La lettera è indirizzata all’amico Dionigi da Borgo San Sepolcro, che gli aveva regalato una copia delle Confessioni di sant’Agostino, citate nella lettera. Il poeta aveva conosciuto il religioso probabilmente nel 1333 a Parigi, dove il frate agostiniano insegnava teologia e filosofia nel celebre Studio di quella città. Petrarca ripercorre l’esperienza di un’ascensione al Mont Ventoux, poco lontano da Avignone, compiuta con il fratello Gherardo. In realtà, dal lungo racconto che narra le difficoltà del cammino, la fatica di raggiungere la cima e i diversi stati d’animo dei due protagonisti, emergono le difficoltà dell’autore, in una sorta di riflessione autobiografica che tocca tutte le questioni più importanti della sua vita e del suo pensiero.
T4 - L’ascesa al Mont Ventoux
T4
L’ascesa al Mont Ventoux
Familiares, IV, 1
A Dionigi da San Sepolcro dell’ordine di sant’Agostino e professore della sacra pagina. Sui propri affanni.
Oggi, spinto dal solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono
salito sul più alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Da
molti anni mi ero proposto questa gita; come sai, infatti, per quel destino che
regola le vicende degli uomini, ho abitato in questi luoghi sino dall’infanzia e
5 questo monte, che a bell’agio1 si può ammirare da ogni parte, mi è stato quasi sempre
negli occhi. Ebbi finalmente l’impulso di realizzare ciò che mi ripromettevo ogni
giorno, soprattutto dopo essermi imbattuto, mentre giorni fa rileggevo la storia
romana di Livio,2 nel passo cui il re dei Macedoni Filippo – quello che fece guerra
con Roma – salì sull’Emo, monte della Tessaglia,3 e di lassù credette di vedere,
10 secondo4 si diceva, due mari, l’Adriatico e l’Eusino.5 […] Ma per tornare ora al
Ventoso, mi è sembrato scusabile in un giovane di condizione privata quello che
non fu biasimato in un vecchio re. Senonché, quando dovetti pensare a un compagno
di viaggio, nessuno dei miei amici, meravigliati pure, mi parve in tutto adatto:
tanto rara, anche tra persone care, è una perfetta concordia di volontà e di indoli.
15 Questi era troppo pigro, quello troppo vivace; questi era troppo fiacco, quello
troppo svelto; questi troppo sventato, quello troppo prudente rispetto a quanto
desiderassi; di questo mi spaventava il silenzio, di quello la loquacità; di questo
la pesantezza e la pinguedine,6 di quello la magrezza e la debolezza; di questo
mi deprimeva la fredda indifferenza, di quello l’ardente attività; tutti difetti che,
20 sebbene gravi, in casa si sopportano (tutto compatisce l’affetto7 e l’amicizia non
rifiuta alcun peso), ma che in viaggio divengono troppo pesanti. E così, esigente
com’ero e desideroso di un onesto svago, pur senza offendere in nulla l’amicizia,
mi guardavo intorno soppesando il pro e il contro, silenziosamente rifiutando
tutto quello che mi pareva potesse intralciare la gita progettata. Finalmente – che
25 pensavi? – mi rivolgo agli aiuti di casa e mi confidai con l’unico fratello,8 di me
più giovane e che tu ben conosci. Nulla avrebbe potuto ascoltare con maggiore
letizia, felice di potersi considerare, verso di me, fratello ed amico.
Partimmo da casa il giorno stabilito e a sera eravamo giunti a Malaucena,9 alle
falde del monte, verso settentrione. Qui ci fermammo un giorno ed oggi, finalmente,
30 con un servo ciascuno, abbiamo cominciato la salita, e molto a stento. La
mole del monte, infatti, tutta sassi, è assai scoscesa e quasi inaccessibile, ma ben
disse il poeta che «l’ostinata fatica vince ogni cosa».10 Il giorno lungo, l’aria mite,
l’entusiasmo, il vigore, l’agilità del corpo e tutto il resto ci favorivano nella salita;
ci ostacolava soltanto la natura del luogo. In una valletta del monte incontrammo
35 un vecchio pastore che tentò in mille modi di dissuaderci dal salire, raccontandoci
che anche lui, cinquant’anni prima, preso dal nostro stesso entusiasmo giovanile,
era salito fino alla vetta, ma che non ne aveva riportato che delusione e fatica, il
corpo e le vesti lacerate dai sassi e dai pruni, e che non aveva mai sentito dire che
altri, prima o dopo di lui, avesse ripetuto il tentativo. Ma mentre ci gridava queste
40 cose, a noi – così sono i giovani, restii a ogni consiglio – il desiderio cresceva per
il divieto. Allora il vecchio, accortosi dell’inutilità dei suoi sforzi, inoltrandosi un
bel po’ tra le rocce, ci mostrò col dito un sentiero tutto ▶ erto, dandoci molti avvertimenti
e ripetendocene altri alle spalle, che già eravamo lontani. Lasciate presso di
lui le vesti e gli oggetti che ci potevano essere d’impaccio, tutti soli ci accingiamo
45 a salire e ci incamminiamo alacremente.11 Ma come spesso avviene, a un grosso
sforzo segue rapidamente la stanchezza, ed eccoci a sostare su una rupe non lontana.
Rimessici in marcia, avanziamo di nuovo, ma con più lentezza; io soprattutto,
che mi arrampicavo per la montagna con passo più faticoso, mentre mio fratello,
per una scorciatoia lungo il crinale del monte, saliva sempre più in alto. Io, più
50 fiacco, scendevo giù, e a lui che mi richiamava e mi indicava il cammino più
diritto, rispondevo che speravo di trovare un sentiero più agevole dall’altra parte
del monte e che non mi dispiaceva di fare una strada più lunga, ma più piana.
Pretendevo così di scusare la mia pigrizia e mentre i miei compagni erano già in
alto, io vagavo tra le valli, senza scorgere da nessuna parte un sentiero più dolce;
55 la via, invece, cresceva e l’inutile fatica mi stancava. Annoiatomi e pentito oramai
di questo girovagare, decisi di puntare direttamente verso l’alto e quando, stanco
e ansimante, riuscii a raggiungere mio fratello, che si era intanto rinfrancato con
un lungo riposo, per un poco procedemmo insieme. Avevamo appena lasciato
quel colle che già io, dimentico del primo errabondare, sono di nuovo trascinato
60 verso il basso, e mentre attraverso la vallata vado di nuovo alla ricerca di un
sentiero pianeggiante, ecco che ricado in gravi difficoltà. Volevo differire12 la fatica del
salire, ma la natura non cede alla volontà umana, né può accadere che qualcosa di
corporeo raggiunga l’altezza discendendo. Insomma, in poco tempo, tra le risa di
mio fratello e nel mio avvilimento, ciò mi accadde tre volte o più. Deluso, sedevo
65 spesso in qualche valletta e lì, trascorrendo13 rapidamente dalle cose corporee alle
incorporee, mi imponevo riflessioni di questo genere: «Ciò che hai tante volte
provato oggi salendo su questo monte, si ripeterà, per te e per tanti altri che
vogliono accostarsi alla beatitudine; se gli uomini non se ne rendono conto tanto
facilmente, ciò è dovuto al fatto che i moti del corpo sono visibili, mentre quelli
70 dell’animo sono invisibili e occulti. La vita che noi chiamiamo beata è posta in
alto e stretta, come dicono,14 è la strada che vi conduce. Inoltre vi si frappongono
molti colli, e di virtù in virtù dobbiamo procedere per nobili gradi; sulla cima è la
fine di tutto, è quel termine verso il quale si dirige il nostro ▶ pellegrinaggio. Tutti
vogliono giungervi, ma come dice Ovidio,15 “volere è poco; occorre volere con
75 ardore per raggiungere lo scopo”. Tu certo, se non ti sbagli anche in questo come
in tante altre cose, non solo vuoi, ma vuoi con ardore. Cosa dunque ti trattiene?
Nient’altro, evidentemente, se non la strada più pianeggiante che passa per i bassi
piaceri della terra e che a prima vista sembra anche più agevole; ma quando avrai
molto vagato, allora sarai finalmente costretto a salire sotto il peso di una fatica
80 malamente differita verso la vetta della beatitudine, oppure a cadere spossato nelle
valli dei tuoi peccati; e se mai – inorridisco al pensiero – le tenebre e l’ombra della
morte lì dovessero coglierti, dovrai vivere una notte eterna in perpetui tormenti».16
Non so dirti quanto tale pensiero mi rinfrancasse anima e corpo per il resto del
cammino. E potessi compiere con l’anima quel viaggio cui giorno e notte sospiro
85 così come, superata finalmente ogni difficoltà, oggi l’ho compiuto col corpo! E io
non so se quello che in un batter d’occhio e senza alcun movimento locale può
realizzare l’anima di sua natura eterna e immortale,17 debba essere più facile di
quello che si deve invece compiere in una successione di tempo, con il concorso
di un corpo destinato a morire e sotto il peso grave delle membra.
90 C’è una cima più alta di tutte, che i montanari chiamano il “Figliuolo”; perché
non so dirti; […]. Dapprima, colpito da quell’aria insolitamente leggera e da quello
spettacolo grandioso, rimasi come istupidito. […] Ma ecco entrare in me un nuovo
pensiero che dai luoghi mi portò ai tempi: «Oggi – mi dicevo – si compie il
decimo anno da quando, lasciati gli anni giovanili, hai abbandonato Bologna: Dio
95 immortale, eterna Saggezza, quanti e quali sono stati nel frattempo i cambiamenti
della tua vita! Così tanti che non ne parlo; del resto non sono ancora così sicuro in
porto da rievocare le passate tempeste. Verrà forse un giorno in cui potrò enumerarle
nell’ordine stesso in cui sono avvenute, premettendovi le parole di Agostino:
“Voglio ricordare le mie passate turpitudini, le carnali corruzioni dell’anima mia, non
100 perché le ami, ma per amare te, Dio mio”.18 Troppi sono ancora gli interessi che mi
producono incertezza ed impaccio. Ciò che ero solito amare,19 non amo più; mento:
lo amo, ma meno; ecco, ho mentito di nuovo: lo amo, ma con più vergogna, con
più tristezza; finalmente ho detto la verità. È proprio così: amo, ma ciò che amerei
non amare, ciò che vorrei odiare; amo tuttavia, ma contro voglia, nella costrizione,20
105 nel pianto, nella sofferenza. In me faccio triste esperienza di quel verso di un
famosissimo poeta:21 “Ti odierò, se posso; se no, t’amerò contro voglia”.» […] Questi ed
altri simili erano i pensieri, padre mio,22 che mi ricorrevano nella mente. Gioivo dei
miei progressi, piangevo sulle mie imperfezioni, commiseravo la comune instabilità
delle azioni umane; e già mi pareva d’aver dimenticato il luogo dove mi trovavo e
110 perché vi ero venuto, quando, lasciate queste riflessioni che altrove sarebbero state
più opportune, mi volgo indietro, verso occidente, per guardare ed ammirare ciò
ch’ero venuto a vedere: m’ero accorto infatti, stupito, che era ormai tempo di
levarsi, che già il sole declinava e l’ombra del monte s’allungava. I Pirenei, che sono di
confine tra la Francia e la Spagna, non si vedono di qui, e non credo per qualche
115 ostacolo che vi si frapponga, ma per la sola debolezza della nostra vista; a destra,
molto nitidamente, si scorgevano invece i monti della provincia di Lione, a sinistra
il mare di Marsiglia e quello che batte Acque Morte,23 lontani alcuni giorni di
cammino; quanto al Rodano, era sotto i nostri occhi. Mentre ammiravo questo
spettacolo in ogni suo aspetto ed ora pensavo a cose terrene ed ora, invece, come avevo
120 fatto con il corpo, levavo più in alto l’anima, credetti giusto dare uno sguardo alle
Confessioni di Agostino, dono del tuo affetto,24 libro che in memoria dell’autore e di
chi me l’ha donato io porto sempre con me: libretto di piccola mole ma d’infinita
dolcezza. Lo apro per leggere quello che mi cadesse sott’occhio: quale pagina poteva
capitarmi che non fosse pia o devota? Era il decimo libro. Mio fratello, che attendeva
125 per mia bocca di udire una parola di Agostino, era attentissimo. Lo chiamo con
Dio a testimonio che dove dapprima gettai lo sguardo, vi lessi: «e vanno gli uomini
a contemplare le cime dei monti, i vasti flutti del mare, le ampie correnti dei fiumi,
l’immensità dell’oceano, il corso degli astri e trascurano sé stessi».25 Stupii, lo
confesso; e pregato mio fratello che desiderava udire altro di non disturbarmi, chiusi il
130 libro, sdegnato con me stesso dell’ammirazione che ancora provavo per cose terrene
quando già da tempo, dagli stessi filosofi pagani,26 avrei dovuto imparare che niente
è da ammirare tranne l’anima, di fronte alla cui grandezza non c’è nulla di grande.
Soddisfatto oramai, e persino sazio della vista di quel monte, rivolsi gli occhi
della mente in me stesso e da allora nessuno mi udì parlare per tutta la discesa:
135 quelle parole tormentavano il mio silenzio. Non potevo certo pensare che tutto
fosse accaduto casualmente; sapevo anzi che quanto avevo letto era stato scritto
per me, non per altri: tanto più che ricordavo ciò che di sé stesso aveva pensato
Agostino quando, aprendo il libro dell’Apostolo, come lui stesso racconta, lesse
queste parole: «non gozzoviglie ed ebbrezze, non lascivia e impudicizie, non risse
140 e gelosia, ma rivestitevi del signore Gesù Cristo, e non seguite la carne nelle sue
concupiscenze».27
Dentro il TESTO
I contenuti tematici
Nella lettera è presente una corposa simbologia: Petrarca la data al 26 aprile, giorno in cui nell’anno 1336 ricorreva il Venerdì Santo, momento di penitenza e di ricerca della redenzione; cerca conforto nelle Confessioni di sant’Agostino, per lui fonte di riflessione e di aiuto; cammina accanto al fratello Gherardo, che simboleggia le certezze di fede. Ma è la salita stessa al Mont Ventoux ad assumere un valore allegorico: il faticoso cammino di Petrarca indica il tentativo dell’uomo di avvicinarsi a Dio. Nel racconto dell’ascesa si evidenzia molto presto una differenza di comportamento tra Francesco e Gherardo. Se quest’ultimo cerca il cammino più diretto, Petrarca preferisce un sentiero più agevole e la strada più lunga, ma più piana (rr. 51-52). Tuttavia l’apparenza inganna e ben presto il poeta si accorgerà che l’itinerario scelto lo conduce attraverso giri viziosi e impervi fianchi della montagna, che sembrano riflettere l’oscillante indecisione che affligge il suo spirito. Così, mentre la più faticosa ma sicura via di Gherardo lo porta verso la cima e quindi, fuor d’allegoria, all’approdo della monacazione, quella in cui si dibatte Francesco diventa agli occhi della sua coscienza lo specchio dell’irresolutezza del proprio animo, incapace di sottrarsi senza titubanze ai valori terreni.
Le scelte stilistiche
Dal punto di vista della costruzione narrativa, l’episodio dell’incontro con l’anziano pastore che prova a scoraggiare Francesco e suo fratello dalla salita alla cima (rr. 34-45) ha quasi il ruolo di una prolessi, nel senso che evidenzia il rischio di un fallimento, quale, per certi aspetti, almeno parzialmente risulterà per Petrarca quell’escursione.
La lettera offre un interessante esempio di intertestualità, cioè di riferimenti ad altre opere, che vengono citate nel testo. Ne emerge una sorta di piccola “biblioteca” di Petrarca lettore, prima che scrittore. In un suggestivo gioco di specchi, egli racconta di avere aperto a caso le Confessioni di Agostino, leggendovi parole che sembrano scritte apposta per lui, così come Agostino aveva aperto a caso il libro dell’Apostolo (cioè le Lettere di san Paolo), trovandovi espressioni che sembravano adeguarsi perfettamente alla sua situazione (rr. 135-141).
Verso le COMPETENZE
COMPRENDERE
1 A che cosa ripensa Petrarca, una volta giunto sulla cima?
2 Da che cosa Petrarca si sente attratto, nonostante la sua coscienza morale gliene rinfacci il carattere illecito?
ANALIZZARE
3 Che funzione hanno le continue citazioni di autori antichi? Dividi gli autori menzionati in pagani e cristiani.
4 A quali riflessioni viene condotto Petrarca dalla lettura di sant’Agostino? In quale particolare momento dell’ascesa?
5 È possibile affermare che, alla fine del brano, viene istituito un parallelismo tra la coppia Petrarca/sant’Agostino e quella sant’Agostino/san Paolo? perché?
INTERPRETARE
6 Quali aspetti del carattere di Petrarca puoi dedurre dalle sue perplessità, da lui stesso riferite, sulla scelta dei compagni per l’escursione?
7 Quale significato simbolico potresti attribuire al vecchio che cerca di dissuadere Petrarca dalla salita?
scrivere per...
ARGOMENTARE
8 In questo testo Francesco e Gherardo affrontano diversamente il cammino verso la cima del monte, il primo cercando una strada più piana, il secondo procedendo sicuro sul sentiero segnato. Quale dei due personaggi rispecchia maggiormente il modo in cui affronti i tuoi obiettivi? Motiva la tua risposta in un breve scritto (circa 20 righe), citando frasi dal testo a supporto delle tue riflessioni.
Classe di letteratura - volume 1
Dalle origini al Cinquecento