T2 ANALISI ATTIVA - L’intellettuale contro la corte

T2

L’intellettuale contro la corte

Satire, I, vv. 1-27; 85-123

Nel 1517 il cardinale Ippolito d’Este parte per l’Ungheria, dove ha ottenuto la sede arcivescovile. Propone ad Ariosto di seguirlo, ma il poeta rifiuta, preferendo rimanere a Ferrara per dedicarsi all’attività letteraria. La prima delle sette satire – indirizzata al fratello Alessandro e a Ludovico da Bagno, segretario del cardinale, che invece sono partiti – presenta le ragioni della sua scelta.


Metro Terzine di endecasillabi a rima incatenata (ABA, BCB ecc.).

Io desidero intendere da voi,

Alessandro fratel, compar mio Bagno,

s’in corte è ricordanza più di noi;

se più il signor me accusa; se compagno

5      per me si lieva e dice la cagione

per che, partendo gli altri, io qui rimagno;

o, tutti dotti ne la  adulazione

(l’arte che più tra noi si studia e cole),

l’aiutate a biasmarme oltra ragione.

10    Pazzo chi al suo signor contradir vole,

se ben dicesse c’ha veduto il giorno

pieno di stelle e a mezzanotte il sole.

O ch’egli lodi, o voglia altrui far scorno,

di varie voci subito un concento

15    s’ode accordar di quanti n’ha dintorno;

e chi non ha per umiltà ardimento

la bocca aprir, con tutto il viso applaude

e par che voglia dir: «anch’io consento».

Ma se in altro biasmarme, almen dar laude

20    dovete che, volendo io rimanere,

lo dissi a viso aperto e non con fraude.

Dissi molte ragioni, e tutte vere,

de le quali per sé sola ciascuna

esser mi dovea degna di tenere.

25    Prima la vita, a cui poche o nessuna

cosa ho da preferir, che far più breve

non voglio che ’l ciel voglia o la Fortuna.

[…]

85    Io, per la mala servitude mia,

non ho dal Cardinale ancora tanto

ch’io possa fare in corte l’osteria.

Apollo, tua mercé, tua mercé, santo

collegio de le Muse, io non possiedo

90    tanto per voi, ch’io possa farmi un manto.

«Oh! il signor t’ha dato…» io ve ’l conciedo,

tanto che fatto m’ho più d’un mantello;

ma che m’abbia per voi dato non credo.

Egli l’ha detto: io dirlo a questo e a quello

95    voglio anco, e i versi miei posso a mia posta

mandare al Culiseo per lo  sugello.

Non vuol che laude sua da me composta

per opra degna di mercé si pona;

di mercé degno è l’ir correndo in posta.

100 A chi nel Barco e in villa il segue, dona,

a chi lo veste e spoglia, o pona i fiaschi

nel pozzo per la sera in fresco a nona;

vegghi la notte, in sin che i Bergamaschi

se levino a far chiodi, sì che spesso

105 col torchio in mano addormentato caschi.

S’io l’ho con laude ne’ miei versi messo,

dice ch’io l’ho fatto a piacere e in ocio;

più grato fòra essergli stato appresso.

E se in cancellaria m’ha fatto socio

110 a Melan del Constabil, sì c’ho il terzo

di quel ch’al notaio vien d’ogni negocio,

gli è perché alcuna volta io sprono e sferzo

mutando bestie e guide, e corro in fretta

per monti e balze, e con la morte scherzo.

115 Fa a mio senno, Maron: tuoi versi getta

con la lira in un cesso, e una arte impara,

se beneficii vuoi, che sia più accetta.

Ma tosto che n’hai, pensa che la cara

tua libertà non meno abbi perduta

120 che se giocata te l’avessi a zara;

e che mai più, se ben alla canuta

età vivi e viva egli di Nestorre,

questa condizïon non ti si muta.

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Analisi ATTIVA

I contenuti tematici

L’occasione di comporre questi versi è data dal rifiuto del poeta di seguire il cardinale Ippolito d’Este in Ungheria. Tale decisione nasce dalla volontà di contrapporre al servilismo cortigiano (v. 10) le proprie convinzioni di uomo libro, espresse a viso aperto e non con fraude (v. 21). D’altro canto, il cardinale non gradisce l’attività letteraria di Ariosto, alla quale antepone i più prosaici servigi dei suoi dipendenti: il ruolo di artista è considerato un inutile passatempo (vv. 106-107).

1. Quali tra le seguenti attività sono gradite al cardinale Ippolito?

  • a Essere seguito durante la villeggiatura. 
  • b Comporre versi in sua lode. 
  • c Mettere il vino in fresco. 
  • d Essere aiutato a vestirsi e a svestirsi. 
  • e Ricevere saggi consigli. 

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Tuttavia il trattamento riservatogli non induce Ariosto a recedere dalle sue convinzioni: egli continuerà a rivendicare la propria libertà e a salvaguardarla a costo di perdere i vantaggi pratici derivanti dalla condizione di asservimento. Nella parte restante della satira, l’autore ribadirà il proprio irrinunciabile attaccamento a una vita improntata allo “studio” e alla semplicità, secondo un ideale esistenziale che richiama quello del poeta latino Orazio. Ariosto afferma questa visione dell’esistenza con tono a un tempo affabile e intransigente: la sua denuncia, tutt’altro che innocua, mostra l’assolutezza del vincolo cortigiano e lo stato di subalternità a cui è costretto il letterato nella dorata corte ferrarese.

2. In quali versi vi è un riferimento all’accoglienza riservata dal cardinale all’Orlando furioso?


3. A che cosa viene paragonata la perdita della libertà in cambio delle rendite offerte dal cardinale?

Le scelte stilistiche

Sin dai primi versi è facile cogliere l’aspetto fondamentale delle Satire: la discorsività. In effetti, balza subito agli occhi l’impianto dialogico del testo, caratterizzato da un avvio marcatamente colloquiale, che assegna un rilievo evidente ai pronomi. Il soggetto io, collocato in posizione incipitaria, viene posto in relazione con il voi dei destinatari, che allude sia agli interlocutori privilegiati sia ai rappresentanti della corte. Nel primo caso, esso acquista una valenza positiva in quanto indica i sodali di fiducia, ai quali il poeta può chiedere informazioni sulla reputazione di cui gode presso la cerchia del signore (s’in corte è ricordanza più di noi, v. 3, dove il riferimento personale è stavolta reso con la prima persona plurale); nel secondo, invece, il voi si riferisce a personaggi a pieno titolo organici in un mondo dominato dall’ipocrisia, al punto da essere chiamati in causa direttamente al pari degli altri cortigiani, tutti dotti ne la adulazione (v. 7).

L’opposizione io-voi ricorre anche successivamente, quando il poeta inscena un dialogo immaginario con i destinatari della satira, ancora una volta non difficilmente identificabili nei suoi antagonisti cortigiani. In risposta alle loro obiezioni, Ariosto ammette che il signore non gli ha fatto mancare il sostentamento ma, rivolgendosi ad Apollo e alle Muse, sottolinea che ciò non è avvenuto grazie alle sue qualità di intellettuale: dalle parole di Ippolito riportate in discorso indiretto (vv. 94-96) emerge un’assoluta insensibilità verso la produzione artistica. L’appello finale al poeta Marone (vv. 115-123) è l’amara conseguenza della definitiva scissione tra letteratura e universo cortigiano: meglio cambiare mestiere se si vuole risultare graditi all’interno di un mondo sempre più opprimente.

4. Come viene definito il cortigiano che contraddice il proprio signore?


5. In quali terzine Ariosto rivendica la propria onestà intellettuale?

La struttura dialogica consente al poeta di rendere vivace un contenuto dal chiaro significato polemico. D’altro canto, Ariosto non si serve dei toni aspri della requisitoria: glielo impediscono la condizione di cortigiano costretto al rispetto dell’etichetta e, non meno, il temperamento umano e poetico. Tale volontà si riscontra anche nelle scelte formali, che accolgono modi di dire popolari, voci gergali e addirittura espressioni scurrili. Questi inserti tuttavia vengono incastonati all’interno di un registro altre volte elevato, nel quale non mancano neppure riferimenti mitologici, come ai vv. 88-89 e 122: commistioni, queste, dall’effetto stridente, strumenti della corrosiva ironia, tipici di un genere colorito qual è la satira.

6. Individua nel testo i termini e le espressioni di registro basso e colloquiale.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento