Le scelte stilistiche
Sin dai primi versi è facile cogliere l’aspetto fondamentale delle Satire: la discorsività. In effetti, balza subito agli occhi l’impianto dialogico del testo, caratterizzato da un avvio marcatamente colloquiale, che assegna un rilievo evidente ai pronomi. Il soggetto io, collocato in posizione incipitaria, viene posto in relazione con il voi dei destinatari, che allude sia agli interlocutori privilegiati sia ai rappresentanti della corte. Nel primo caso, esso acquista una valenza positiva in quanto indica i sodali di fiducia, ai quali il poeta può chiedere informazioni sulla reputazione di cui gode presso la cerchia del signore (s’in corte è ricordanza più di noi, v. 3, dove il riferimento personale è stavolta reso con la prima persona plurale); nel secondo, invece, il voi si riferisce a personaggi a pieno titolo organici in un mondo dominato dall’ipocrisia, al punto da essere chiamati in causa direttamente al pari degli altri cortigiani, tutti dotti ne la adulazione (v. 7).
L’opposizione io-voi ricorre anche successivamente, quando il poeta inscena un dialogo immaginario con i destinatari della satira, ancora una volta non difficilmente identificabili nei suoi antagonisti cortigiani. In risposta alle loro obiezioni, Ariosto ammette che il signore non gli ha fatto mancare il sostentamento ma, rivolgendosi ad Apollo e alle Muse, sottolinea che ciò non è avvenuto grazie alle sue qualità di intellettuale: dalle parole di Ippolito riportate in discorso indiretto (vv. 94-96) emerge un’assoluta insensibilità verso la produzione artistica. L’appello finale al poeta Marone (vv. 115-123) è l’amara conseguenza della definitiva scissione tra letteratura e universo cortigiano: meglio cambiare mestiere se si vuole risultare graditi all’interno di un mondo sempre più opprimente.