T13 ANALISI ATTIVA - Calandrino e l’elitropia

T13

Calandrino e l’elitropia

Decameron, VIII, 3

Riportiamo qui, dall’Ottava giornata, dedicata alle beffe, la prima novella (raccontata da Lauretta) di cui è protagonista Calandrino, sorta di personaggio “seriale” del Decameron, che comparirà anche nelle novelle VIII, 6, Calandrino e il porco; IX, 3, Calandrino incinto; IX, 5, Calandrino innamorato. All’origine di questo personaggio ci fu una persona realmente esistita, il modesto pittore Nozzo di Perino, vissuto a Firenze tra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, ricordato due secoli dopo anche nelle Vite di Giorgio Vasari. Parimenti esistiti sono i suoi due “beffatori”, Bruno e Buffalmacco: Bruno di Giovanni d’Olivieri e Bonamico di Cristofano detto Buffalmacco. Il soprannome di quest’ultimo fa riferimento all’inclinazione alle beffe, mentre “Calandrino” allude a un uccello chiamato “calandra” considerato “sciocco” nell’immaginario popolare a causa del suo modo irregolare di volare. L’elitropia era – in base ai lapidari medievali – una pietra di colore verde molto scuro, capace di rendere invisibile chi la portasse con sé.

Calandrino, Bruno e Buffalmacco giù per lo Mugnone1 vanno cercando di trovar l’elitropia, 
e Calandrino se la crede aver trovata; tornasi a casa carico di pietre; la moglie il proverbia2 
e egli turbato3 la batte,4 e a’ suoi compagni racconta ciò che essi sanno meglio di lui.

Finita la novella di Panfilo, della quale le donne avevano tanto riso che ancor 
5      ridono, la reina ad Elissa commise che seguitasse; la quale ancora ridendo 
incominciò:
io non so, piacevoli donne, se egli mi si verrà fatto di farvi con una mia novelletta, 
non men vera che piacevole tanto ridere quanto ha fatto Panfilo con la sua: 
ma io me ne ’ngegnerò.
10    Nella nostra città, la qual sempre di varie maniere e di nuove genti è stata 
abondevole,5 fu, ancora non è gran tempo,6 un dipintore7 chiamato Calandrino, 
uom semplice e di nuovi costumi.8 Il quale il più del tempo con due altri dipintori 
usava,9 chiamati l’un Bruno e l’altro Buffalmacco, uomini sollazzevoli10 molto ma 
per altro avveduti e  sagaci,11 li quali con Calandrino usavan per ciò che de’ modi 
15    suoi e della sua simplicità12 sovente gran festa prendevano.13
Era similmente allora in Firenze un giovane di maravigliosa piacevolezza in 
ciascuna cosa che far voleva astuto e avvenevole,14 chiamato Maso del Saggio; il 
quale, udendo alcune cose della simplicità di Calandrino, propose di voler prender 
diletto de’ fatti suoi15 col fargli alcuna beffa o fargli credere alcuna nuova16 
20    cosa.
E per avventura17 trovandolo un dì nella chiesa di San Giovanni18 e vedendolo 
stare attento a riguardar le dipinture e gl’intagli del tabernaculo il quale è sopra 
l’altare della detta chiesa, non molto tempo davanti postovi,19 pensò essergli 
dato luogo e tempo alla sua intenzione.20 E informato un suo compagno di ciò 
25    che fare intendeva, insieme s’accostarono là dove Calandrino solo si sedeva, e 
faccendo vista21 di non vederlo insieme cominciarono a ragionare delle virtù22 di 
diverse pietre, delle quali Maso così efficacemente23 parlava come se stato fosse 
un solenne e gran lapidario.24 A’ quali ragionamenti Calandrino posta orecchie, 
e dopo alquanto levatosi in piè, sentendo che non era credenza,25 si congiunse 
30    con loro, il che forte piacque a Maso; il quale, seguendo le sue parole,26 fu da Calandrin 
domandato dove queste pietre così virtuose27 si trovassero. Maso rispose 
che le più si trovavano in Berlinzone,28 terra de’ baschi,29 in una contrada che 
si chiamava Bengodi,30 nella quale si legano le vigne con le salsicce31 e avevasi un’oca 
a denaio e un papero giunta;32 e eravi una montagna tutta di formaggio 
35    parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevano 
che far maccheroni33raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan 
quindi34 giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva;35 e ivi presso correva un fiumicel 
di vernaccia,36 della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol 
d’acqua.
40    «Oh!», «disse Calandrino» cotesto è buon paese; ma dimmi, che si fa de’ 
capponi che cuocon coloro?
Rispose Maso: «Mangiansegli i baschi tutti».
Disse allora Calandrino: «Fostivi tu mai?»
A cui Maso rispose: «Di’ tu se io vi fu’ mai? Sì vi sono stato così una volta come 
45    mille».37
Disse allora Calandrino: «E quante miglia ci ha?»38
Maso rispose: «Haccene39 più di millanta,40 che tutta notte canta».41
Disse Calandrino: «Dunque dee egli essere più là che Abruzzi».42
«Sì bene,» rispose Maso «si è cavelle».43
50    Calandrino semplice, veggendo Maso dir queste parole con un viso fermo e 
senza ridere, quella fede vi dava che dar si può a qualunque verità più manifesta, e 
così l’aveva per vere;44 e disse: «Troppo ci è di lungi a’ fatti miei;45 ma se più presso 
ci fosse,46 ben ti dico che io vi verrei una volta con esso teco,47 pur per veder fare il 
tomo a quei maccheroni e tormene una satolla.48 Ma dimmi, che lieto sie tu,49 in 
55    queste contrade50 non se ne truova niuna di queste pietre così virtuose?»
A cui Maso rispose: «Sì, due maniere51 di pietre ci si truovano di grandissima virtù. 
L’una sono i macigni da Settignano e da Montisci,52 per vertù de’ quali, quando 
son macine fatti, se ne fa la farina,53 e per ciò si dice egli54 in que’ paesi di là, che da 
Dio vengono le grazie e da Montici le macine; ma ècci55 di questi macigni sì gran 
60    quantità, che appo noi è poco prezzata,56 come appo loro gli smeraldi, de’ quali 
v’ha maggior montagne che Monte Morello57 che rilucon di mezza notte vatti con 
Dio;58 e sappi che chi facesse le macine belle e fatte legare in anella prima che elle si 
forassero e portassele al soldano, n’avrebbe ciò che volesse.59 L’altra si è una pietra, 
la quale noi altri lapidarii appelliamo elitropia, pietra di troppo gran vertù, per ciò 
65    che qualunque persona la porta sopra di sè, mentre la tiene, non è da alcuna altra 
persona veduto dove non è».60
Allora Calandrin disse: «Gran virtù son queste; ma questa seconda dove si 
truova?»
A cui Maso rispose che nel Mugnone se ne solevan trovare.
70    Disse Calandrino: «Di che grossezza è questa pietra? O che colore è il suo?»
Rispose Maso: «Ella è di varie grossezze, ché alcuna n’è più e alcuna meno,61 ma 
tutte son di colore quasi come nero».
Calandrino, avendo tutte queste cose seco notate,62 fatto sembianti63 d’avere 
altro a fare, si partì da Maso, e seco propose di voler cercare di questa pietra; ma 
75    diliberò64 di non volerlo fare senza saputa di Bruno e di Buffalmacco,65 li quali 
spezialissimamente amava. Diessi66 adunque a cercar di costoro, acciò che senza indugio e 
prima che alcuno altro n’andassero a cercare,67 e tutto il rimanente di quella mattina 
consumò in cercargli.68 Ultimamente,69 essendo già l’ora della nona70 passata, ricordandosi 
egli che essi lavoravano nel monistero delle donne di Faenza,71 quantunque 
80    il caldo fosse grandissimo, lasciata ogni altra sua  faccenda, quasi correndo n’andò 
a costoro, e chiamatigli, così disse loro: «Compagni, quando voi vogliate credermi, 
noi possiamo divenire i più ricchi uomini di Firenze: per ciò che io ho inteso da 
uomo degno di fede72 che in Mugnone si truova una pietra, la qual chi la porta 
sopra73 non è veduto da niun’altra persona; per che a me parrebbe che noi senza alcuno 
85    indugio, prima che altra persona v’andasse, v’andassimo a cercar. Noi la troverem 
per certo, per ciò che io la conosco;74 e trovata che noi l’avremo, che avrem noi 
a fare altro se non mettercela nella scarsella75 e andare alle tavole de’ cambiatori,76 
le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi77 e di fiorini,78 e torcene79 quanti 
noi ne vorremo? Niuno ci vedrà; e così potremo arricchire subitamente,80 senza avere 
90    tutto dì a schiccherare le mura81modo che fa la lumaca».
Bruno e Buffalmacco, udendo costui, fra sé medesimi cominciarono a ridere, e 
guatando82 l’un verso l’altro fecer sembianti83 di maravigliarsi forte, e lodarono84 
il consiglio85 di Calandrino; ma domandò Buffalmacco, come questa pietra avesse 
nome. A Calandrino, che era di grossa pasta,86 era già il nome uscito di mente; per 
95    che egli rispose: «Che abbiam noi a far del nome poi che noi sappiam la vertù? A 
me parrebbe che noi andassimo a cercare senza star più».87
«Or ben», disse Bruno «come è ella fatta?»
Calandrin disse: «Egli ne son d’ogni fatta88 ma tutte son quasi nere; per che a 
me pare che noi abbiamo a ricogliere89 tutte quelle che noi vederem nere, tanto 
100  che noi ci abbattiamo ad essa;90 e per ciò non perdiam tempo, andiamo».
A cui Bruno disse: «Or t’aspetta»;91 e volto a Buffalmacco disse: «A me pare 
che Calandrino dica bene; ma non mi pare che questa sia ora da ciò,92 per ciò 
che93 il sole è alto e dà per lo Mugnone entro e ha tutte le pietre rasciutte,94 per 
che tali paion testé bianche delle pietre che vi sono, che la mattina, anzi che il 
105  sole l’abbia rasciutte, paion nere;95 e oltre a ciò molta gente per diverse cagioni96 
è oggi, che è dì di lavorare,97 per lo Mugnone, li quali vedendoci si potrebbono 
indovinare quello che noi andassomo faccendo e forse farlo essi altressì,98
potrebbe venire alle mani a loro, e noi avremmo perduto il trotto per l’ambiadura.99 
A me pare, se pare a voi, che questa sia opera da dover fare da mattina, 
110  che si conoscon100 meglio le nere dalle bianche, e in dì di festa, che non vi sarà 
persona che ci vegga».101
Buffalmacco lodò il consiglio di Bruno, e Calandrino vi s’accordò: e ordinarono102 
che la domenica mattina vegnente tutti e tre fossero insieme a cercar 
di questa pietra; ma sopra ogn’altra cosa gli103 pregò Calandrino che essi non 
115  dovesser questa cosa con persona del mondo ragionare,104 per ciò che a lui era 
stata posta in credenza.105 E ragionato questo, disse loro ciò che udito avea della 
contrada di Bengodi, con saramenti106 affermando che così era. Partito Calandrino 
da loro, essi quello che intorno a questo107 avessero a fare ordinarono fra 
sé medesimi.
120   Calandrino con disidero108 aspettò la domenica mattina: la qual venuta, in 
sul far del dì si levò. E chiamati i compagni, per la porta a San Gallo usciti e nel 
Mugnon discesi cominciarono ad andare in giù, della pietra cercando. Calandrino 
andava, come più volenteroso,109 avanti e prestamente110 or qua e or là saltando, 
dovunque alcuna pietra nera vedeva si gittava e quella ricogliendo si metteva in 
125  seno.111 I compagni andavano appresso, e quando una e quando un’altra ne 
ricoglievano; ma Calandrino non fu guari di via andato, che egli il seno se n’ebbe 
pieno,112 per che, alzandosi i gheroni113 della gonnella, che alla analda non era,114
faccendo di quegli ampio grembo bene avendogli115 alla coreggia116 attaccati d’ogni 
parte, non dopo molto gli empié,117 e similmente, dopo alquanto spazio,118 fatto 
130  del mantello grembo,119 quello di pietre empiè.
Per che, veggendo Buffalmacco e Bruno che Calandrino era carico e l’ora del 
mangiare s’avvicinava, secondo l’ordine da sé posto,120 disse Bruno a Buffalmacco:
«Calandrino dove è?»
Buffalmacco, che ivi presso sel vedea,121 volgendosi intorno e or qua e or là 
135  riguardando, rispose: «Io non so, ma egli era pur122 poco fa qui dinanzi da noi».
Disse Bruno: «Ben che fa poco!123 a me par egli esser certo che egli è ora a casa 
a desinare e noi ha lasciati nel farnetico124 d’andar cercando le pietre nere giù per 
lo Mugnone».
«Deh come egli ha ben fatto», disse allora Buffalmacco «d’averci beffati e 
140  lasciati qui, poscia che noi fummo sì sciocchi che noi gli credemmo. Sappi!125 chi 
sarebbe stato sì stolto, che avesse creduto che in Mugnone si dovesse trovare una 
così virtuosa pietra, altri che noi?»
Calandrino, queste parole udendo, imaginò che quella pietra alle mani gli fosse 
venuta e che per la vertù d’essa coloro, ancor che lor fosse presente, nol vedessero. 
145  Lieto adunque oltre modo di tal ventura,126 senza dir loro alcuna cosa, pensò 
di tornarsi a casa; e volti i passi indietro se ne cominciò a venire.127
Vedendo ciò, Buffalmacco disse a Bruno: «Noi128 che faremo? Ché non ce ne 
andiam noi?»
A cui Bruno rispose: «Andianne;129 ma io giuro a Dio che mai Calandrino non 
150  me ne farà più niuna;130 e se io gli fossi presso, come stato sono tutta mattina, io 
gli darei tale di questo ciotto nelle calcagna,131 che egli si ricorderebbe forse un 
mese di questa beffa»; e il dir le parole e l’aprirsi e ’l dar del ciotto nel calcagna132 
a Calandrino fu tutto uno, Calandrino, sentendo il duolo,133 levò alto il piè e cominciò 
a soffiare,134 ma pur si tacque e andò oltre.
155  Buffalmacco, recatosi in mano uno de’ ciottoli che raccolti avea, disse a Bruno: 
«Deh! vedi bel codolo:135 così giugnesse egli testé nelle reni a Calandrino!» «e lasciato 
andare, gli diè con esso nelle reni una gran percossa; e in brieve in cotal guisa136 or 
con una parola, e or con una altra, su per lo Mugnone infino alla porta a San Gallo 
il vennero lapidando.137 Quindi, in terra gittate le pietre che ricolte aveano, alquanto 
160  con le guardie de’ gabellieri si ristettero;138 le quali, prima da loro informate, faccendo 
vista di non vedere, lasciarono andar Calandrino con le maggior risa del mondo».139 
Il quale senza arrestarsi se ne venne a casa sua, la quale era vicina al Canto alla 
Macina;140 e in tanto fu la fortuna piacevole141 alla beffa, che, mentre Calandrino per 
lo fiume ne venne e poi per la città, niuna persona gli fece motto,142 come che pochi ne 
165  scontrasse per ciò che quasi a desinare era ciascuno.143
Entrossene144 adunque Calandrino così carico in casa sua.
Era per avventura la moglie di lui, la quale ebbe nome monna Tessa, bella e 
valente145 donna, in capo della scala: e alquanto turbata146 della sua lunga dimora,147 
veggendol148 venire, cominciò proverbiando149 a dire: «Mai, frate, il diavol ti 
170  ci reca!150 Ogni gente ha già desinato quando tu torni a desinare».
Il che udendo Calandrino, e veggendo che veduto era, pieno di cruccio151 e di 
dolore cominciò a gridare: «Oimè, malvagia femina, o eri tu costì? Tu m’hai diserto152 
ma in fé di Dio io te ne pagherò!»153 e salito in una sua saletta e quivi scaricate 
le molte pietre che recate avea, niquitoso154 corse verso la moglie e presala per le 
175  trecce la si gittò a’ piedi, e quivi, quanto egli poté menar le braccia e’ piedi, tanto 
le diè per tutta la persona:155 pugna e calci, senza lasciarle in capo capello o osso 
addosso che macero156 non fosse, le diede niuna cosa valendole il chieder mercé 
con le mani in croce.157
Buffalmacco e Bruno, poi che co’ guardiani della porta ebbero alquanto riso, 
180  con lento passo cominciarono alquanto lontani158 a seguitar Calandrino; e giunti 
a piè dell’uscio159 di lui sentirono la fiera160 battitura la quale alla moglie dava, e 
faccendo vista di giugnere pure allora161 il chiamarono. Calandrino tutto sudato, 
rosso e affannato si fece alla finestra e pregogli che suso a lui dovessero andare.162 
Essi, mostrandosi alquanto turbati,163 andaron suso e videro la sala piena di pietre, 
185  e nell’un de’ canti la donna scapigliata, stracciata, tutta livida e rotta164 nel viso 
dolorosamente piagnere; e d’altra parte Calandrino scinto e ansando a guisa d’uom 
lasso,165 sedersi.
Dove, come alquanto ebbero riguardato, dissero: «Che è questo, Calandrino? 
vuoi tu murare,166 ché noi veggiamo qui tante pietre?» e oltre a questo soggiunsero: 
190  «E monna Tessa che ha? E’167 par che tu l’abbi battuta: che novelle168 son 
queste?» Calandrino, faticato169 dal peso delle pietre e dalla rabbia con la quale la 
donna aveva battuta, e dal dolore della ventura la quale perduta gli pareva avere,170 
non poteva raccogliere lo spirito171 a formare intera la parola alla risposta; per che 
soprastando,172 Buffalmacco ricominciò: «Calandrino, se tu aveva altra ira,173 tu 
195  non ci dovevi perciò straziare174 come fatto hai; ché, poi sodotti ci avesti175 a cercar 
teco della pietra preziosa, senza dirci a Dio né a diavolo,176 a guisa di due becconi 
nel Mugnon ci lasciasti, e venistitene, il che noi abbiamo forte per male; ma per 
certo questa fia la sezzaia che tu ci farai mai».177
A queste parole Calandrino sforzandosi rispose: «Compagni, non vi turbate,178 
200  l’opera sta altramenti che voi non pensate.179 Io, sventurato!, avea quella pietra 
trovata; e volete udire se io dico il vero? Quando voi primieramente180 di me domandaste 
l’un l’altro, io v’era presso a men di diece braccia,181 e veggendo che voi 
ve ne venavate e non mi vedavate v’entrai innanzi,182 e continuamente poco innanzi 
a voi me ne son venuto».
205  E, cominciandosi dall’un de’ capi,183 infino la fine raccontò loro ciò che essi fatto 
e detto aveano, e mostrò loro il dosso184 e le calcagna come i ciotti conci185 gliel’avessero; 
e poi seguitò: «E dicovi che, entrando alla porta186 con tutte queste pietre 
in seno che voi vedete qui, niuna cosa mi fu detta, ché sapete quanto esser sogliano 
spiacevoli e noiosi que’ guardiani187 a volere ogni cosa vedere; e oltre a questo ho 
210  trovati per la via più miei compari e amici, li quali sempre mi soglion far motto188 
e invitarmi a bere, né alcun fu che parola mi dicesse né mezza, sì come quegli che 
non mi vedeano.189 Alla fine, giunto qui a casa, questo diavolo di questa femina 
maladetta mi si parò dinanzi ed ebbemi veduto,190 per ciò che, come voi sapete, le 
femine fanno perder la vertù a ogni cosa: di che io, che mi poteva dire il più avventurato191 
215  uom di Firenze, sono rimaso il più sventurato; e per questo l’ho tanto battuta 
quant’io ho potuto menar le mani e non so a quello che io mi tengo che io non le 
sego le veni,192 che maladetta sia l’ora che io prima la vidi193 e quand’ella mi venne 
in questa casa!» E raccesosi nell’ira, si voleva levar per tornare a batterla da capo.
Buffalmacco e Bruno, queste cose udendo, facevan vista di maravigliarsi forte 
220  e spesso affermavano194 quello che Calandrino diceva, e avevano sì gran voglia di 
ridere, che quasi scoppiavano; ma vedendolo furioso levare195 per battere un’altra 
volta la moglie, levatiglisi allo ’ncontro il ritennero,196 dicendo di queste cose 
niuna colpa aver la donna ma egli che sapeva che le femine facevano perdere la 
vertù alle cose e non le aveva detto che ella si guardasse197 d’apparirgli innanzi 
225  quel giorno: il quale avvedimento198 Idio gli aveva tolto o per ciò che la ventura199 
non doveva esser sua, o perch’egli aveva in animo d’ingannare i suoi compagni, a’ 
quali, come s’avvedeva200 averla trovata, il doveva palesare.201
E dopo molte parole, non senza gran fatica, la dolente donna riconciliata con 
essolui202 e lasciandol malinconoso203 con la casa piena di pietre, si partirono.

 >> pagina 544 

ANALISI ATTIVA

I contenuti tematici

Il testo si apre con la presentazione dei personaggi: Calandrino, Bruno, Buffalmacco e Maso del Saggio. Sono tutti pittori attivi a Firenze nel primo Trecento, ma mentre Calandrino è uom semplice e di nuovi costumi (r. 12), Bruno e Buffalmacco – oltre a essere uomini sollazzevoli molto (r. 13), che è la ragione per cui Calandrino ama frequentarli – sono avveduti e sagaci (r. 14). Essi, a loro volta, frequentano Calandrino per ciò che de’ suoi modi e della sua simplicità sovente gran festa prendevano (rr. 14-15). Dunque è da subito evidente una fondamentale asimmetria nei rapporti: mentre l’amicizia di Calandrino verso gli altri due è ingenua, Bruno e Buffalmacco hanno da tempo individuato in lui un oggetto di divertimento, senza che egli lo sospetti.

Maso, a sua volta, si pone sullo stesso piano di Bruno e Buffalmacco. È lui, infatti, a innescare la prima beffa, incantando Calandrino con strani discorsi su paesi meravigliosi e pietre “virtuose”. Lo sciocco abbocca, ed ecco le premesse per la beffa successiva, su cui è incentrata la novella. Questa volta, però, è lo stesso Calandrino a mettersi da solo nel sacco, ovviamente senza accorgersene: nel momento in cui informa Bruno e Buffalmacco della notizia, comunicatagli da Maso, dell’esistenza di una pietra favolosa (l’elitropia) capace di rendere invisibile chi la porti su di sé, i due amici trovano subito, con un semplice scambio di sguardi (guatando l’un verso l’altro, r. 92), l’intesa per beffare il collega credulone.

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1. Suddividi tutto il testo in sequenze, attribuendo a ciascuna di esse un titolo adeguato.


2. Bruno consiglia di rinviare la ricerca della pietra alla domenica mattina. Perché?


3. Quali sono le fantasiose attrazioni del paese di Bengodi?

Il personaggio di Calandrino appare da subito come un sempliciotto piuttosto bizzarro. Non a caso, si beve tutte le storie strampalate raccontategli da Maso del Saggio, che, con il suo discorso sull’elitropia, prepara inconsapevolmente la beffa che poi sarà ordita da Bruno e Buffalmacco. Il suo principale punto di debolezza può essere forse individuato in «una capacità immaginativa superiore al comune, poiché è disposto a vedere cose che gli uomini normali riterrebbero inverosimili» (Asor Rosa).

Ignorante com’è, il protagonista della novella è soprattutto sciocco, ma anche piuttosto presuntuoso, giacché è convinto di poter riconoscere facilmente l’elitropia. Come ha scritto il critico Natalino Sapegno, in lui «la sciocchezza si complica di avarizia e di stolida diffidenza, e di non so quale persuasione di furberia». All’origine della sua creduloneria c’è in effetti la cupidigia, che affiora nella frenesia dell’affannosa ricerca della pietra magica e nell’intenzione di recarsi alle tavole dei cambiavalute: diventare invisibile gli consentirebbe (questa è la sua intenzione) di arricchirsi illecitamente e quando si convince, per lo scherzo di Bruno e Buffalmacco, di aver trovato la pietra che lo rende tale, non si palesa ai compagni che crede non lo stiano vedendo.

La stupidità di Calandrino si manifesta anche, alla fine della novella, nella violenza che sfoga percuotendo la moglie, poiché crede che un suo malefico influsso, in quanto femmina, abbia posto fine al magico influsso della pietra. In ciò affiora un certo pregiudizio misogino, tipico, per molti aspetti, della cultura e della società medievali. Ma Boccaccio, che alle donne aveva dedicato il Decameron, non condivide tale visione, ed è evidente, se consideriamo il punto di vista da cui la vicenda è narrata (teso a mettere alla berlina Calandrino), la condanna – da parte dell’autore – della mentalità antifemminile del personaggio e del suo violento comportamento.

4. Trova nel testo altri riferimenti alla dabbenaggine del protagonista.

5. Nel sottolineare l’affannosa ricerca di Calandrino, Boccaccio usa più volte lo stesso verbo. Quale?

6. Da quali atti e parole del personaggio puoi ricavare la sua presunzione?

7. Rintraccia nel testo i passaggi in cui emerge la disonestà di Calandrino.

8. Individua le frasi in cui emerge la visione misogina di Calandrino e quelle in cui il narratore evidenzia la sua aggressività nei confronti della moglie.

Lo strumento attraverso cui Calandrino viene beffato è la parola. Boccaccio in questa e in altre novelle del Decameron celebra l’arte di parlare come segno di intelligenza e di distinzione culturale, ma anche – come in questo caso – quale mezzo per esercitare un potere sugli altri. Possiamo apprezzare questa capacità di utilizzare il linguaggio in maniera efficace ai fini della beffa innanzitutto nel discorso di Maso e poi anche nelle battute rivolte da Bruno e Buffalmacco a Calandrino. In fondo, è tramite la parola che i due amici “fanno sparire” Calandrino, fingendo di non vederlo più e parlando di lui come se non fosse presente.

 >> pagina 546 

9. In quali frasi ed espressioni trovi riscontro a questo abile utilizzo della parola?

Le scelte stilistiche

Torniamo al discorso iniziale di Maso. Egli parla di luoghi favolosi dove avvengono cose meravigliose, utilizzando frasi equivoche e numeri immaginari. I suoi doppi sensi e giochi di parole non vengono percepiti come tali da Calandrino, il quale, sprovvisto di intelligenza ma anche di senso dell’umorismo, prende come oro colato quanto il suo interlocutore gli dice. L’anfibologia delle sue parole stabilisce un doppio livello di significati: Calandrino percepisce soltanto quello letterale, che non mette in discussione, ma che anzi, distratto (o meglio “astratto” dalla realtà) com’è, si fa scivolare addosso come se nulla fosse; il lettore, invece, intende un secondo livello di senso, basato sull’assurdità delle affermazioni e sulla loro comicità. In tal modo si stabilisce, tra Boccaccio (che possiamo intravedere dietro al personaggio di Maso del Saggio) e chi legge, un rapporto – anche in questo caso – di complicità: il narratore, per bocca di Maso del Saggio, sbeffeggia Calandrino, il quale non se ne accorge affatto; ce ne accorgiamo però noi che leggiamo la novella. L’autore può così riaffermare la propria simpatia verso coloro che sanno utilizzare il proprio ingegno con destrezza e, al tempo stesso, irridere chi si rivela sciocco e credulone.

10. Individua, nelle battute di Maso del Saggio, esempi di anfibologia.

La narrazione in terza persona e i dialoghi tra i vari personaggi sono tra loro in perfetto equilibrio per conferire al testo un ritmo narrativo veloce ed efficace, al punto che la vicenda, per quanto possa sembrare paradossale, finisce per diventare credibile agli occhi del lettore man mano che se ne segue lo svolgimento. Qui Boccaccio si mostra infatti abilissimo nel passare da dialoghi realistici a momenti di pura invenzione verbale (il discorso di Maso del Saggio), da scene dalle caratteristiche quasi teatrali alla descrizione realistica dei personaggi, fino a momenti di comicità surreale. In particolare, lo studioso Mario Baratto ha parlato, a proposito di questa novella, di «un racconto che si traduce in esatta misura di commedia, a quadri successivi, dove notazione gestuale e dialogo si compenetrano felicemente a delineare la maschera di Calandrino».

11. Distingui le parti diegetiche (diegesi) da quelle mimetiche (mimesi). Quale dei due livelli narrativi ti sembra prevalere? Con quali effetti, secondo te?

12. Sottolinea nel testo le frasi fatte e i frusti modi di dire che Boccaccio mette in bocca a Calandrino.

Educazione CIVICA – Spunti di realtà

In fin dei conti, quella subita da Calandrino è una beffa inoffensiva: certo, si tratta di uno scherzo un po’ sadico ma non va oltre i limiti della burla. Purtroppo non è sempre così: il gioco della derisione può diventare vessazione e il divertimento tramutarsi in persecuzione e molestia, comportamenti sanzionati dall’articolo 660 del Codice penale.


• Questi atti di intimidazione non sempre si concretizzano in violenza fisica e oggi si verificano con sempre maggior frequenza in Rete: in tal caso si parla di cyberbullismo. Prova a definire il fenomeno e commentalo in un dibattito in classe.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento