La Divina Commedia

618 Canto VIII (vv. 46-84) Carlo Martello 46-57 E quanto più grande e più splendente la vidi diventare, per la nuova gioia che si aggiunse, quando parlai, alle sue letizie! Così diventata, mi disse: «Il mondo mi ebbe per poco tempo in vita; e se fossi rimasto in vita per più tempo, si sarebbe evitato molto male che invece accadrà. La mia letizia, che sfavilla intorno a me, mi tiene nascosto a te e mi avvolge come il baco fasciato dal suo bozzolo. Mi amasti profondamente, e ne avesti ben ragione; se fossi rimasto sulla Terra, ti avrei mostrato qualcosa di più delle foglie del mio amore. 58-66 La Provenza, che si estende sulla riva sinistra del Rodano dopo che vi è affluito il Sorga, mi attendeva come suo re a tempo debito, insieme a quella parte dell Italia (corno d Ausonia) che ha come città (s imborga) Bari, Gaeta e Catona, da dove il Tronto e il Verde sfociano nel mare. Già mi splendeva sul capo la corona di quella terra (l Ungheria) che il Danubio bagna dopo aver lasciato le rive della Germania (tedesche). 67-75 E la bella Sicilia (Trinacria), che si vela di caligine (caliga) tra Pachino e capo Peloro, sopra il golfo che è molto battuto dallo scirocco (Euro), non a causa del gigante Tifeo ma per le emanazioni di zolfo del vulcano, avrebbe atteso ancora i suoi re discendenti, per mio tramite, di Carlo (I d Angiò, re di Sicilia) e di Rodolfo (I d Asburgo), se il malgoverno, che sempre affligge i popoli soggetti, non avesse spinto Palermo a gridare: Muoia, muoia! (durante la rivolta dei Vespri siciliani, nel 1282). 76-84 E se mio fratello (Roberto d Angiò, re di Napoli) prevedesse tutto ciò, fuggirebbe da subito l avida povertà dei Catalani, perché non gli potessero nuocere; poiché davvero bisogna che si provveda, da parte sua o di qualcun altro, affinché il regno già gravato non sia oppresso da nuovi pesi (più d incarco non si pogna). La sua natura, che discende avara (parca) da una stirpe generosa (larga), avrebbe bisogno (mestier) di aiutanti tali (tal milizia) che non pensassero solo ad accumulare denaro . (vv. 85-148) L ordine provvidenziale del mondo 85-93 «Poiché, o mio signore, io credo che la profonda gioia che mi infonde il tuo discorso tu la vedi in Dio, là dove inizia e termina ogni bene, come la vedo io, essa mi è ancora più gradita; e mi è molto caro che tu la veda contemplando Dio. Mi hai reso felice, e così chiariscimi, poiché parlando mi hai fatto nascere un dubbio su come possa nascere un frutto amaro da un seme dolce . 94-105 Questo dissi a lui; ed egli a me: «Se posso dimostrarti una verità, avrai di fronte agli occhi la risposta a quel che chiedi, così come ora le volti le spalle. E quanta e quale vid io lei far piùe per allegrezza nova che s accrebbe, 48 quando parlai, a l allegrezze sue! Così fatta, mi disse: «Il mondo m ebbe giù poco tempo; e se più fosse stato, 51 molto sarà di mal, che non sarebbe. La mia letizia mi ti tien celato che mi raggia dintorno e mi nasconde 54 quasi animal di sua seta fasciato. Assai m amasti, e avesti ben onde; che s io fossi giù stato, io ti mostrava 57 di mio amor più oltre che le fronde. Quella sinistra riva che si lava di Rodano poi ch è misto con Sorga, 60 per suo segnore a tempo m aspettava, e quel corno d Ausonia che s imborga di Bari e di Gaeta e di Catona, 63 da ove Tronto e Verde in mare sgorga. Fulgeami già in fronte la corona di quella terra che l Danubio riga 66 poi che le ripe tedesche abbandona. E la bella Trinacria, che caliga tra Pachino e Peloro, sopra l golfo 69 che riceve da Euro maggior briga, non per Tifeo ma per nascente solfo, attesi avrebbe li suoi regi ancora, 72 nati per me di Carlo e di Ridolfo, se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse 75 mosso Palermo a gridar: Mora, mora! . E se mio frate questo antivedesse, l avara povertà di Catalogna 78 già fuggeria, perché non li offendesse; ché veramente proveder bisogna per lui, o per altrui, sì ch a sua barca 81 carcata più d incarco non si pogna. La sua natura, che di larga parca discese, avria mestier di tal milizia 84 che non curasse di mettere in arca . «Però ch i credo che l alta letizia che l tuo parlar m infonde, segnor mio, 87 là ve ogne ben si termina e s inizia, per te si veggia come la vegg io, grata m è più; e anco quest ho caro 90 perché l discerni rimirando in Dio. Fatto m hai lieto, e così mi fa chiaro, poi che, parlando, a dubitar m hai mosso 93 com esser può, di dolce seme, amaro . Questo io a lui; ed elli a me: «S io posso mostrarti un vero, a quel che tu dimandi 96 terrai lo viso come tien lo dosso.

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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato