Pagine di realtà - Per riconquistare la dignità: la legge Basaglia

Educazione CIVICA – Pagine di realtà

Per riconquistare la dignità: la legge Basaglia

La pazzia sta solo sulla Terra: questa è la realtà constatata da Astolfo nel suo viaggio sulla Luna. Ariosto passa in rassegna i motivi che da sempre sconvolgono l’equilibrio mentale degli uomini: lo fa con il consueto sorriso, anche se la follia è una condizione reale, che comporta effetti traumatici. Fino a qualche decennio fa, l’assistenza psichiatrica era affidata a strutture specializzate nella cura dei disturbi mentali, i cosiddetti “manicomi”. Erano spesso luoghi terribili, dove l’individuo perdeva la propria dignità umana. Una legge voluta dallo psichiatra Franco Basaglia (1924-1980), e che porta il suo nome, impose, tra molte polemiche, la chiusura dei manicomi: nell’articolo seguente il giornalista Gian Antonio Stella (n. 1953) ricorda la genesi di questa legge che si prefiggeva l’obiettivo di far riacquistare al malato un rapporto con la società, riconoscendogli il diritto a una vita almeno decorosa, grazie alla cura e all’assistenza delle strutture territoriali.

“Uno solo […] può essere il punto di partenza per cercare di capire: che cos’erano i manicomi. «Colà stavansi rinchiusi, ed indistintamente ammucchiati, i maniaci i dementi i furiosi i melanconici. Alcuni di loro sopra poca paglia e sudicia distesi, i più sulla nuda terra. Molti eran del tutto ignudi, varj coperti di cenci, altri in ischifosi stracci avvolti; e tutti a modo di bestie catenati, e di fastidiosi insetti ricolmi, e fame, e sete, e freddo, e caldo, e scherni, e strazj, e battiture pativano», scriveva nel 1824 (come ricorderà Leonardo Sciascia sul «Corriere») l’illuminato palermitano Pietro Pisani.

Solo residui medievali? No. Un secolo e mezzo dopo, nel 1971, il verbale dell’ispezione della Commissione d’inchiesta al Santa Maria della Pietà di Roma spiega: «Ci sono bambini legati con i piedi ai termosifoni o ai tubi dell’acqua, scalzi, seminudi, sdraiati per terra come bestioline incapaci di difendersi, sporchi di feci, dovunque un lezzo insopportabile». «Non esistevano limiti d’età per il ricovero in manicomio: era sufficiente un certificato medico in cui si dichiarava che il bambino era pericoloso per sé o per gli altri. […] Dal 1913 al 1974 nel manicomio di Roma sono stati internati 293 bambini con meno di 4 anni e 2.468 minori tra i 5 e i 14 anni. In tutto 2.761 piccoli.»

Tre lustri ancora e il «Corriere» pubblica un reportage di Felice Cavallaro sull’Ospedale psichiatrico di Reggio Calabria: «Dormono con la schiena che sfiora il pavimento. Sprofondano giù perché le reti sono bucate al centro, corrose dalla pipì che con gli anni ha sciolto la maglia metallica. I materassi sono ormai sfoglie di gommapiuma sudicia. Di lenzuola nemmeno a parlarne. Puzzano anche le coperte. Tutto emana il fetore della morte in queste camerate dove quattrocento persone aspettano la fine come fossero animali». È il 1987. La chiusura di quei gironi d’inferno è già stata decisa, sulla carta, da una decina di anni. Eppure troppe infamie, insopportabilmente troppe, sono rimaste come prima. Nel plumbeo mutismo sociale denunciato quasi un secolo prima da Anton Cechov ne L’uva spina: «Evidentemente l’uomo felice si sente bene solo perché i disgraziati portano il loro fardello in silenzio, e senza questo silenzio la felicità sarebbe impossibile. È un’ipnosi generale». Occhio non vede, cuore non duole, scandalo non urla.

È questo silenzio assordante a venire fracassato da Franco Basaglia. Nato a Venezia nel 1924, laureato nel 1949, specializzato in malattie mentali nel ’52, l’anno dopo sposa Franca Ongaro, che gli darà due figli e sarà la compagna di mille battaglie. Frustrato dall’accademia («Direi che tutto l’apprendimento reale avviene fuori dall’università […]. Io sono entrato nell’università tre volte e per tre volte sono stato cacciato», racconterà in una delle Conferenze brasiliane), si immerge nel primo manicomio a Gorizia nel 1962: «C’erano cinquecento internati, ma nessuna persona». Ovunque «vi era un odore simbolico di merda». Uno spazio nero dal quale trasse l’«intenzione ferma di distruggere quella istituzione. Non era un problema personale, era la certezza che l’istituzione era completamente assurda, che serviva solamente allo psichiatra che lì lavorava per percepire lo stipendio alla fine del mese». Guerra totale: «L’università, da quando io mi sono laureato, ha protetto in maniera reazionaria e fascista gli ospedali psichiatrici. Non si è mai levata una voce, se non nei congressi, a dire che bisogna cambiare questa legge, ma nessun professore universitario si è sporcato una mano all’interno dei manicomi. Il professore universitario ha sempre avuto le mani pulite, amministrando l’insegnamento davanti ai letti d’ospedale, dicendo: questo è schizofrenico, questo è maniaco, questo è isterico…».

Era insopportabile, agli occhi di chi veniva ferito da quei giudizi. Ribelle. Martellante. Cocciuto. Eppure, lavorando ventre a terra a Gorizia, Colorno, Trieste e Roma, scrivendo uno dopo l’altro, da solo o con Franca, libri ovunque amatissimi o contestatissimi, tenendo conferenze da Berlino a São Paulo, sfondando in tv con una celebre intervista di Sergio Zavoli («Le interessa più il malato o la malattia?», «Decisamente il malato»), riuscì in pochi anni febbrili a mettere in crisi l’idea del manicomio in mezzo mondo e a spingere il Parlamento italiano a cancellare le norme stravecchie del 1903 e votare il 13 maggio 1978 (cinque giorni dopo l’uccisione di Aldo Moro…) la «sua» legge 180. Stesa materialmente dallo psichiatra e deputato democristiano, Bruno Orsini, e incardinata sulla chiusura (progressiva) dei manicomi e la cura dei pazienti non più «detenuti» in realtà il più possibile piccole e aperte. Il tutto nel nome di un’idea: «Io non so cosa sia la follia. Può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia».”


(Gian Antonio Stella, E Franco Basaglia slegò i matti, “Corriere della Sera”, 16 agosto 2020)

LEGGI E COMPRENDI

1 A quale scopo l’autore riporta la citazione di Cechov? Che cosa intende sottolineare?


2 Che accusa muove Basaglia al sistema universitario?

RIFLETTI, SCRIVI, SOSTIENI

3 La Legge Basaglia di cui parla Stella nel suo articolo fu inserita all’interno della legge istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale (la legge 833 del dicembre 1978). I suoi punti fondamentali sono i seguenti:

• eliminazione del concetto di pericolosità per sé e gli altri: trattamento sanitario in psichiatria basato sul diritto della persona alla cura e alla salute;

• rispetto dei diritti umani (per esempio, diritto di comunicare e diritto di voto);

• disposizione di chiusura degli Ospedali psichiatrici su tutto il territorio nazionale;

• costruzione di strutture alternative al manicomio;

• servizi psichiatrici territoriali come fulcro dell’assistenza psichiatrica;

• trattamento sanitario di norma volontario: prevenzione, cura e riabilitazione;

• interventi terapeutici urgenti in caso di rifiuto di cure e mancanza di idonee condizioni per il trattamento extra-ospedaliero: Trattamento sanitario obbligatorio (TSO).

Scegli almeno uno di questi punti, approfondendolo con una ricerca in Rete. Quindi esponi in classe le tue conoscenze.

Per fare ricerca

Cerca in rete e leggi l’Obiettivo 3 dell’Agenda 2030: l’ONU fa esplicito riferimento alla necessità di promuovere il benessere e la salute mentale, per garantire a tutti l’accesso a servizi sanitari essenziali di qualità.

Classe di letteratura - volume 1
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Dalle origini al Cinquecento