T13 - L’amarezza dell’esule

T13

L’amarezza dell’esule

Convivio, I, 3, 4-5

Il dolore dell’esilio è evocato in un breve, celebre passo del Convivio, in cui Dante non manca di notare la responsabilità dei suoi concittadini.

Poi che fu piacere delli cittadini della bellissima e famosissima figlia di Roma,1 
Fiorenza, di gittarmi fuori del suo dolce seno – nel quale nato e nutrito fui in fino 
al colmo de la vita mia, e nel quale, con buona pace di quella,2 desidero con tutto 
lo core di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato –, per le 
5      parti quasi tutte alle quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, 
sono andato,3 mostrando contra mia voglia la piaga della fortuna, che suole 
ingiustamente al piagato molte volte essere imputata.4 Veramente io sono stato legno5 
sanza vela e sanza governo,6 portato a diversi porti e foci e liti7 dal vento secco 
che vapora8 la dolorosa povertade; e sono apparito alli occhi a molti che forse 
10    che per alcuna fama in altra forma m’aveano imaginato: nel conspetto de’ quali 
non solamente mia persona invilìo,9 ma di minor pregio si fece ogni opera, sì già 
fatta come quella che fosse a fare.

DENTRO IL TESTO

I contenuti tematici

Dante spera di poter tornare a Firenze richiamato dai cittadini riconciliatisi con lui (con buona pace di quella, r. 3), dopo il bando d’esilio perpetuo emesso il 10 marzo 1302, quando il poeta ha trentasette anni, tutti trascorsi nella sua città (il seno dove nato e nutrito fui in fino al colmo de la vita mia, rr. 2-3: all’incirca il «mezzo del cammin di nostra vita» del primo verso dell’Inferno). Lì afferma di voler tornare per finire i propri giorni. Sappiamo che questo desiderio non si realizzerà mai.

Le scelte stilistiche

Il poeta descrive in termini drammatici, attraverso una serie di immagini assai efficaci, la propria condizione di esule, costretto a mostrare contro voglia la piaga della fortuna (r. 6). A questa prima metafora ne segue una seconda, più articolata, in cui Dante assimila sé stesso a un’imbarcazione priva di vele e di timone, in balia delle intemperie. Il passo si apre con una nota nostalgica nei confronti della città natia e si conclude con la protesta per l’ingiustizia subita.

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VERSO LE COMPETENZE

COMPRENDERE

1 Che cosa intende Dante con l’espressione lo tempo che m’è dato (r. 4)?


2 Qual è il significato della frase la piaga della fortuna […] suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata (rr. 6-7)?


3 Dante afferma che, agli occhi di coloro i quali assistevano alla sua condizione di esiliato, la sua persona invilìo, ma di minor pregio si fece ogni opera (r. 11). Che cosa vuol dire?

INTERPRETARE

4 Che cosa simboleggia il vento secco che vapora la dolorosa povertade (rr. 8-9)?

scrivere per...

ESPORre

5 Svolgi una breve ricerca su altri scrittori e poeti esiliati, dal latino Ovidio agli autori del Novecento, e sintetizzala in un testo espositivo di circa 30 righe.

raccontare

6 Immagina di essere bandito dalla tua città e dalla tua nazione, nonché allontanato dai tuoi cari, in virtù di un provvedimento d’autorità, senza che tu abbia alcuna colpa. Scrivi dunque una lettera (di circa 20 righe) indirizzata a una persona amica in cui esprimi i tuoi sentimenti in relazione a questa situazione che stai inaspettatamente vivendo.

intrecci STORIA

Dante a processo

La devastazione della casa e il processo

Mentre Dante è a Roma, impegnato nell’ambasceria presso papa Bonifacio VIII, a Firenze rientrano trionfanti Corso Donati e gli altri guelfi neri precedentemente banditi. Per alcuni giorni, in città e nel contado, i neri, in preda alla sete di vendetta, compiono ogni sorta di violenze. La casa di Dante viene devastata.

Presto, però, la vendetta di parte assume l’ipocrisia delle forme legali: una legge speciale conferisce al podestà l’incarico di riaprire un’inchiesta sull’operato dei priori degli anni 1300 e 1301, sebbene essi fossero già stati assolti in un’inchiesta precedente. Dante non rientra a Firenze: la notizia del trionfo dei neri lo trattiene dal mettere piede nel territorio fiorentino. Il 17 gennaio 1302 viene citato a comparire davanti al podestà per difendersi dalle accuse: la principale è quella di baratteria (ossia di frode), allora comunemente usata contro gli avversari politici.

Condannato in contumacia

Il 27 dello stesso mese, ritenuto reo confesso per la sua contumacia (cioè per il fatto stesso di non essersi presentato), viene condannato a una multa di cinquemila fiorini da pagare entro tre giorni, a due anni di confino e all’esclusione perpetua da qualunque ufficio. La sentenza non è supportata da alcuna prova ma solo su notizie giunte alle orecchie del podestà. Non essendosi presentato nean­che questa volta, un’altra sentenza lo condanna all’esilio perpetuo, con minaccia di morte se sarà trovato nel territorio del Comune.

Anni dopo, il poeta sarà escluso dall’amnistia del 1311. Tuttavia, quando l’imperatore Arrigo VII di Lussemburgo attacca Firenze, egli non prende le armi contro la patria. Ma la morte di Arrigo (1313) tronca ogni speranza: se non subito dopo, certo assai presto Dante è a Verona, ospite di Cangrande.

La lettera “all’amico fiorentino”

Nel 1315 scrive una lettera, nota come diretta “all’amico fiorentino” (il destinatario è anonimo): amici e parenti esortano il poeta a tornare a Firenze, come gli sarebbe possibile fare, approfittando di un nuovo provvedimento di clemenza, purché si sottoponga a certe formalità da lui ritenute umilianti. Dante però rifiuta, riaffermando nella missiva la propria innocenza e dignità morale.

Nel 1315 Firenze tramuta in confino le condanne capitali dei meno pericolosi tra gli esiliati, ma anche questa volta Dante non accetta: così il 6 novembre di quell’anno viene nuovamente condannato a morte, ora insieme ai figli. Condanne, per fortuna, mai eseguite.

Classe di letteratura - volume 1
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Dalle origini al Cinquecento