Dante maestro di retorica – Le sententiae nel canto: vere

338 Canto III Dante maestro di retorica Le sententiae nel canto: vere perle di saggezza Nell elocutio il retore persegue la bellezza della scrittura oltre che tramite l eleganza lessicale (elegantia), il ritmo e la fluidità del discorso adeguato (cursus) anche attraverso l uso delle figure retoriche (ornatus). Il canto terzo si rivela un canto sommo, bellissimo per intensità, per saggezza, grazie alla presenza abbondante della sententia, figura retorica che consiste nell uso di frasi proverbiali, massime, aforismi caratterizzati dalla brevità espressiva che permette di «dire molto con poco (L. Beccaria). Prima perla. Quanto più la coscienza è pulita, tanto più si sente responsabile All inizio del canto III il rimprovero di Catone provoca in Virgilio un profondo rimorso. la prima volta che il maestro sbaglia in questo viaggio nell aldilà, proprio lui che dovrebbe essere guida al bene e al bello. Eppure, anche i maestri sbagliano. L errore che ha commesso, potremmo replicare noi, è del tutto insignificante. Che cosa sono alcuni istanti di refrigerio per rifocillarsi e riprendersi dalla stanchezza del viaggio all Inferno? l alba e il canto potrebbe essere un buon conforto all inizio della salita. Tuttavia, commenta Dante auctor: «o dignitosa cosc enza e netta,/ come t è picciol fallo amaro morso! (vv. 8-9). Quanto più la coscienza di una persona è pulita, tanto più sente il rimorso per quanto accade e si sente responsabile. Seconda perla. La fretta toglie bellezza alle azioni Poco più tardi l andatura di Virgilio rallenta e Dante utilizza un espressione proverbiale bellissima: «la fretta,/ [ ] l onestade ad ogn atto dismaga (vv. 10-11). La fretta nel compiere un azione le toglie la bellezza. Anche quando si svolge un piccolo compito o si ricopre un ruolo magari insignificante, si deve profondere il massimo impegno. Terza perla. Assolutizzare il particolare ci distrae dalla vera meta Il poeta, poi, scrive: «la mente mia, che prima era ristretta,/ lo ntento rallargò, sì come vaga (vv. 12-13). Quando Dante non è più concentrato sulla fuga (cioè su un dettaglio dell esistenza che per qualche tempo è diventato assoluto), può finalmente spalancare di nuovo il suo animo al suo desiderio più vero ed autentico: salire sulla montagna del Purgatorio, purificarsi, incontrare Beatrice e salire, infine, fino al Paradiso. Quanto tempo perde l uomo, ci vuole comunicare Dante, su dettagli o aspetti della vita che lo distraggono (invece che avvicinarlo) dalla meta e dal compimento vero. Quarta perla. La filosofia come tentativo di conoscere la verità Pochi versi dopo s incontra il passo che ricorda la pochezza della ragione umana di fronte a Dio onnipotente e, nel contempo, dichiara indirettamente che la grandezza nostra sta proprio nel riconoscimento di questa sproporzione (vv. 34-36): Matto è chi spera che nostra ragione possa trascorrer la infinita via che tiene una sustanza in tre persone. Insomma, se è umano e giusto domandare, conoscere, capire, è anche ragionevole riconoscere che il mistero divino non può essere colto totalmente a meno che non si riveli. Infatti, continua Dante, «se potuto aveste veder tutto,/ mestier non era parturir Maria . Subito dopo, Dante sintetizza in pochi versi la sua visione della storia della filosofia e del pensiero nella sua instancabile ricerca della verità (vv. 40-45): e dis ar vedeste sanza frutto tai, che sarebbe lor disio quetato, ch etternalmente è dato lor per lutto: io dico d Aristotile e di Plato e di molt altri ; e qui chinò la fronte, e più non disse, e rimase turbato. Tanti grandi geni, tra cui Dante colloca anche Platone, Aristotele e lo stesso Virgilio, hanno cercato di comprendere la verità nella sua interezza senza riuscirvi, tanto che questo loro desiderio insaziato è divenuto la loro pena nell aldilà. La storia della filosofia è descritta da Dante come il tentativo dell uomo di conoscere la verità e il mistero. Come sappiamo, Dante colloca tanti grandi filosofi e poeti nel Limbo, ovvero nel primo cerchio dell Inferno. Doveroso è proprio ricordare che la Chiesa non riconosce l esistenza del Limbo, è frutto dell immaginazione e della credenza dell uomo medioevale, convinto che quanti siano vissuti prima di Cristo o morti prima di ricevere il battesimo siano collocati in un luogo di sospensione, senza subire pene particolari. Quinta perla. «Perder tempo a chi più sa più spiace Pochi versi dopo, quando Virgilio chiede la strada per salire sulla montagna alle anime purganti, il maestro giustifica la sua richiesta con le parole: «Perder tempo a chi più sa più spiace (v. 78), cioè quanto più si è consapevoli del compito e della vita, tanto meno si vuole sprecare tempo. Il valore del tempo è qui detto in senso assoluto e non in termini pratici: è il mistico viaggio che fa acquistare quella sapienza che non permette deviazioni dal retto cammino.

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato