Dante maestro di retorica – L’invettiva politica di Dante

Dante maestro di retorica L invettiva politica di Dante auctor L invettiva è un discorso in cui l autore, o un personaggio dell opera, si scaglia in maniera accanita e violenta contro una persona o un vizio o una città o un popolo ecc. L invettiva di Dante assume nel canto VI la forma di un sirventese, componimento di origine provenzale, molto in voga all epoca, diviso in strofe e che tratta spesso argomenti di tipo morale o politico. Di Sordello da Goito, che partì per la Provenza probabilmente verso il 1228-1229, ci sono rimasti numerosi sirventesi in lingua provenzale dai toni sdegnosi e forti. E grazie al riferimento a Sordello il canto appare costruito in maniera unitaria e coesa. Nonostante l apparente spaccatura tra la prima parte, fortemente narrativa e teatrale, e la seconda (che comporta addirittura una stasi nel racconto del viaggio), la scelta del maggiore autore in provenzale di origini italiane è infatti propedeutica all invettiva in forma di sirventese che chiude il canto. La struttura dell invettiva di Dante in forma di canzone politica (o sirventese) è quadripartita: si compone di quattro invettive rivolte rispettivamente contro l Italia (vv. 76-90), contro il clero (vv. 91-96), contro l Imperatore (vv. 97-126) e contro Firenze (vv. 126-151). Invettiva contro l Italia Nella prima stanza Dante si scaglia in toni polemici contro il suo paese apostrofato come serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello! (vv. 76-78). L Italia non si presenta come una donna raffinata, ma addirittura come luogo di prostituzione, ricettacolo di sofferenza e di dolore. Non c è città medioevale d Italia (icasticamente rappresentata dalle mura e del fossato) che non sia lacerata dalle guerre. La nostra Terra è poi rappresentata con un cavallo dalla sella vuota, senza cavaliere. Non c è più autorità che sia riferimento comune all intera popolazione. E pensare, osserva Dante, che proprio l Italia fu la sede dell Impero che aveva ottenuto un unità territoriale, politica e giuridica. Il poeta fiorentino fa riferimento anche all opera legislativa di Giustiniano che riunì in un Corpus iuris civilis tutte le leggi emanate nello Stato romano in mille anni di storia, facendo eliminare quelle superflue e ripetitive. Dante sta anticipando qui il tema centrale del canto VI del Paradiso dove incontrerà proprio l Imperatore Giustiniano. Invettiva contro il clero La seconda e la terza stanza, rivolte rispettivamente al clero e all imperatore, sono meglio comprensibili se inquadrate all interno della teoria dei due soli propugnata da Dante nel De monarchia, trattato scritto probabilmente più tardi rispetto al canto VI del Purgatorio e che rilancia le due istituzioni tipicamente medioevali, Impero e Chiesa, ormai pienamente in crisi nei primi decenni del Trecento. Ebbene, nel canto VI le parole rivolte contro il clero sono ridotte a due sole terzine. Dante non vuole certo attaccare la Chiesa in quanto tale, né tanto meno vuole porsi al di fuori di essa come tanti movimenti ereticali pauperistici del XII e del XIII secolo. Come vedremo nella processione e nella profezia descritti alla fine del Purgatorio, come constateremo in tutta la Cantica del Paradiso, il poeta è ben cosciente del compito affidato alla Chiesa e agli ecclesiastici da Cristo stesso. Proprio per questo in tutta la Commedia marcato è il fil rouge di denuncia nei confronti di quegli ecclesiastici che mostrano attaccamento al potere temporale e alle ricchezze. Il clero ha voluto sostituirsi all imperatore sulla sella del cavallo cosicché ora esta fiera (l Italia) è fatta fella (selvaggia)/per non esser corretta da li sproni (vv. 94-95). Invettiva contro l imperatore La terza stanza è un invettiva ampia contro l imperatore Alberto d Austria, figlio di Rodolfo d Asburgo, chiamato «tedesco per il territorio che ha scelto come sua sede privilegiata e accusato, insieme al padre, di aver lasciato deserto il giardino dell Impero, ovvero l Italia. Dante auspica che cada un segno dal Cielo novo e aperto sopra il sangue dell Imperatore cosicché il suo successor temenza n aggia (v. 102). Con tono ironico il poeta chiede all imperatore di venire in Italia a vedere quanto si amino Montecchi e Cappelletti,/ Monaldi e Filippeschi (vv. 106-107). Le città della penisola sono disseminate di lotte, dominate da tiranni che non governano per il bene comune o comandate da persone che non hanno le virtù adatte (le città d Italia tutte piene/ son di tiranni, e un Marcel diventa / ogne villan che parteggiando viene vv. 124126). Forse il Padre eterno, si chiede Dante, non ha a cuore il nostro Paese o ha un progetto a noi totalmente oscuro? Invettiva contro Firenze Infine, l ironia abbraccia i versi dedicati a Firenze, che deve giudicarsi contenta perché la digressione politica fin qui lanciata non la riguarda, giacché il popolo fiorentino conosce l arte di arrangiarsi, emette facilmente sentenze accreditandole del sigillo certo dell autenticità e della giustizia, si sobbarca incarichi politici anche quando non ne ha competenze. L ironia prosegue: tu ricca, tu con pace e tu con senno (v. 137). Se Firenze può dirsi ricca, pace e saggezza non caratterizzano certo l epoca di Dante. Purgatorio Sordello 363

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato