Nel 1503 è presente al conclave che elegge papa il cardinale Giuliano della Rovere con il nome di Giulio II. Negli anni successivi gli incarichi di ambasceria si infittiscono ancora di più; tra gli altri, nel 1507 riceve da Soderini il compito di predisporre la leva per la formazione di un esercito cittadino: lo stesso Machiavelli aveva segnalato al gonfaloniere tutti gli inconvenienti delle truppe mercenarie, che descriverà poi nella sua opera. Il reclutamento, sulle prime, sembra felice, tanto che a suo merito viene ascritto il riuscito assedio di Pisa, nel 1509: «Ogni dì vi scopro el maggiore profeta che avessino mai gli Ebrei o altra generazione», gli scrive l’amico Filippo Casavecchia.

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L’esilio e la stagione letteraria

Repentina, come era stata la sua ascesa, è però anche la sua caduta. A Firenze, infatti, per volere della Lega Santa (l’alleanza voluta da papa Giulio II con Venezia, la Spagna e l’Inghilterra contro i francesi), i Medici tornano al potere (1512). È il cardinale Giovanni de’ Medici che, con l’aiuto delle truppe spagnole, entra in città, dopo aver vinto la debole resistenza dell’esercito repubblicano.

Per qualche settimana Niccolò spera di essere ancora una voce ascoltata. Ma è un’illusione fugace: nel novembre 1512 viene rimosso dall’incarico di segretario e condannato al confino. La presenza del suo nome in una lista di possibili partecipanti a una congiura antimedicea ne aggrava poi la posizione. Imprigionato e  torturato, viene rimesso in libertà nel marzo del 1513 in seguito a un’amnistia e può quindi tornare al suo ritiro dell’Albergaccio, presso San Casciano (a circa 15 chilometri da Firenze), «ridutto in villa e discosto da ogni viso umano» [confinato in una casa di campagna e lontano dalla vista degli uomini].

I primi mesi di esclusione dalla vita politica determinano in Machiavelli, quasi per contrasto, il desiderio impellente di approfondire il proprio pensiero, mettendolo su carta. Non si tratta più di commentare un singolo caso circoscritto, ma di dare valore universale alle meditazioni sulla politica sviluppate grazie all’esperienza diretta e alla conoscenza del passato. Da una lettera a Francesco Vettori, datata 10 dicembre 1513 ( T1, p. 830), sappiamo che Niccolò ha terminato di scrivere Il Principe, per la cui stesura ha interrotto un’altra opera a cui lavora da mesi, i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, che completerà in seguito, forse tra il 1517 e il 1519.

D’altra parte, anche se fuori dal giro della politica che conta, non dobbiamo pensare che Niccolò Machiavelli vivesse come un recluso. L’Epistolario racconta di incontri d’amore e avventure poco edificanti, battute e novelle erotiche scritte in margine alla burocrazia d’ufficio. Niccolò è anche questo: può apparire «grave, tutto volto a grandi cose» e al tempo stesso «leggiero, inconstante, lascivo, volto a cose vane» (così scrive a Vettori, nel gennaio del 1515). Nel 1516 Machiavelli può tornare a Firenze, dove frequenta i giardini della famiglia Rucellai, i cosiddetti Orti Oricellari, punto d’incontro di giovani intellettuali di orientamento repubblicano.

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Gli ultimi anni

Nel 1519 Machiavelli viene assunto allo Studio (l’università) di Firenze e l’anno dopo riceve l’incarico dal cardinale Giulio de’ Medici di comporre un’opera storica su Firenze. Di fatto, la stesura delle Istorie fiorentine segna per l’autore la fine dell’ostilità dei Medici nei suoi confronti. Tuttavia le responsabilità e gli incarichi che gli vengono affidati sono poca cosa rispetto al ruolo rivestito negli anni repubblicani: non è un caso che Niccolò sia impegnato soprattutto nella scrittura. Al 1519-1520 risale la composizione dei libri Dell’arte della guerra. Nei mesi precedenti ha preso avvio anche la sua produzione letteraria: la commedia La mandragola e la novella Belfagor arcidiavolo sono del 1518, lo stesso anno in cui l’autore prende posizione sulla questione della lingua con il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua (per alcuni studiosi, l’opera va invece collocata più tardi).

La disponibilità ad accettare di collaborare con i Medici costa cara a Machiavelli. Il sacco di Roma del 1527 e la sconfitta di papa Clemente VII (Giulio de’ Medici) portano infatti a immediate ripercussioni nella vita politica di Firenze. Il governo signorile è rovesciato e viene nuovamente restaurata la repubblica. Machiavelli, accusato di essersi compromesso con i Medici, viene, questa volta definitivamente, escluso da ogni carica pubblica. Il dolore è grande, ma dura poco. Niccolò Machiavelli muore infatti qualche mese più tardi, il 21 giugno 1527, lasciando sei figli in povertà. Secondo una leggenda, poco prima di morire narrò di aver visto in sogno le distinte schiere di alcuni poveri straccioni, destinati al paradiso, e di antichi sapienti, destinati all’inferno, fra cui Plutarco e Tacito: e confessò che a questi, non a quelli, avrebbe voluto accompagnarsi, per continuare in eterno i colloqui goduti nelle sere trascorse in esilio, all’Albergaccio. Il  mito del diabolico spregiatore di ogni legge morale era solo all’inizio.

IL CARATTERE

UMANISTA “CIVILE” E IRONICO

In pochi autori come in Machiavelli la dimensione pubblica e quella privata coincidono così fedelmente. Possiamo dire che non c’è stato momento della sua vita che non si sia intrecciato con l’impegno civile e con la passione dell’uomo politico. Anzi, l’interesse per la vita pubblica sembra vissuto da lui come un’ossessione e insieme come un bisogno inderogabile.

Un’inesauribile curiosità

Ciò che interessa Machiavelli scrittore è l’uomo nei suoi sentimenti e nei suoi pensieri. Suo scopo è descrivere il mondo nella sua grandezza e miseria, tracciandone impietosamente risvolti, azioni e vicende. Il mondo appare ai suoi oc­­chi come un palcoscenico, dove tro­vano consistenza e fisicità i protagonisti di ieri e di oggi: a questo fi­ne, anche la lettura degli amati libri di storia si traduce in un colloquio con uomini, costumi ed esperienze che egli considera ancora densi e vitali. La sua non è una ricerca di erudizione o una semplice curiosità sto­rio­grafica: studiare l’antichità per lui si­gnifica indagare il presente, non eva­dere da esso.

D’altra parte, non si pensi che Nic­colò sia un uomo ombroso, cini­co spettatore degli eventi del suo tempo, chiuso nel quotidiano col­loquio con i classici. Dalle testimo­nianze epistolari emerge invece un uomo ironico e arguto, cordiale e persino goliardico.

In particolar modo l’Epistolario ci restituisce l’immagine di Machiavelli come un intellettuale curioso tanto delle grandi quanto delle piccole cose della quotidianità, dei segreti di Stato quanto dei discorsi, dei comportamenti e dei costumi degli avventori di un’osteria: un uomo che sa mescolare le riflessioni più serie e acute con le battute più leggere, che unisce le forti passioni intellettuali con il gusto dell’ironia e dell’autoironia; burlone e irriverente, poco preoccupato dell’anima, della vita eterna e del peccato, molto interessato invece ai piaceri terreni. Anche (e soprattutto) a quelli della carne, ai quali non sa rinunciare neanche in tarda età, frequentando meretrici, cortigiane e cantanti, senza mai sciogliere il legame con la moglie Marietta Corsini (sposata nel 1501).

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I luoghi di Machiavelli

1. Firenze

Qui nasce, nel 1469, da una colta famiglia borghese, e presto assume un ruolo di rilievo nella vita politica della città.


2. Parigi

Nel 1500 e nel 1504 è presso il re Luigi XII. Negli anni successivi compirà diversi viaggi come ambasciatore.


3. San Casciano

Quando i Medici tornano al potere, viene escluso dalla vita politica: nel 1513 si ritira nella campagna fiorentina e scrive Il Principe.


4. Firenze

Tornato in città, nel 1519 inizia a insegnare nello Studio (università) di Firenze. Muore nel 1527.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento