65 La nostra giornata di gente in attesa, sfaccendata,
chiusa in un solo grande locale, mi
permetteva di sorvegliare ogni mossa del Viterbo, che teneva la valigia tra il mio e il
suo pagliericcio,6 come un comodino da notte o un divisorio. Il formaggio, che
era sul fondo della valigia, veniva a trovarsi dalla mia parte, e di notte, quando
70 non mi riusciva di dormire, ne percepivo l’odore attraverso il cuoio, o credevo
percepirlo, morso come ero dalla fame. Una notte pensai di fare un taglio nel
fianco della valigia e di staccare una fetta di formaggio. Il barone se ne sarebbe
accorto solo in occasione di un cambiamento di posto, quando ormai gli avevo
mangiato tutto il formaggio. Ma fu più che altro un sogno: mai avrei fatto una
75 cosa simile a un gentiluomo di tal fatta.
Passò una settimana e il barone, pur avendo aperto due o tre volte la valigia
con la chiave che teneva in un taschino del panciotto, ne aveva tolto solo dei fazzoletti
e una sciarpa di lana. La forma di Asiago era come se non esistesse e mi
domandavo se non fosse stata un’allucinazione a farmela sentire in quelle notti.
80 Improvvisamente, a seguito di un ordine da Berna, il nostro gruppo fu trasferito
a Lugano. Aiutai il professore nel trasloco, portandogli ancora la valigia,
che sentii pesante, come se avesse delle pietre nell’interno.
“È il formaggio” pensavo “ancora intatto, che il barone ha riservato per quando
avremo davvero fame. E se la valigia mi pare più pesante di prima, è perché
85 mi sono indebolito.”
Ma neppure a Lugano, dove il nostro vitto era scarsissimo, egli ritenne opportuno
ricorrere al formaggio.
Da Lugano, compiute ormai tutte le formalità prescritte dai regolamenti di
polizia, si partì sotto scorta verso l’interno. Viaggiammo insieme in treno, sempre
90 con la valigia dietro, alla quale ormai mi sentivo attaccato come se fosse stata
mia.
Dalla stazione di Zwingen nel Cantone di Solothurn al paese di Büsserach,
sotto la neve e lungo strade ridotte a un pantano, quel carico divenne una croce
sotto la quale, debole Cireneo,7 caddi un paio di volte. Ma era il nostro unico bene
95 in quei deserti, e soprattutto ciò che al povero barone rimaneva di una lunga
vita finita nell’esilio.
A Büsserach, dove la scarsità del vitto era aggravata da un freddo intenso, ebbi
la certezza che il buon formaggio friulano ci avrebbe salvati entrambi, anche
se il vecchio Viterbo, malato e stanco, mi andava continuamente ripetendo che
100 aveva poco da vivere e che mi avrebbe lasciato, morendo, erede della sua valigia.
Dopo un mese, durante il quale resistette eroicamente ad ogni male e anche
alla tentazione d’intaccare il formaggio, venne una commissione a selezionare i
validi al lavoro. Fu la volta della nostra separazione.
Al momento dell’addio, quando vidi che il barone mi metteva nelle mani
105 un pacco, sperai che mi assegnasse come viatico8 almeno una fetta del suo formaggio.
Ma si trattava solo di una Bibbia, che aveva avuto in regalo da un pastore
protestante e che a lui non serviva, dal momento che sapeva a memoria quella
ebraica.
L’internamento in Svizzera durò quasi due anni, durante i quali riuscii sempre
110 ad avere notizie del barone, che passando da un luogo all’altro era finito a
Huttwil9 come professore in un campo universitario. Ma negli ultimi mesi, quando
a guerra finita si aspettava il rimpatrio, non seppi più nulla sul suo conto e
immaginai che fosse riuscito a rientrare in Italia anticipatamente, come Einaudi10
e altri personaggi d’importanza, sempreché non fosse morto, vecchio e
115 malandato com’era.