CRITICI A CONFRONTO - Vittore Branca e Carlo Muscetta - Boccaccio e Ciappelletto: due diverse interpretazioni

CRITICI A CONFRONTO

Vittore Branca e Carlo Muscetta

Boccaccio e Ciappelletto: due diverse interpretazioni

Come si è detto nell’analisi ( pp. 491-492), la novella di Ser Ciappelletto è stata oggetto di letture contrastanti da parte degli studiosi. Ti proponiamo qui due interpretazioni differenti: quella di Vittore Branca (1913-2004) pone l’accento sul carattere irreligioso di Ciappelletto, simbolo negativo delle spietate leggi della “mercatura”; quella di Carlo Muscetta (1912-2004) considera invece la beffa finale come il rovesciamento ironico di una religione ridotta dalla spregiudicata morale borghese a puro fatto formale, a rito convenzionale.

Vittore Branca

Esempio estremo, quello di Ciappelletto: che piuttosto di mettere in pericolo il dominio dei banchieri italiani in Borgogna, piuttosto di ribellarsi alla «ragion di mercatura» sceglie di perdersi per l’eternità con piena coscienza della sua dannazione. È questa la «ragione» che induce lui, credente (e non scettico, come è stato detto) alla confessione sacrilega in punto di morte: è questo il motivo dell’ammirazione dei fratelli usurai per la sua empietà inaudita, alla Capaneo1, per la sua forza sovrumana o meglio disumana («Che uomo è costui, il quale né vecchiezza né infermità né paura di morte alla qual si vede vicino, né ancora di Dio, dinanzi al giudicio del quale di qui a picciola ora s’aspetta di dovere essere, dalla sua malvagità l’hanno potuto rimuovere?»). E allora anche il famoso bieco ritratto di Ciappelletto, che apre la novella con le sue linee fosche e senza sfumature, con le sue enumerazioni cupe e taglienti, appare non indugio oratorio o pezzo di bravura ma premessa coerente e necessaria alla enorme, calcolata empietà che è al centro del racconto […].

Perché al centro dell’atteggiamento in cui il Boccaccio scopre e contempla la smisurata forza della «ragion di mercatura» sta un’esitazione, che soltanto qualche volta (come nelle figure di Musciatto e di Ser Ciappelletto) si colora di tinte oscure e di biasimo. È un’esitazione, uno sgomento, fatto insieme di stupore e di orrore, che può richiamare quello di Dante – sia pure di passaggio sottolineato dal Boccaccio (Esposizioni V 1, 177 e ss.) – di fronte a certi peccatori, come Paolo e Francesca, e alla forza delle passioni e delle suggestioni che li condussero alla dannazione («Quand’io intesi quell’anime offense…»). Sembra che il Boccaccio, proprio mentre innalza questa nuova epopea, avverta anche i limiti o meglio gli aspetti disumani di questa potente e prepotente civiltà.


(Vittore Branca, Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni, Firenze 1990)

Carlo Muscetta

L’inopportuna canonizzazione e gli opinabili miracoli non voluti certo da Ser Ciappelletto inquadrano un exemplum il cui contenuto non è certo dantesco. La cupiditas, proprio perché è divenuta «ragione di mercatura» (Branca), diviene la legge di un mondo estetico e morale considerato nella sua logica autonoma, dove la religione ha una dimensione di carattere sociale, fa parte del «convenevole»: il ben morire è non meno importante del ben vivere. Al centro della memoria mistificante e carnevalesca di Ser Ciappelletto si colloca la sua autobiografia leggendaria che contraffà tutta la sua reale esistenza. […] Non per nulla, a coronamento dell’orazione canonizzante, il vecchio frate celebra la sua «lealtà e purità», cioè le sue qualità di pio e onesto mercante, che aveva risposto in maniera esemplare alla sua domanda se avesse peccato di avarizia, «desiderando più che il convenevole».

Proprio su questo borghese san Ciappelletto e i suoi miracoli si esercita l’ironia immanente1 nello stile della novella, che lascia l’addentellato2 alle considerazioni degli ascoltanti, per cui oltre che esser «risa» è anche «commendata». Altra è la religione del mondo del «convenevole», altra è quella che lo scrittore proietta nel novellatore, che è di là dai «mezzani» di santità e di là dalle permutazioni che regolano le vicende delle merci e del denaro. Dio «come cosa impermutabile» è un valore eterno che conta più delle umane «oppinioni» sul futuro delle anime, la cui salvezza o dannazione non può dipendere da quanto i religiosi, anche se venerabili, possono aver «conceputo» in conferire canonizzazioni estemporanee. Quindi […] se il narratore si diverte e ci diverte è perché tutto si risolve con un lieto fine «convenevole» per tutti: Ser Musciatto recupera i suoi crediti, i due usurai non ci rimettono neppure le spese del funerale, il santo frate beneficia il suo «luogo» che da convento diviene santuario, i fedeli ci rimediano reliquie e miracoli, e Ser Ciappelletto se non s’è conquistato il paradiso per grazia di Dio, non si è certo perduto l’inferno per cui tanto aveva operato. Il novellatore ne può ricavare un lieto exemplum alla rovescia, e senza nulla presumere sulla salvezza o sulla dannazione, è intanto grato a Dio se «in questa compagnia così lieta» tutti saranno «sani e salvi servati» dalla peste e dalla morte. Questa religiosità non vuole essere né cinica né bigotta. È una morale borghese, spregiudicata, serena.


(Carlo Muscetta, Boccaccio, Laterza, Roma-Bari 1992)

PER SCRIVERNE

Riassumi le tesi dei due critici e prendi posizione a favore dell’una o dell’altra, argomentando le tue ragioni. Segui questo schema: 1) presentazione del problema (introduzione); 2) enunciazione della tesi; 3) argomenti a favore della tesi; 4) presentazione dell’antitesi; 5) confutazione dell’antitesi; 6) rafforzamento e completamento della tesi (conclusione).

Classe di letteratura - volume 1
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Dalle origini al Cinquecento