Giovanni Boccaccio

I GRANDI TEMI

1 La letteratura e il mondo degli uomini

Scrivere e leggere per vincere il degrado Sul suo sepolcro Boccaccio volle che fosse scritto un epitaffio, da lui stesso composto, che si concludeva così: studium fuit alma poesis, ovvero il suo amore fu la poesia che dà vita, nutrimento, energia e, al tempo stesso, ripara dalle sofferenze della vita. Ecco: in questa sintetica affermazione è condensata la sua concezione della vita e della letteratura. Per lui il racconto e l’invenzione artistica adempiono a una funzione consolatoria, costituendo una sorta di spazio ameno che diverte e compensa il genere umano delle difficoltà e delle sofferenze affrontate nella vita.

La letteratura, in altri termini, crea e difende una realtà ordinata, rappresenta un luogo di libertà e di piacere, un rifugio nel quale riflettere sui temi più importanti dell’esistenza. Nel Decameron, come vedremo, dieci ragazzi fuggono dalla peste e proprio attraverso la narrazione di novelle rispondono simbolicamente al degrado, alla corruzione e alla morte in cui, a causa dell’epidemia, è precipitata la società.

Lo sguardo laico sulla vita Boccaccio non si assume il compito di riflettere sulla verità religiosa o sulla presenza di Dio nel mondo: tutta la sua attività, compresa quella giovanile, nella quale pure il debito per la tradizione classica si traduce nel travestimento mitologico e nell’ambientazione epica o pastorale, si presenta come il racconto delle passioni, degli amori e delle avventure umane. Per questo, il mondo reale viene descritto in tutte le sue sfaccettature: non per come dovrebbe essere, ma per come è, con tutti i limiti, da raffigurare con il sorriso e con l’indulgenza di chi accetta le debolezze di sé stesso e del prossimo. Il suo sguardo sul mondo non produce condanne o giudizi preconfezionati: Boccaccio non ha dogmi da difendere né preoccupazioni trascendenti da assecondare. Il suo orizzonte, almeno fino alla stesura del Decameron, è totalmente laico, unicamente volto alla rappresentazione terrena del vivere, nella quale la presenza determinante e imprevedibile della “fortuna”, ovvero del caso, può essere gestita e controllata dallo spirito d’iniziativa e dall’intelligenza degli uomini, arbitri del proprio destino.

Il culto del “saper vivere” L’uomo infatti deve sì conformarsi alla natura e obbedire alle proprie inclinazioni, ma non per questo deve soggiacere in modo passivo e irrazionale agli istinti, che al contrario vanno disciplinati grazie all’uso della ragione. Ed è proprio nell’esaltazione delle capacità umane di sottrarsi al caos del mondo che affiora un primo, fondamentale elemento della mentalità umanistica: la convinzione che il reale sia condizionato solo da forze immanenti e che ogni individuo possa operare autonomamente e in piena libertà per affermare sé stesso.

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2 Cortesia e borghesia

La fusione di valori diversi Sono principalmente due gli universi ideologici e valoriali nel cui ambito Boccaccio si forma e che rifletterà nelle sue opere: quello cortese e quello borghese. Si tratta di sistemi di idee e princìpi antitetici che egli si propone di integrare, in una difficile conciliazione tra la generosità, l’eleganza e la magnanimità che costituiscono il fondamento dell’etica aristocratica e lo spirito d’intraprendenza che anima i comportamenti della nuova classe borghese egemone. Tale sintesi lo porta, al tempo stesso, a criticare gli eccessi di queste due visioni del mondo contrapposte: da un lato i costumi cortesi rischiano di apparire anacronistici, se non vengono filtrati e attualizzati all’interno di un contesto sociale ed economico nuovo, nel quale è necessario mirare all’utile con ingegno e oculatezza; dall’altro la logica mercantile del guadagno, se non è accompagnata da senso della misura e considerazione dei rapporti umani, diventa avidità, grettezza, deprecabile cinismo.

Napoli e la corte angioina Su questo modello ideale, che Boccaccio pone alla base del vivere civile, agisce l’esperienza biografica concreta dello scrittore, che ha fatto conoscenza diretta, attraverso le vicende della sua vita, di mondi e valori tanto diversi. Il periodo trascorso a Napoli (1327-1340) lo porta a contatto con la realtà febbrile di una delle maggiori metropoli europee, con il dinamismo di una città portuale vivace e culturalmente assai stimolante, con gli scambi di un mercato variegato e cosmopolita, ma soprattutto gli offre la possibilità di entrare nella sfavillante corte angioina: la vita mondana dell’aristocrazia partenopea, fatta di feste sontuose e cerimoniali galanti, lo seduce come uno dei tanti, raffinati racconti della produzione d’Oltralpe letti nella biblioteca reale.

Firenze, la finanza e i commerci L’orizzonte di Boccaccio muta sensibilmente con il ritorno a Firenze insieme al padre, che ha esaurito la propria missione finanziaria a Napoli: d’ora in poi la sua prospettiva sociale e ideologica sarà stabilmente quella borghese, seppure lo scrittore continuerà a coltivare una struggente nostalgia verso il mondo dorato della corte.

Ma che città è la Firenze di quegli anni? Prima di diventare, nel periodo storico successivo (tra Umanesimo e Rinascimento), l’avanguardia del rinnovamento culturale nel campo della letteratura e dell’arte, già nel Trecento, con i suoi banchieri e mercanti, Firenze è uno dei principali centri dell’economia mondiale e sino alla metà del secolo la città vive un’impetuosa espansione.

Negli anni tra Due e Trecento (lo si è visto a proposito dell’età di Dante) le lotte civili tra le opposte fazioni – prima i guelfi e i ghibellini e successivamente, divenuta Firenze stabilmente guelfa, i neri e i bianchi – riflettevano i contrasti tra gruppi sociali diversi: in particolare il ceto dei ricchi mercanti e banchieri (rappresentato dalle arti maggiori), i piccoli artigiani (associati nelle arti minori) e i rappresentanti della nobiltà feudale (magnati). Boccaccio appartiene al primo ceto, ma conosce da vicino anche gli altri: un mondo che con il Decameron ritrarrà in tutte le sue molteplici sfaccettature.

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3 L’amore come sentimento terreno

Il filtro letterario Se si escludono le ultime opere scritte dopo il Decameron, consacrate all’impegno erudito e filosofico, possiamo dire che la produzione letteraria di Boccaccio sia una continua e convinta celebrazione dell’amore, descritto nelle sue diverse manifestazioni ma sempre come una irresistibile potenza naturale che ingentilisce l’anima ed esalta il corpo, coinvolgendo uomini e donne, di ogni età e di ogni classe sociale. Come avviene per tutti gli ambiti della sua ispirazione narrativa, anche questo tema viene filtrato attraverso precise reminiscenze letterarie: l’immagine idealizzata del sentimento amoroso matura infatti, già nel periodo napoletano, sulla scorta di una lunga tradizione culturale e letteraria che va dal trattato De amore di Andrea Cappellano alla lirica erotica in lingua d’oc e al romanzo cavalleresco in lingua d’oïl del ciclo bretone (si pensi a Chrétien de Troyes e alla storia di Tristano e Isotta).

I diversi valori dell’amore Non mancano però spunti nuovi che vanno nella direzione poi compiutamente sviluppata dal Decameron. Nelle opere scritte in questo periodo, a partire dal Filocolo, si coglie infatti una rappresentazione più articolata dell’amore, declinata in tutta la gamma del patetico e dell’appassionato: le storie narrate esibiscono rimpianti malinconici, vagheggiamenti sensuali e le diverse gradazioni del sentimento, analizzate per toccare la sensibilità del raffinato pubblico cortigiano, desideroso di sogni, lacrime e intrattenimento. Il tema amoroso consente a Boccaccio di proporre un’elegante occasione di consolatoria e idillica evasione.

Al tempo stesso, nel lieto fine matrimoniale che suggella la travagliata vicenda di Florio e Biancifiore, possiamo cogliere un aspetto poi spesso affiorante anche nelle novelle del Decameron: la revisione dei princìpi cortesi dell’amore come semplice diletto. Lo slancio erotico istintivo e generoso, esaltato nelle poesie dei trovatori, viene ora corretto e normalizzato dalle regole morali che integrano valori cristiani e istanze borghesi nella celebrazione del vincolo coniugale.

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Una passione disperata All’interno dell’amore si misurano, in tal modo, i diritti della ragione e quelli della passione: attraverso questa contrapposizione si misura la grande capacità di Boccaccio di illuminare la psicologia degli innamorati. Ne è un esempio l’opera più importante scritta durante il periodo fiorentino, l’Elegia di Madonna Fiammetta, nella quale l’autore immagina che la nobildonna napoletana Fiammetta scriva una lunga lettera alle donne innamorate. In essa ripercorre le tappe salienti della propria relazione extraconiugale con il mercante fiorentino Panfilo: la nascita improvvisa della passione, gli incontri clandestini, la disperazione quando Panfilo, costretto a rientrare a Firenze, non mantiene l’impegno di tornare a Napoli, fino a un tentativo di suicidio.

Il realismo psicologico Rievocando la storia del suo amore, la protagonista descrive le tempeste interiori, le speranze ingannevoli, il peso dell’angoscia sul suo cuore, la dolcezza dei ricordi ispirati dai luoghi teatro della sua gioia effimera, confessa il rimorso provocato dall’affetto del marito ignaro, analizza gli effetti dolorosi della gelosia. Fiammetta sembra per certi versi una delle eroine tragiche della classicità sedotte e poi tradite e abbandonate, ma il suo racconto-diario ci mostra un personaggio modernissimo, catturato dal furore, vittima di un amore che non è, come per Dante, peccaminoso “traviamento” destinato prima o poi a essere superato, ma delirio senza speranza di guarigione, desiderio incontrollato. Assistiamo così al superamento dei rigidi stilemi dell’amore cortese e stilnovistico, nella direzione di una maggiore concretezza e di un più credibile realismo psicologico.

Un’esperienza tutta terrena La concezione dell’amore presentata da Boccaccio – nell’Elegia di Madonna Fiammetta, ma anche e soprattutto nel Decameron – è di assoluta novità: lo scrittore ne parla sempre come di un’esperienza pienamente umana e terrena, descrivendo anche gli aspetti più concreti della passione: l’attrazione fisica, la dimensione sessuale e la naturalità del richiamo dei sensi.

In diverse novelle del Decameron, in particolare, si farà difensore dei “diritti della natura”, polemizzando apertamente con quell’ideale ascetico, tipicamente medievale, che vedeva nella rinuncia, nell’astinenza e nella castità la via più certa alla salvezza dell’anima.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento