T10 - Astolfo sulla Luna

T10

Astolfo sulla Luna

Orlando furioso, canto XXXIV, ott. 69-87

Dopo aver attraversato sul suo cavallo alato la Francia, la Spagna e gran parte dell’Africa, Astolfo giunge da Senàpo, l’imperatore cristiano di Etiopia, cieco, sofferente di una perpetua fame e molestato senza tregua dalle Arpie in seguito a una punizione divina (canto XXXIII). Cacciate le Arpie nell’Inferno, Astolfo sale con l’ippogrifo su un’alta montagna. Si tratta del Paradiso terrestre, dove il cavaliere è ricevuto da san Giovanni Evangelista. Questi gli spiega come Orlando, essendosi perduto dietro a una donna pagana e avendo disertato il campo, sia stato castigato da Dio con la perdita del senno. A lui – gli spiega sempre il santo – toccherà restituirglielo. Così l’evangelista, fatto montare Astolfo sul carro del profeta Elia, lo conduce sulla Luna.


Metro Ottave di endecasillabi con schema di rime ABABABCC.
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Audiolettura

69

Quattro destrier via più che fiamma rossi

al giogo il santo evangelista aggiunse;

e poi che con Astolfo rassettossi,

e prese il freno, inverso il ciel li punse.

5      Ruotando il carro, per l’aria levossi,

e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;

che ’l vecchio fe’ miracolosamente,

che, mentre lo passar, non era ardente.

70

Tutta la sfera varcano del fuoco,

10    et indi vanno al regno de la luna.

Veggon per la più parte esser quel loco

come un acciar che non ha macchia alcuna;

e lo trovano uguale, o minor poco

di ciò ch’in questo globo si raguna,

15    in questo ultimo globo de la terra,

mettendo il mar che la circonda e serra.


71

Quivi ebbe Astolfo doppia meraviglia:

che quel paese appresso era sì grande,

il quale a un picciol tondo rassimiglia

20    a noi che lo miriam da queste bande;

e ch’aguzzar conviengli ambe le ciglia,

s’indi la terra e ’l mar ch’intorno spande

discerner vuol; che non avendo luce,

l’imagin lor poco alta si conduce.


72

25    Altri fiumi, altri laghi, altre campagne

sono là su, che non son qui tra noi;

altri piani, altre valli, altre montagne,

c’han le cittadi, hanno i castelli suoi,

con case de le quai mai le più magne

30    non vide il paladin prima né poi:

e vi sono ample e solitarie selve,

ove le ninfe ognor cacciano belve.


73

Non stette il duca a ricercare il tutto;

che là non era asceso a quello effetto.

35    Da l’apostolo santo fu condutto

in un vallon fra due montagne istretto,

ove mirabilmente era ridutto

ciò che si perde o per nostro diffetto,

o per colpa di tempo o di Fortuna:

40    ciò che si perde qui, là si raguna.

74

Non pur di regni o di ricchezze parlo,

in che la ruota instabile lavora;

ma di quel ch’in poter di tor, di darlo

non ha Fortuna, intender voglio ancora.

45    Molta fama è là su, che, come tarlo,

il tempo al lungo andar qua giù divora:

là su infiniti prieghi e voti stanno,

che da noi peccatori a Dio si fanno.


75

Le lacrime e i sospiri degli amanti,

50    l’inutil tempo che si perde a giuoco,

e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,

vani disegni che non han mai loco,

i vani desideri sono tanti,

che la più parte ingombran di quel loco:

55    ciò che in somma qua giù perdesti mai,

là su salendo ritrovar potrai.


76

Passando il paladin per quelle biche,

or di questo or di quel chiede alla guida.

Vide un monte di  tumide vesciche,

60    che dentro parea aver tumulti e grida;

e seppe ch’eran le corone antiche

e degli Assiri e de la terra lida,

e de’ Persi e de’ Greci, che già furo

incliti, et or n’è quasi il nome oscuro.


77

65    Ami d’oro e d’argento appresso vede

in una massa, ch’erano quei doni

che si fan con speranza di mercede

ai re, agli avari principi, ai patroni.

Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,

70    et ode che son tutte adulazioni.

Di cicale scoppiate imagine hanno

versi ch’in laude dei signor si fanno.


78

Di nodi d’oro e di gemmati ceppi

vede c’han forma i mal seguiti amori.

75    V’eran d’aquile artigli; e che fur, seppi,

l’autorità ch’ai suoi danno i signori.

I mantici ch’intorno han pieni i greppi,

sono i fumi dei principi e i favori

che danno un tempo ai ganimedi suoi,

80    che se ne van col fior degli anni poi.


79

Ruine di cittadi e di castella

stavan con gran tesor quivi sozzopra.

Domanda, e sa che son trattati, e quella

congiura che sì mal par che si cuopra.

85    Vide serpi con faccia di donzella,

di monetieri e di ladroni l’opra:

poi vide boccie rotte di più sorti,

ch’era il servir de le misere corti.


80

Di versate minestre una gran massa

90    vede, e domanda al suo dottor ch’importe.

«L’elemosina è (dice) che si lassa

alcun, che fatta sia dopo la morte».

Di vari fiori ad un gran monte passa,

ch’ebbe già buono odore, or putia forte.

95    Questo era il dono (se però dir lece)

che Constantino al buon Silvestro fece.


81

Vide gran copia di panie con visco,

ch’erano, o donne, le bellezze vostre.

Lungo sarà, se tutte in verso ordisco

100 le cose che gli fur quivi dimostre;

che dopo mille e mille io non finisco,

e vi son tutte l’occurrenze nostre:

sol la pazzia non v’è poca né assai;

che sta qua giù, né se ne parte mai.


82

105 Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,

ch’egli già avea perduti, si converse;

che se non era interprete con lui,

non discernea le forme lor diverse.

Poi giunse a quel che par sì averlo a nui,

110 che mai per esso a Dio voti non ferse;

io dico il senno: e n’era quivi un monte,

solo assai più che l’altre cose conte.


83

Era come un liquor suttile e molle,

atto a esalar, se non si tien ben chiuso;

115 e si vedea raccolto in varie ampolle,

qual più, qual men capace, atte a quell’uso.

Quella è maggior di tutte, in che del folle

signor d’Anglante era il gran senno infuso;

e fu da l’altre conosciuta, quando

120 avea scritto di fuor: “Senno d’Orlando”.


84

E così tutte l’altre avean scritto anco

il nome di color di chi fu il senno.

Del suo gran parte vide il duca franco;

ma molto più maravigliar lo fenno

125 molti ch’egli credea che dramma manco

non dovessero averne, e quivi denno

chiara notizia che ne tenean poco;

che molta quantità n’era in quel loco.


85

Altri in amar lo perde, altri in onori,

130 altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;

altri ne le speranze de’ signori,

altri dietro alle magiche sciocchezze;

altri in gemme, altri in opre di pittori,

et altri in altro che più d’altro aprezze.

135 Di sofisti e d’astrologhi raccolto,

e di poeti ancor ve n’era molto.

86

Astolfo tolse il suo; che gliel concesse

lo scrittor de l’oscura Apocalisse.

L’ampolla in ch’era al naso sol si messe,

140 e par che quello al luogo suo ne gisse:

e che Turpin da indi in qua confesse

ch’Astolfo lungo tempo saggio visse;

ma ch’uno error che fece poi, fu quello

ch’un’altra volta gli levò il cervello.

87

145 La più capace e piena ampolla, ov’era

il senno che solea far savio il conte,

Astolfo tolle; e non è sì leggiera,

come stimò, con l’altre essendo a monte.

[…]

 >> pagina 796 

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Orlando ha commesso un grave peccato: ha disprezzato il dono divino della forza prodigiosa di cui è dotato, abbandonando il popolo cristiano proprio quando esso aveva maggiormente bisogno del suo aiuto. Così il paladino è stato punito con la pazzia. Ora però è Dio stesso ad aver deciso che il castigo debba avere termine e che a Orlando possa essere restituito il senno perduto, che si trova sulla Luna, qui descritta come simile alla Terra, ma con ogni elemento (i fiumi, i laghi, i monti, le case, i palazzi ecc.) di maggiori dimensioni. Questa, del resto, è una costante di tutto il poema: ogni volta che vuole creare meraviglia, Ariosto ingrandisce le cose.

Il mondo lunare appare come l’opposto di quello terrestre, essendo una sorta di suo rovescio: la Luna ospita infatti tutto quanto va via dalla Terra (i sospiri degli amanti, la fama, il tempo sprecato, il senno…); soltanto la pazzia qui non si trova, essendo confinata tutta sul nostro pianeta. Da questa raffigurazione emerge la vena pessimistica di Ariosto, legata alla riflessione sulla vanità e sull’inconsistenza delle realtà umane.

L’esperienza di Astolfo non nasconde ragioni trascendenti: la sua finalità è legata al nostro mondo, a capirne il senso, a investigarne il significato. Non a caso, non si tratta di un viaggio di sola andata: il curioso cavaliere potrà tornare sulla Terra dopo aver salvato Orlando e, al tempo stesso, dopo aver capito fino in fondo la realtà della natura umana. L’aver visto il nostro pianeta dall’esterno gli ha consentito di acquistare cioè un punto di vista privilegiato e straniante sulle nostre miserie e sui nostri inconsistenti feticci.
Come una discarica il vallone lunare raccoglie accatastati gli interessi che muovono il mondo e illudono l’uomo, facendogli rincorrere inutili obiettivi: qui li ritroviamo sotto le immagini simboliche delle preghiere e delle suppliche rivolte a Dio, delle lacrime versate per amore, dei progetti che non si realizzano mai, delle sacche gonfie di tumulti e grida, delle matasse di ami d’oro e d’argento donate ai potenti ecc. Né può mancare nell’elenco di vani desideri e falsi valori stilato da Ariosto il riferimento all’affannarsi dei letterati cortigiani che spendono il loro talento per adulare signori e protettori: una polemica contro il servilismo dell’intellettuale rinascimentale che abbiamo già scorto nelle Satire.
 >> pagina 797

Le scelte stilistiche

Astolfo, guerriero di Carlo Magno, dopo essere stato liberato dalla schiavitù della maga Alcina che lo aveva trasformato in mirto, diventa protagonista di incredibili avventure, anche oltre i confini del mondo. Tra tante vicende fantastiche di cui è ricco il poema – tra armi e amori, miti e leggende – la storia del suo viaggio sulla Luna è forse la più fiabesca, la più avventurosa, la più sottilmente ironica. Con il suo abituale tono divertito, Ariosto sottolinea la vanità delle aspirazioni umane, che, osservate dalla Luna, appaiono ancora più assurde. Il tono dell’autore, però, rifugge dal moralismo e si vena di ironia, come quando Astolfo ritrova anche gran parte del senno proprio e di uomini e categorie insospettabili (ma molto più maravigliar lo fenno / molti ch’egli credea che dramma manco / non dovessero averne, vv. 124-126).

Le fonti letterarie di questo viaggio ariostesco oltre la Terra sono molteplici e in parte sono le stesse tenute presenti da Dante per la stesura della Divina Commedia: la Bibbia, Omero, Virgilio, Cicerone, lo scrittore greco Luciano di Samosata (II secolo d.C.), che nel romanzo Storia vera aveva immaginato un approdo alla Luna su una barca sollevata da una tempesta. Ma anche la stessa Commedia, a sua volta, diventa per Ariosto un altro imprescindibile punto di riferimento; nelle prime due ottave del brano è ravvisabile, seppure sotto traccia, una sorridente parodia del poema dantesco: come Dante viaggia nell’aldilà fino in Paradiso grazie a una santa, Beatrice, così Astolfo è portato da san Giovanni sulla Luna. Un modello più diretto è un dialogo di Leon Battista Alberti, il Somnium (Il sogno), compreso nelle Intercoenales (dialoghi in latino su argomenti morali e con toni ironici), nel quale compare la trovata del senno contenuto in un’ampolla.

Tuttavia ci sono in Ariosto anche alcuni precisi elementi di novità: per esempio, contrariamente a quanto insegnavano le dottrine aristoteliche, che la volevano eterea e perfetta, la Luna del Furioso presenta una superficie corrugata da mari, fiumi, città, palazzi. Inoltre il viaggio di Astolfo si configura come una sorta di versione laica dei viaggi salvifici o profetici al centro di diversi testi medievali, dai quali il poeta sembra prendere le distanze con il suo consueto sorriso.

VERSO LE COMPETENZE

Comprendere

1 Chi è ’l vecchio del v. 7?


2 All’ottava 71 il poeta afferma che è molto più difficile vedere la Terra dalla Luna che non viceversa. Perché?


3 Qual è l’unica cosa che non si trova sulla Luna? Perché?


4 Chi è il duca franco del v. 123?


5 In che modo Astolfo recupera il proprio senno?


6 Chi è il conte del v. 146?

Analizzare

7 All’ottava 74 che cosa viene paragonato a un tarlo (v. 45)? Come spieghi questa similitudine?


8 Quale figura retorica riconosci al v. 98?


9 Quale figura retorica marca fortemente l’ottava 85? Qual è la sua funzione espressiva?

Interpretare

10 Quale idea della Fortuna emerge dal brano?


11 Nel brano è presente un’ottava in cui Ariosto traccia un quadro amaro e pungente del mondo cortigiano. Dopo averla individuata, spiega qual è la critica che l’autore rivolge a esso.


12 Qual è la posizione dell’autore sulla donazione di Costantino (ottava 80)?

scrivere per...

argomentare

13 All’ottava 85 Ariosto stila un elenco delle cose per cui la gente del suo tempo “perdeva il senno”. Guardando alla società odierna, e in particolare ai tuoi coetanei, per quali cose (obiettivi, interessi, passioni) ti sembra che le persone “diventino matte” (cioè rischino di perdere equilibrio e lucidità)? Scrivi un testo argomentativo di circa 30 righe.

Classe di letteratura - volume 1
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Dalle origini al Cinquecento