Canzoniere

Canzoniere

L’opera di una vita

Un’opera senza tempo che attraversa i secoli È grazie al Canzoniere se ancora oggi leggiamo Petrarca. Non potrebbe essere altrimenti, poiché si tratta di un’opera assai innovativa, che per secoli ha “dettato legge” alla lirica italiana sul piano lessicale e formale, un’opera nella quale la realtà concreta viene trascesa su un piano di stilizzazione simbolica e di perfezione formale.

È una raccolta a cui Petrarca di fatto affida una funzione decisiva per la costruzione della sua immagine esemplare, nonostante la preferenza da lui accordata alla lingua latina: lo testimonia il fatto che vi lavora praticamente per tutta la vita.

I temi affrontati – la forza e il tormento dei sentimenti, ma anche la politica e la religione – e la sua capacità di esplorare la profondità dell’animo umano la rendono ancora oggi attuale.

La genesi del titolo Cominciamo la trattazione del Canzoniere proprio a partire dal titolo. In omaggio alla tradizione consolidata, anche noi lo chiameremo Canzoniere, sebbene questo termine compaia per la prima volta in un’edizione del 1516.

Petrarca infatti titola la sua raccolta Rerum vulgarium fragmenta, cioè “Frammenti di componimenti in volgare”, ma anche “popolari”, “di poco conto”. L’autore li definisce nugae, cioè “cosette di scarso valore”, motivo per cui alcuni editori moderni hanno titolato l’opera Rime sparse o semplicemente Rime.

Un’indicazione contraddittoria Contraddittoria appare dunque l’indicazione che Petrarca stesso ci fornisce: da un lato la scelta del volgare, che per un autore di grande cultura classica potrebbe sembrare quasi un impoverimento, insieme a un titolo che mostra di considerare quei componimenti come una produzione di poco rilievo; dall’altro lato, invece, il lavoro instancabile di decenni, testimoniato dalle numerose note a margine e frutto di ripensamenti, correzioni, modifiche, intorno all’opera che meglio esprime la complessità della sua dimensione morale ed esistenziale, rivelando aporie e ambiguità, ma anche slanci, entusiasmi e passioni.

Struttura dell’opera Il Canzoniere è una raccolta di 366 componimenti lirici, disposti secondo un disegno in parte narrativo: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, schemi metrici già presenti nelle opere dei trovatori e nella tradizione siciliana, siculo-toscana e stilnovistica. L’opera è tradizionalmente divisa in due sezioni: “Rime in vita di madonna Laura” (dal componimento 1 al 263), che coprono un periodo di ventun anni; e “Rime in morte di madonna Laura” (dal 264 al 366), che coprono un arco di dieci anni. Trentun anni complessivi sono dunque il “tempo della storia” del Canzoniere. Osservando il numero dei componimenti, è evidente l’allusione al numero dei giorni dell’anno, escludendo il sonetto proemiale, che funge da introduzione, nel quale Petrarca chiarisce i motivi della stesura di quest’opera rivolgendosi direttamente al lettore.

L’organizzazione dei testi e le nove redazioni Petrarca concepisce l’insieme delle poesie come un’opera unitaria, al pari delle Familiares e delle altre raccolte epistolari. Ha in mente il progetto di una grande opera autobiografica, una riscrittura ideale della propria vita, e decide di compierlo unendo tra loro alcuni testi minori, d’occasione, rispetto alle grandi opere in latino.

All’ordinamento dei diversi componimenti in un’architettura organica e in un libro compiuto, Petrarca lavora in varie fasi, fino agli ultimi anni di vita. Il manoscritto originale, in gran parte autografo, conservato nella Biblioteca Vaticana (codice Vaticano latino 3195), databile allo stesso anno della morte dell’autore, è considerato la redazione definitiva di un’opera la cui tormentata composizione ha rivelato, attraverso gli studi filologici, l’esistenza di addirittura nove stesure diverse.

La datazione dell’inizio della composizione dell’opera è invece incerta, ma è da collocare probabilmente alla fine degli anni Quaranta del Trecento. Sembra evidente, però, sempre dal sonetto proemiale, che Petrarca abbia cominciato a comporre il Canzoniere raccogliendo e ordinando rime sparse che risalivano già alla metà degli anni Trenta.

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I temi

Un’autobiografia ideale Canzoniere è un’autobiografia ideale, sul modello della Vita nuova di Dante. Petrarca vuole descrivere una trasformazione, o meglio una “conversione”: il passaggio dai valori terreni, come l’amore per Laura o la gloria poetica, a quelli religiosi e cristiani. Se il percorso è chiaro e lineare sul piano ideologico, lo è però di meno sul piano letterario, perché l’uomo che raccoglie questi testi dispersi e li riorganizza in una struttura unitaria è diverso dall’uomo che li ha scritti anni prima. Quando li ha composti Petrarca era nell’«errore», ancora preda del sentimento amoroso. Quando li riprende per farne questo libro autobiografico, diversi anni dopo, non è più schiavo delle proprie passioni, ma ha ricostruito la propria integrità interiore.

Laura: una visione terrena dell’amore

Personaggio cardine dell’opera è Laura, la donna amata, figura idealizzata e fortemente simbolica già a partire dal nome, che allude alla “laurea”, cioè all’incoronazione poetica con l’alloro, simbolo, appunto, della poesia.

Anche le circostanze in cui avviene il primo incontro, il 6 aprile 1327 (Venerdì Santo) nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, hanno un significato simbolico.

Le differenze con le donne stilnovistiche In apparenza, la Laura di Petrarca ha una stretta parentela con le donne degli Stilnovisti; al di là della descrizione stereotipata priva di elementi concreti – che ci restituisce un “angelo” biondo, dalla pelle chiarissima, con denti di perla e labbra di rubino –, Laura appare come una sorta di essere superiore, venuta, avrebbe detto Dante, «da cielo in terra a miracol mostrare».

Il dramma interiore di Petrarca, però, consiste proprio nell’inadeguatezza di questa immagine: laddove Beatrice rappresenta ancora un tramite tra l’uomo e Dio, Laura non viene più percepita come un essere metafisico, ma assume prepotentemente connotati di umanità e di sensualità. Siamo ancora ben lontani, tuttavia, da quel distacco dalla concezione teocentrica che, di qui a pochi decenni, consentirà all’individuo umanista e rinascimentale di guardare all’amore terreno con maggiore leggerezza. Petrarca non è in grado, nella sua posizione di uomo medievale, di accettare quella visione dell’amore, che sente come irrevocabilmente terrena e che determinerà – insieme con la ricerca della gloria mondana, le «catene di diamante» citate nel Secretum – il dramma della sua vita.

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Il “romanzo” di Laura Nell’opera si percorre la parabola di un amore terreno che comprende anche la dimensione sensuale. Il poeta esplora moti e conflitti interiori, oscilla tra sensazioni contrastanti senza mai una risoluzione definitiva, gioca simbolicamente sul nome della donna, ne contempla in vari modi l’immagine creata dal sogno, dalla fantasia o dalla memoria (Laura è sempre lontana, altrove nello spazio e nel tempo). L’amore è soprattutto un mito letterario, il fulcro su cui Petrarca fa convergere i suoi stati d’animo fluttuanti, e un omaggio alla vicina tradizione romanza che imponeva di incentrare nell’amore e nella donna ogni esperienza umana. Tuttavia Petrarca se ne serve per esprimere il proprio smarrimento e, dopo il lungo “vaneggiare”, il ritorno in sé, sino alla considerazione della vanità fragile di ogni bellezza e bene terreno, compresa la gloria letteraria.

La svolta che si attua nelle “Rime in morte di madonna Laura” è l’aspirazione a ritrovare l’integrità intellettuale, a ricomporre un io diviso a causa della passione amorosa (intesa come esperienza irrazionale vissuta all’insegna del senso di colpa) e a volgersi verso una dimensione più salda e duratura, nella quale si fa quindi insistente il pensiero di Dio.

L’identità di Laura Se leggiamo il Canzoniere attribuendo a esso valore di documento biografico, sembra che il vero amore, la passione totalizzante della vita di Petrarca, sia quello per Laura. In realtà non ci è dato sapere con certezza fino a che punto questo amore rappresenti una concreta esperienza nella vita del poeta e quanto invece sia una semplice creazione letteraria.

Laura è una persona realmente vissuta o la proiezione di un sentimento? La critica nel corso del tempo ha formulato svariate ipotesi. Il critico e filologo Giuseppe Billanovich si è spinto a negare l’esistenza storica di una precisa figura femminile. Non bisogna però dimenticare che la poesia medievale ha sempre un sostrato di verità e un punto di partenza concreto. Del resto diversi indizi fanno propendere per l’esistenza reale di Laura: Petrarca stesso ci dice che Simone Martini aveva dipinto un ritratto di Laura; in uno scambio epistolare con l’amico Giacomo Colonna, che mette in dubbio l’esistenza di Laura, il poeta risponde vivacemente; infine conosciamo la data di morte di Laura, il 6 aprile 1348.

Il ritratto di Laura

Qual era l’aspetto fisico di Laura? Stando alla descrizione dello stesso Petrarca, aveva i capelli biondi, la pelle chiarissima, le guance rosee, gli occhi neri e sereni, le labbra di un rosso pallido, la bocca dalla linea regolare, le mani sottili e bianchissime, i piedi snelli e leggiadri: qualità che rispondono in pieno ai canoni di bellezza del tempo. Anche i ritratti pittorici che abbiamo a disposizione furono eseguiti tutti seguendo unicamente le indicazioni che Petrarca aveva disseminato nei suoi versi, ancora legati da questo punto di vista alla tradizione duecentesca.

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Un amore per parlare dell’amore Come detto, è possibile che Petrarca abbia inventato o trasfigurato un amore per parlare dell’amore in generale, come passione totalizzante, mettendone a fuoco caratteristiche ed effetti. Anche l’amore di cui trattano i suoi versi potrebbe essere metafora di un più generale stato d’animo del poeta.

Come quello cantato da Cavalcanti, il sentimento petrarchesco è un fatto irrazionale e ossessivo, che peraltro non comporta nella donna alcuna forma di obbligazione reciproca: Laura, difesa dall’impenetrabilità della propria virtù, non sembra corrispondere mai alla passione del poeta, limitandosi a provare pietà (intesa come simpatia, compartecipazione psicologica) nei confronti suoi e del dramma intimo che egli sta vivendo.

L’esperienza dell’io sofferente La dialettica che fomenta l’animo del poeta si svolge tra motivazioni opposte, sublimate su un piano culturale: la passione disgregante che mina l’identità del soggetto nasce dal conflitto tra riprovazione morale dell’amore e irresistibilità del desiderio, cioè tra istanze medievali ancora non superate e istanze umanistiche non del tutto affermate.

Del resto, benché la presenza di Laura sia senza dubbio prevalente, il vero protagonista dell’opera è il poeta stesso. E in questo consiste l’importante evoluzione rispetto alla lirica dei trovatori, dei poeti siciliani e degli Stilnovisti: al centro dei versi non troviamo più la donna protagonista, ma l’animo tormentato dell’autore, secondo un meccanismo poe­tico già presente nell’elegia latina. Tanto che Petrarca nel sonetto proemiale si rivolge ai lettori chiedendo comprensione in nome del proprio stato d’animo, che egli sa di poter condividere con loro. L’animo angosciato è dunque il reale protagonista, studiato in ogni sua minima piega e accompagnato nelle sue reazioni più contraddittorie.

Oltre l’amore: politica e fede

Un Petrarca più triste e assorto Dopo la morte di Laura (che l’autore colloca nel 1348), il mondo del poeta sembra diventare più angusto, oltre che più triste e proiettato verso un desiderio di purificazione in chiave ultraterrena. Permane il ricordo dell’amata, accanto al quale sono ancora presenti le altre tematiche affrontate da Petrarca nelle liriche del Canzoniere: la situazione politica degli Stati italiani e la questione della curia papale, oltre a un sentimento di cosmopolitismo inquieto, accompagnato da una forte nostalgia per i diversi luoghi che nel corso del tempo hanno rappresentato la sua patria.

La tematica politica Un certo numero di componimenti del Canzoniere affronta tematiche etico-politiche. In particolare vanno segnalate due canzoni, Spirto gentil (53) e Italia mia (128, T13, p. 410). La prima viene scritta quando Cola di Rienzo prende il potere a Roma ed esprime la speranza di Petrarca che quel passaggio storico possa porre fine una volta per tutte alle rivalità tra le famiglie patrizie della città, restaurando gli antichi valori repubblicani. La seconda, di incerta datazione, critica duramente le lotte tra i diversi Stati italiani e il ricorso alle truppe mercenarie, auspicando una concordia politica capace di rivolgere le energie belliche contro quelle potenze straniere che costituiscono la vera minaccia per l’Italia. Sempre di argomento politico sono i cosiddetti “sonetti avignonesi” o “sonetti babilonesi” (136-138), invettive contro la curia papale corrotta e incapace di riscuotersi dal torpore morale che la blocca.

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La tematica religiosa: peccato, pentimento e conversione Il terzo grande tema del Canzoniere è quello religioso. Esso è presente in diversi componimenti dedicati alla passione per Laura, a partire dallo stesso sonetto proemiale, in quanto all’amore si legano i motivi del peccato, del pentimento e della conversione. L’argomento religioso è approfondito in particolar modo nelle “Rime in morte di madonna Laura” e raggiunge la sua massima espressione nella canzone conclusiva alla Vergine (Vergine bella, che, di sol vestita), in cui l’esaltazione mistica della bellezza e della bontà della madre di Dio contiene una fiduciosa domanda di intercessione e di salvezza. Ma tutta l’opera è percorsa dalla tensione religiosa e dal dramma non risolto dell’uomo incapace di condannare in modo definitivo le passioni terrene: anche quando, come negli ultimi componimenti, il poeta pare deciso a rifiutare le lusinghe dell’amore profano per volgersi solo a quello sacro, si può cogliere più il dolore per la colpa commessa che la pace della redenzione divina.

Il desiderio di liberazione e di quiete spirituale non lo conduce infatti verso un approdo finalmente stabile, poiché esso costituisce solo l’aspirazione della sua anima contraddittoria, che egli sente di dover illuminare. Da tale esigenza introspettiva nasce la poesia di Petrarca, che chiarisce, attraverso l’analisi dell’esperienza personale, la condizione stessa dell’uomo della propria epoca, il quale ha smarrito la saldezza religiosa e morale, si sente condannato alla sofferenza ma non rinuncia a credere nella salvezza mediante la grazia, da conquistare con la confessione e la preghiera.

Il tempo, la memoria, la morte

La caducità delle cose Nella rappresentazione delle opposizioni e degli stati d’animo che dilaniano la psicologia del poeta acquistano un grande rilievo lo struggimento per il tempo fuggito e lo sgomento per il destino mortale che attende ogni uomo. Del resto, la stessa vicenda narrata nel Canzoniere si configura come una visione del tempo trascorso: la scomparsa della donna amata può essere considerata come la prova del disinganno esistenziale e della fugacità dei beni concessi e poi negati dall’esistenza terrena. In tal modo, le liriche petrarchesche presentano una continua oscillazione tra il presente, il passato e il futuro: il passato rappresenta il tempo del «giovenile errore», della passione amorosa e della presenza di Laura; il presente costituisce il piano della consapevolezza, dell’introspezione e del pentimento; il futuro fa balenare la speranza di una possibile ricomposizione dei conflitti che agitano l’io del poeta.

La soggettività del tempo Da qui deriva un sentimento del tempo come corso ineluttabile e «processo di autoconsumazione destinato a concludersi» (Fenzi): non a caso il tema della fugacità delle cose umane è sottolineato dalla ossessiva ricorrenza dei verbi «volare» e «fuggire», che «più frequentemente accompagnano le presenze del tempo quale sostanza allegorica» (Marcozzi). Come si vede dall’invecchiamento e dalla morte di Laura, l’eternità delle cose non è che un falso miraggio, poiché l’incombente spettro del tempo si incarica prima o poi di mostrare che «quanto piace al mondo è breve sogno» (Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, v. 14, T6, p. 385).

L’esperienza del ricordo La vita quindi si manifesta progressivamente come una perdita, una percezione continua di ciò che è stato prima e ora non è più. Il solo schermo che attutisce una siffatta nozione del tempo è costituito dalla memoria, che permette al poeta di aggrapparsi alla sua fragile identità di vivente recuperando gli attimi e i frammenti del passato, fissandoli poi sulla pagina e sottraendoli alla corrosione del tempo grazie alla funzione, quella sì eternante, della scrittura.

Già l’amato sant’Agostino scriveva nelle Confessioni: «Non posso comprendere la natura della mia memoria, mentre senza di quella non potrei nominare neppure me stesso» (X, 16, 25). Nessuno, prima e meglio di Petrarca, ha saputo dare forma lirica al dramma dell’individuo che riesce a capire sé stesso solo penetrando nel mistero della memoria di tutto ciò che ormai non esiste più.

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Una scelta linguistica originale

La scelta linguistica operata da Petrarca nel Canzoniere è piuttosto originale, soprattutto se contestualizzata nel momento storico e se paragonata a quella dantesca, teorizzata nel De vulgari eloquentia e concretizzata nella Commedia.

La solennità di un volgare modellato sul latino Per Dante il volgare è una scelta netta e decisa, che prevede la creazione di un idioma che sia «illustre», «cardinale», «aulico» e «curiale», ma che contemporaneamente sappia spaziare in un amplissimo ventaglio di registri e di scelte lessicali. Per Petrarca, al contrario, il volgare deve tendere a riprodurre la perfezione lessicale e strutturale del latino. La letteratura latina, infatti, ha raggiunto una perfezione che ormai si può soltanto imitare; il volgare, d’altro canto, può elevarsi al livello di una lingua letteraria, purché venga sottoposto a un processo di continuo raffinamento.

Del resto, che per Petrarca la scelta del volgare sia un’opzione letteraria, quasi “estranea” al parlato e alla comunicazione quotidiana, è ampiamente testimoniato dalle glosse in latino con le quali si autocommenta a margine dei testi: optime! (“benissimo!”) oppure hic corrige (“qui correggi”). Ciò significa che per Petrarca la lingua quotidiana è più il latino che non il volgare, soprattutto nel periodo in cui vive ad Avignone, dove parla provenzale solo con la gente del popolo, mentre usa il latino con le persone colte.

Il monolinguismo di Petrarca contro il plurilinguismo di Dante Coerentemente con il suo progetto di una rappresentazione totale della realtà, Dante aveva utilizzato le diverse possibilità espressive della nascente lingua italiana, declinandola in tutti i suoi registri: dall’alto al basso, dal tragico al comico. Viceversa, Petrarca opta per uno stile sempre medio. Da qui la definizione del critico Gianfranco Contini di «plurilinguismo» per l’opera di Dante e di «monolinguismo» per quella di Petrarca.

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La definizione del critico Gianfranco Contini Secondo il critico, nella poesia di Dante entrano tutti i diversi livelli linguistici e di conseguenza stilistici. Il plurilinguismo dantesco non è solo uso concomitante di latino e volgare, ma soprattutto «poliglottia degli stili e […] dei generi letterarî» sia nella prosa sia nella poesia. Invece la lingua del Canzoniere di Petrarca è sostanzialmente fiorentina ma in senso astratto, e limitata stilisticamente al linguaggio letterario: la scelta linguistica è pertanto rigorosamente univoca sul piano lessicale, continuamente depurata dei tratti vernacolari o anche solo realistici, lontana da ogni sperimentalismo, sottoposta a un incessante lavoro di correzione, riduzione, riscrittura degli stessi testi.

Una lingua lontana dallo spazio e dal tempo Per i propri componimenti, Petrarca mette a punto un linguaggio chiuso e selettivo, sottratto alla concretezza della vita reale, mirato alla rappresentazione di una vicenda esclusivamente interiore. La sua lingua è inadatta a riferire contenuti realistici e tesa invece a esprimere esperienze assolute, quasi fuori dallo spazio e dal tempo. Alcuni critici hanno notato che dalla lingua di Petrarca emerge una sorta di immobilità e gli stessi verbi, di fatto, non definiscono azioni o movimenti reali.

La lingua del Canzoniere è basata su una magistrale alternanza di ripetizione e variazione. La volontà dell’autore di conferire organicità al disegno dell’opera, le pressioni del codice lirico-amoroso e delle sue parole chiave, nonché il carattere ossessivo della riflessione psicologica del soggetto e del suo desiderio amoroso determinano l’alta frequenza di singole parole (core, amore, occhio, viso, dolce, vago, bello ecc.), a loro volta inserite in abbinamenti ricorrenti (begli occhi, bel viso/volto, alta impresa, dolce riso, dolce vista, aura soave...) o fissate nel modulo tipicamente petrarchesco della dittologia, soprattutto a fine verso (pietà, nonché perdono; uscio e varco; canuto et biancho ecc.).

L’ampio uso delle figure retoriche A interrompere, ma solo apparentemente, questa fissità, interviene, sul piano sintattico, la figura retorica dell’antitesi: se da un lato, sul piano psicologico, essa può essere interpretata come l’espressione del perenne conflitto interiore del poeta, dall’altro, sul piano della struttura letteraria, essa determina l’armonia retorica della composizione. È come se la lacerazione emotiva dell’animo del poeta si ricomponesse nella perfetta armonia del livello formale: la sua passione si cristallizza nella perfezione dei versi. Tale trasposizione del caos del reale nella serenità rappacificante della forma è, in fondo, la caratteristica del  classicismo.

Classe di letteratura - volume 1
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento