Le opere successive al Decameron

Le opere successive al Decameron

Dopo il capolavoro, Boccaccio, suggestionato dal modello letterario di Petrarca, si dedica alla stesura di una serie di opere erudite in latino, non prima però di aver composto un testo in volgare, il Corbaccio. Sempre in volgare è anche il Trattatello in laude di Dante.

Corbaccio

Una violenta polemica misogina Il Corbaccio (scritto intorno al 1365) è un’aspra satira in prosa contro le donne. Pare che a muovere la penna dell’autore sia stata una disavventura amorosa vissuta intorno ai quarant’anni. Invaghitosi di una graziosa vedova, le rivela il suo ardente desiderio attraverso alcune lettere. La donna però gli preferisce un amante più giovane e più ricco e giunge al punto di sbeffeggiarlo facendo leggere le sue lettere al nuovo compagno. Così lo scrittore si trova pubblicamente schernito «a guisa d’uno beccone» (cioè di un uomo tradito).

Boccaccio decide perciò di scrivere quest’opera violentemente misogina. Il titolo vorrebbe dire “brutto corvo”, cioè “uccellaccio del malaugurio”, oppure, secondo altri, “frusta” (dallo spagnolo corbacho). A partire da un’edizione fiorentina del 1487 comparirà il sottotitolo Laberinto d’amore. Infatti nella finzione narrativa l’autore si ritrova, in sogno, all’interno di una sorta di labirinto, costituito da un’inestricabile foresta, nella quale, trasformati in animali, espiano la loro colpa gli uomini che si sono ubriacati alle fonti dell’amore terreno.

Qui lo scrittore incontra il marito morto della perfida vedova di cui si era innamorato, il quale gli si propone, novello Virgilio dantesco, come guida per portarlo in salvo. L’anima del defunto gli svela le astuzie, le lusinghe e i difetti della moglie, ma anche di tutte le donne in generale in modo che possa rivelare quanto ha udito.

Una scelta letteraria Ma, oltre alla presunta motivazione personale, non va sottovalutata un’altra spiegazione delle ragioni che hanno indotto Boccaccio a scrivere il Corbaccio. L’invettiva contro il genere femminile rappresentava infatti un tema letterario già classico (presente nella letteratura greca e latina, da Esiodo a Catullo), poi ampiamente ripreso nel Medioevo anche nell’ambito della predicazione cristiana (da san Paolo a sant’Agostino e poi ancora oltre). È probabile che Boccaccio abbia voluto semplicemente riconnettersi a questa feconda tradizione letteraria, forse più per un gioco colto che per intima convinzione.

TRATTATELLO IN LAUDE DI DANTE ED ESPOSIZIONI SOPRA LA COMEDIA

Per Dante All’ammirazione per Dante e per la Divina Commedia – l’aggettivo «divina» fu aggiunto proprio da Boccaccio per indicarne l’altissimo livello poe­tico – ci riporta il Trattatello in laude di Dante (composto tra il 1351 e il 1355 e poi risistemato negli ultimi anni). È un saggio sulla vita del sommo poeta, che intende essere un risarcimento per i torti subiti dall’Alighieri da parte della sua ingrata città. L’opera fornisce informazioni sul contesto storico in cui visse Dante e presenta anche un ritratto fisico e morale del poeta, che – apprendiamo – non era di alta statura, aveva naso aquilino e occhi piccoli, era di carnagione scura ed era orgoglioso, ambizioso e desideroso di gloria. Dopo la vita, Boccaccio illustra le opere di Dante, con maggiore attenzione agli aspetti stilistico-retorici che ai contenuti filosofico-religiosi.

Al Trattatello vanno aggiunte – altra testimonianza del culto dantesco dello scrittore – le Esposizioni sopra la Comedia, che raccolgono i commenti ai canti dell’Inferno (fino al XVII) esposti da Boccaccio nelle pubbliche letture nella chiesa di Santo Stefano di Badia.

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Le opere latine

Tra le opere in latino vanno ricordate le 25 Epistole (tra le quali alcune a Petrarca e ad altri umanisti), il Buccolicum carmen (Carme bucolico: 16 egloghe a carattere allegorico, composte a partire dal 1349 e raccolte intorno al 1367) e tutta la serie delle opere erudite, che testimoniano l’imitazione, da parte di Boccaccio, del Petrarca umanista: il De casibus virorum illustrium (Le sventure degli uomini illustri: 9 libri, completati nel 1373, di biografie di personaggi famosi e infelici, da Adamo ai contemporanei), il De mulieribus claris (Le donne celebri: volume, scritto intorno al 1362, che contiene le biografie di un centinaio di illustri figure femminili), il De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus, et de nominibus maris liber (Libro sui monti, sui boschi, sulle fonti, sui laghi, sui fiumi, sugli stagni e sulle paludi e sui nomi del mare: un vasto dizionario-repertorio geografico scritto tra il 1355 e il 1373) e, infine, la Genealogia deo­rum gentilium (Genealogia degli dei pagani: una raccolta in 15 libri di molti miti della classicità greco-romana), considerato il più importante trattato latino di Boccaccio, che vi lavora dal 1350 fino alla morte.

T14

La vedova ipocrita

Corbaccio, 128-129

Siamo, con questo brano, allo snodo fondamentale della vicenda: il marito defunto della donna amata da Boccaccio svela a quest’ultimo la vera natura di lei. Essa non fa altro che recitare la parte della vedova inconsolabile, mentre nel cuore cova sentimenti di ben altro genere.

Uscita adunque di casa, […] se n’entra ne la chiesa: ma non vorrei che tu credessi
per udire divino uficio o per adorare v’entrasse, ma per tirare l’aiuolo.1 Per ciò che,
sappiend’ella ch’è già lungo tempo che quivi d’ogni parte della nostra terra2 concorrono
giovani prodi e gagliardi e savi, come le piacciono, di quella ha fatto uno 

5      escato,3 come per pigliare i colombi fanno gli uccellatori; e, per ciò che4 ciascuno
non vede la serpe che sta sotto l’erba nascosta, spesso vi piglia de’ grossi.5 Ma, sì
come colei che di variar cibi spesso si diletta, non dopo molto, sazia, a prender
nuova cacciagione si ritorna; e, per averne ella tuttavia due o tre presti, non si riman’ella
però d’uccellare;6 e, se io di questo mento o dico il vero, tu ’l sai, che parendoti 

10    bene mille occhi avere,7 senza sapertene guardare nelle panie incappasti.8

Giunta addunque nella chiesa e non sanza cautela avendo riguardato per tutto,
prestamente avendo raccolto9 con gli occhi chiunque v’è, incomincia, senza ristare
mai, a faticare una dolente filza di paternostri,10 or dall’una mano ne l’altra e da
l’altra ne l’una trasmutandoli,11 senza mai dirne uno, sì come colei la quale ha 

15    faccenda soperchia pur di far motto a questa e a quell’altra12 e di sufolare13 ora ad
una ora ad un’altra nelle orecchie, e così d’ascoltarne ora una ora un’altra; come

che questo molto grave le paia, cioè d’ascoltarne niuna, sì bene le pare sapere dire
a lei;14 e in questo, senza altro far mai, tutto quel tempo, che nella chiesa dimora,
consuma.15 Forse direbbe alcuno: «Quello, che nella chiesa non si fa, ella il supplisce 

20    nella sua casetta». La qual cosa non è punto vera; per ciò che chi si potesse di ciò
essere ingannato, altramenti credendo che ’l fatto sta,16 io, sì come colui che, s’ella
alcuno bene17 facesse, o alcuna orazione o paternostro dicesse, il sentirei,18 non ne
posso essere ingannato; per ciò che, non altrimenti che la fresca acqua è sopra i
caldi corpi soave, così a quelli19 la mia arsura20 sentirei rinfrescare.

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DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

La vedova del Corbaccio è un esempio di falsità e ipocrisia: va in chiesa non per attendere alle pratiche devote, bensì per incontrare uomini da circuire; anziché recitare le orazioni, chiacchiera con le vicine, nell’attesa dell’amante di turno. Non deve però stupire che proprio in chiesa la donna cerchi le desiderate avventure erotiche: in una società, come quella medievale, in cui la separazione tra i sessi era molto rigida, la frequentazione dei luoghi di culto rappresentava una delle poche occasioni di conoscenza tra uomini e donne. Ma se la chiesa nella tradizione cortese e stilnovistica era stata lo scenario di incontri puri e spirituali (Dante e Beatrice, Petrarca e Laura, ma anche Fiammetta e Panfilo nell’Elegia di Madonna Fiammetta), qui essa diventa lo sfondo per un adescamento illecito e peccaminoso, mosso soltanto da un’insana frenesia erotica: il rovesciamento del topos non potrebbe essere più evidente.

Le scelte stilistiche

Per stigmatizzare il carattere della vedova, Boccaccio la presenta come una sorta di cacciatrice (ribaltando il luogo comune tradizionale, che vede semmai l’uomo come cacciatore e la donna come preda). Per descrivere l’insaziabile attività di ricerca degli uomini, l’autore utilizza espressioni come tirare l’aiuolo (r. 2), escato (r. 5), uccellatori (r. 5), uccellare (r. 9), panie (r. 10), mentre i giovani bramati dalla donna sono assimilati a colombi (r. 5) e a cacciagione (r. 8): siamo sempre nel campo semantico della caccia, il cui lessico rende efficacemente la lascivia della vedova.

VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 I giovani concupiti dalla vedova sono definiti prodi e gagliardi e savi (r. 4). Cerca un sinonimo per ciascuno di questi tre aggettivi.


2 Perché il marito afferma di essere sicuro che non solo in chiesa, ma anche a casa la vedova non prega per lui?

INTERPRETARE

3 Come spiegheresti, in relazione al contesto, la frase per ciò che ciascuno non vede la serpe che sta sotto l’erba nascosta (rr. 5-6)?

scrivere per...

CONFRONTARE

4 Il motivo della “caccia d’amore” è presente in un’altra opera di Boccaccio fin dal titolo, la Caccia di Diana. Svolgi una breve ricerca su quest’opera e individua le analogie e le differenze con il brano del Corbaccio qui proposto in un testo di circa 20 righe.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento