T4 ANALISI ATTIVA - La fuga di Angelica

T4

La fuga di Angelica

Orlando furioso, canto I, ott. 5-23

La bellissima Angelica, di cui sono innamorati due grandi paladini, Orlando e suo cugino Rinaldo, è stata promessa da Carlo Magno a colui che ucciderà il maggior numero di nemici. Intanto la fanciulla è stata affidata alla custodia del vecchio duca Namo di Baviera. Essa però coglie un momento favorevole per fuggire: i pagani hanno attaccato, i cristiani vengono sconfitti e lei approfitta dello scompiglio per balzare in sella a un cavallo e inoltrarsi a briglia sciolta nel profondo di una selva. Qui incontra prima Rinaldo, odiato e temuto, e poi Ferraù, il guerriero saraceno che aveva ucciso suo fratello Argalìa e l’aveva pretesa in sposa, venendo da lei rifiutato per la sua bruttezza. I due ingaggiano un duello, mentre, ancora una volta, la giovane riesce a scappare.

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Orlando, che gran tempo innamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti ed immortal trofei,

5      in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna, 


6

per far al re Marsilio e al re Agramante

10    battersi ancor del folle ardir la guancia,

d’aver condotto, l’un, d’Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l’altro, d’aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

15    E così Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentì d’esservi giunto;


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che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperi ai liti eoi

20    avea difesa con sì lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch’estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse. 


8

25    Nata pochi dì inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che entrambi avean per la bellezza rara

d’amoroso disio l’animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

30    che gli rendea l’aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n’era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;


9

in premio promettendola a quel d’essi,

ch’in quel conflitto, in quella gran giornata,

35    degl’infideli più copia uccidessi,

e di sua man prestasse opra più grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch’in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu ’l duca prigione,

40    e restò abbandonato il padiglione.

10

Dove, poi che rimase la donzella

ch’esser dovea del vincitor  mercede,

inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisognò le spalle diede,

45    presaga che quel giorno esser rubella

dovea Fortuna alla cristiana fede:

entrò in un bosco, e ne la stretta via

rincontrò un cavallier ch’a piè venìa.


11

Indosso la corazza, l’elmo in testa,

50    la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

e più leggier correa per la foresta,

ch’al pallio rosso il villan mezzo ignudo.

Timida pastorella mai sì presta

non volse piede inanzi a serpe crudo,

55    come Angelica tosto il freno torse,

che del guerrier, ch’a piè venìa, s’accorse.


12

Era costui quel paladin gagliardo,

figliuol d’Amon, signor di Montalbano,

a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo

60    per strano caso uscito era di mano.

Come alla donna egli drizzò lo sguardo,

riconobbe,  quantunque di lontano,

l’angelico sembiante e quel bel volto

ch’all’amorose reti il tenea involto.


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65    La donna il palafreno a dietro volta,

e per la selva a tutta briglia il caccia;

né per la rara più che per la folta,

la più sicura e miglior via procaccia:

ma pallida, tremando, e di sé tolta,

70    lascia cura al destrier che la via faccia.

Di su di giù, ne l’alta selva fiera

tanto girò, che venne a una riviera.


14

Su la riviera Ferraù trovosse

di sudor pieno e tutto polveroso.

75    Da la battaglia dianzi lo rimosse

un gran disio di bere e di riposo;

e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

perché, de l’acqua ingordo e frettoloso,

l’elmo nel fiume si lasciò cadere,

80    né l’avea potuto anco riavere.


15

Quanto potea più forte, ne veniva

gridando la donzella ispaventata.

A quella voce salta in su la riva

il Saracino, e nel viso la guata;

85    e la conosce subito ch’arriva,

ben che di timor pallida e turbata,

e sien più dì che non n’udì novella,

che senza dubbio ell’è Angelica bella. 


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E perché era cortese, e n’avea forse

90    non men de’ dui cugini il petto caldo,

l’aiuto che potea tutto le porse,

pur come avesse l’elmo, ardito e baldo:

trasse la spada, e minacciando corse

dove poco di lui temea Rinaldo.

95    Più volte s’eran già non pur veduti,

m’al paragon de l’arme conosciuti.

17

Cominciar quivi una crudel battaglia,

come a piè si trovar, coi brandi ignudi:

non che le piastre e la minuta maglia,

100 ma ai colpi lor non reggerian gl’incudi.

Or, mentre l’un con l’altro si  travaglia,

bisogna al palafren che ’l passo studi;

che quanto può menar de le calcagna,

colei lo caccia al bosco e alla campagna.


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105 Poi che s’affaticar gran pezzo invano

i dui guerrier per por l’un l’altro sotto,

quando non meno era con l’arme in mano

questo di quel, né quel di questo dotto;

fu primiero il signor di Montalbano,

110 ch’al cavallier di Spagna fece motto,

sì come quel ch’ha nel cuor tanto fuoco,

che tutto n’arde e non ritrova loco.


19

Disse al pagan: «Me sol creduto avrai,

e pur avrai te meco ancora offeso:

115 se questo avvien perché i fulgenti rai

del nuovo sol t’abbino il petto acceso,

di farmi qui tardar che guadagno hai?

che quando ancor tu m’abbi morto o preso,

non però tua la bella donna fia;

120 che, mentre noi tardiam, se ne va via.


20

Quanto fia meglio, amandola tu ancora,

che tu le venga a traversar la strada,

a ritenerla e farle far dimora,

prima che più lontana se ne vada!

125 Come l’avremo in potestate, allora

di chi esser de’ si provi con la spada:

non so altrimenti, dopo un lungo affanno,

che possa riuscirci altro che danno».

21

Al pagan la proposta non dispiacque:

130 così fu differita la tenzone;

e tal tregua tra lor subito nacque,

sì l’odio e l’ira va in oblivione,

che ’l pagano al partir da le fresche acque

non lasciò a piedi il buon figliuol d’Amone:

135 con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,

e per l’orme d’Angelica galoppa.


22

Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui!

Eran rivali, eran di fé diversi,

e si sentian degli aspri colpi iniqui

140 per tutta la persona anco dolersi;

e pur per selve oscure e calli obliqui

insieme van senza sospetto aversi.

Da quattro sproni il destrier punto arriva

ove una strada in due si dipartiva.


23

145 E come quei che non sapean se l’una

o l’altra via facesse la donzella

(però che senza differenza alcuna

apparia in amendue l’orma novella),

si messero ad arbitrio di fortuna,

150 Rinaldo a questa, il Saracino a quella.

Pel bosco Ferraù molto s’avvolse,

e ritrovossi al fine onde si tolse.

 >> pagina 742 

Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

Dopo il proemio, il poeta dà avvio alla narrazione dal punto in cui l’aveva sospesa Boiardo, concedendogli un omaggio grazie alle due parole che aprono e chiudono il primo verso della ottava 5 (Orlando… innamorato), evidente riferimento al titolo del poema del predecessore. In realtà, le strofe successive all’esordio chiariscono subito come l’affidamento di Angelica al duca Namo di Baviera avesse avuto un esito diverso da quello previsto.

Per motivare alla guerra i suoi paladini, infatti, Carlo Magno aveva bandito una gara per dare in premio l’ambita fanciulla a chi avesse ucciso in battaglia il maggior numero di nemici. Tuttavia contrari ai voti poi furo i successi (v. 37): i cristiani furono sconfitti dai Saraceni e Angelica era scappata.

1. Qual era l’aspettativa di Orlando al suo ritorno in Occidente?


2. Perché Carlo Magno decide di affidare Angelica al duca di Baviera?


3. Quali circostanze favorevoli aiutano la fuga di Angelica?

 >> pagina 743

La narrazione inizia in tal modo sotto il segno dell’“errore”, della falsa presupposizione, dell’imprevisto e del rinvio: la sentenza che esprime la vacua speranza di Orlando di far sua la donna amata (ecco il giudicio uman come spesso erra, v. 18) riassume il nodo centrale della concezione ariostesca dell’uomo anticipando il principio, morale e narrativo, su cui sarà incentrato tutto il poema. Dalla fuga di Angelica scaturisce il movimento costante di tutti i paladini, mossi al suo inseguimento.

Anche i personaggi dei romanzi cavallereschi erano sempre impegnati in un’avventurosa ricerca (la quête), come quella del Santo Graal, ma quelli di Ariosto cercano un oggetto del desiderio materiale e inafferrabile: il loro è un vagare continuo, destinato a essere sempre interrotto e vanificato da un incontro o da un ostacolo, che allontana e rimanda l’obiettivo rendendolo sfuggente.

4. Inserisci nella tabella, accanto ai nomi dei personaggi, i loro oggetti del desiderio e gli oppositori che impediscono loro di raggiungerli.


Personaggio

Oggetto/i del desiderio

Oppositore/i

Angelica

   

Rinaldo

   

Ferraù

   

Articolata in sequenze ben individuabili, la narrazione segue la fuga di Angelica in un bosco (v. 47), la caccia di Rinaldo, l’incontro con Ferraù, il duello tra i due paladini, di cui la fanciulla approfitta per scappare nuovamente, in un continuo intrecciarsi di apparizioni e scomparse, lungo direzioni diverse che, prima o poi, finiranno per convergere ricreando ulteriori occasioni di scontri, ricerche e avventure. Come un burattinaio che tira i fili dei vari personaggi, Ariosto li fa emergere sulla scena e poi sparire e riapparire improvvisamente, dopo soste e riprese inaspettate. Teatro del loro vorticoso errare è la selva, che però ha ben poco a che vedere con l’ambientazione dantesca, allegoria del peccato. Nel Furioso, essa costituisce piuttosto il luogo simbolico del labirinto in cui si svolgono le vicende terrene, la metafora del caos e dell’incapacità degli esseri umani di dare un corso razionale e un governo sensato alla propria vita.

Tutto sembra, in effetti, nelle mani del caso, che agisce come una forza cieca e indomabile sui personaggi, vanamente protesi a rincorrere desideri irrealizzabili e destinati a percorrere sentieri che non portano a nulla: i paladini cercano di volta in volta Angelica, il cavallo, l’elmo, ma spesso si ritrovano a mani vuote al punto di partenza (Pel bosco Ferraù molto s’avvolse, / e ritrovassi al fine onde si tolse, vv. 151-152) e in ogni caso frustrati dall’inevitabile fallimento delle loro azioni.

5. Il duello tra Rinaldo e Ferraù è, oltre che violento, insensato e autolesionistico. Perché?


6. Individua nel testo tutte le circostanze che nascono “per caso” e rifletti su quale significato Ariosto attribuisce al dominio della fortuna sugli eventi umani.

Le scelte stilistiche

Sulle avventure dei suoi personaggi vigila, dall’alto, il narratore, incline a ricavare sagge riflessioni dagli eventi raccontati. I suoi interventi non si limitano a fare ordine nell’intricata matassa della storia, spostando l’attenzione da un episodio all’altro, ma offrono un controcanto ironico in forma di commento: in tal modo Ariosto fa capolino nel racconto mostrando il proprio coinvolgimento di uomo e di poeta dinanzi ai capricci della fortuna, alla precarietà dell’esistenza, alle debolezze e al vano agitarsi degli esseri umani. La sua ironia, in particolare, tende a dissolvere false certezze e ridicole convenzioni, svelando con sorridente bonomia le illusioni e gli inganni che la finzione sociale trasforma in verità assolute.

Significativa è, per esempio, l’esclamazione Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! (v. 137), con la quale il narratore chiosa il comportamento di Rinaldo e Ferraù, prima acerrimi rivali come innamorati della stessa donna, poi quasi complici e solidali nel rispetto delle norme del codice cavalleresco. A prima vista, l’intervento ariostesco sembrerebbe venato di malinconico rimpianto per un’etica ispirata alla lealtà purtroppo minacciata dalla barbarie dei tempi moderni. In realtà, l’esclamazione suggerisce un’ironica sottolineatura dell’insensatezza delle virtù cavalleresche idealizzate dalla civiltà cortigiana: i due cavalieri hanno infatti interrotto il loro duello infrangendo le regole e si alleano non certo per proteggere una fanciulla indifesa, come imporrebbe il modello etico tradizionale, bensì per darle la caccia.

7. Da quale situazione il narratore trae spunto per esclamare Oh gran bontà de’ cavallieri antiqui! (v. 137)?


8. L’ironia dell’autore si coglie anche nella presenza di una figura retorica come l’iperbole. Individuane qualche occorrenza.


9. Scrivere per argomentare A differenza dei suoi spasimanti, Angelica non insegue ma fugge. Per questo è destinata a diventare l’emblema della creatura che non si concede e che anzi mantiene sempre un atteggiamento sdegnoso nei confronti dei corteggiatori. La conseguenza di questa ritrosia è che i suoi pretendenti vedono accrescere ulteriormente la propria passione, in omaggio a quella naturale inclinazione che porta gli esseri umani a desiderare ossessivamente ciò che è proibito. Anche tu sei dell’idea che in amore “vince chi fugge”, come fa l’eroina del Furioso? Sviluppa l’argomento in un testo di circa 20 righe.


10. Scrivere per argomentare Rinaldo e Ferraù interrompono il duello per inseguire Angelica. La religione diversa in cui credono nulla può dinanzi al potere dell’amore. Ritieni corretto e auspicabile questo comportamento anche ai nostri giorni? Esistono a tuo giudizio idee, circostanze o valori che possono annullare le differenze (di credo, cultura, tradizioni ecc.) tra gli individui? Ragiona su questo problema in un testo di circa 30 righe.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento