Pasolini: la celebrazione della vita
All’inizio degli anni Sessanta la ricerca di una vita autentica – in opposizione all’irrealtà della civiltà neocapitalistica e neoindustriale dell’Occidente – spinge lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini (1922-1975) a risalire artisticamente ad alcuni testi fondativi scritti in epoche lontane da un presente, quello in cui vive l’autore, da lui visto come degenerato. Perciò gira la cosiddetta “Trilogia della vita”: Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle Mille e una notte (1974).
Il Decameron pasoliniano include nove delle cento novelle; il film è diviso in due parti, ciascuna delle quali ha, come cornice, una novella che funge da guida: per la prima parte la novella di Ser Ciappelletto (I, 1), per la seconda quella di Giotto (VI, 5; ma nel film si tratta di un allievo del grande pittore, interpretato da Pasolini stesso). A parte la storia di Ciappelletto, tutte le altre sono ambientate nel Napoletano, perché per Pasolini la parlata partenopea e campana è in grado di restituire la dimensione popolare che egli intende privilegiare nella sua lettura del Decameron. Tutte le novelle sono infatti di ambientazione plebea o borghese.