Personaggi principali: Ulisse, Eteocle e Polinice, Diomede

230 Canto XXVI Personaggi Ulisse Odìsseo (Odysséus per i Greci, Ulixes in latino), re di Itaca, figlio di Laerte e di Anticlea, sposo di Penelope, è il protagonista dell Odissea di Omero. L eroe partecipò alla guerra di Troia, conclusasi, dopo dieci anni di assedio, grazie allo stratagemma del cavallo di legno da lui ideato. Lasciato sulla spiaggia dai Greci come dono alla dea Pallade-Atena, il cavallo fu portato dai Troiani dentro le mura della città. In esso era rinchiuso il fior fiore degli eroi greci che, nottetempo, aperte le porte ai compagni, dettero inizio all eccidio e alla distruzione della città (Virgilio, Eneide II, 13 sgg.). Durante il decennale viaggio di ritorno a Itaca, Odisseo fu reso più esperto dalle vicende vissute (lo stato primitivo di Polifemo, la magia di Circe, i pericoli delle Sirene e la sofferenza dei terribili naufragi, l esilio nell isola di Calipso, il mondo raffinato e ospitale dei Feaci). Giunto in patria, lottò insieme al figlio Telemaco contro i Proci, i pretendenti alla mano di Penelope, per riconquistare il trono. Eteocle e Polinice Eteocle e Polinice sono due fratelli nati dall amore incestuoso di Edìpo con la madre Giocasta, regina di Tebe, che il giovane aveva sposato, ignorandone l'identità. Conosciuta la verità Edìpo si accecò e si allontanò da Tebe, lasciando il trono ai due figli, Eteocle e Polinice. Per evitare lotte di successione Edìpo stabilì che avrebbero regnato a turno un anno ciascuno. Dopo il primo anno Eteocle non volle lasciare il regno al fratello che, con l aiuto di altri re della Grecia, pose l assedio a Tebe. Scontratisi in duello, i due fratelli si uccisero e i loro corpi furono bruciati sullo stesso rogo, dove la fiamma si divise in due, a testimoniare il permanere dell odio anche dopo la morte. La storia è narrata dal poeta tragico Sofocle (V sec. a.C.) e nella Tebaide (XII, 429436) di Stazio (I sec. d.C.). Diomede e Deidamia Diomede, figlio di Tideo, eroico combattente della guerra di Troia condusse a termine con Ulisse i suoi piani astuti. Oltre quello del cavallo, altri stratagemmi, che Dante ricorda, riguar- dano il ritrovamento di Achille a Sciro e il furto del Palladio. Quanto al primo (v. 62), era stata Tetide, la dea madre di Achille, la quale, sapendo che il figlio, pur invulnerabile in tutto il corpo tranne che nel tallone, sarebbe morto a Troia, per sottrarlo al suo destino, lo aveva nascosto nell isola di Sciro, vestito da donna, tra le figlie del re Licomede. Poiché senza Achille Troia non sarebbe caduta, Ulisse e Diomede lo smascherarono con uno stratagemma. Ma una delle figlie di Licomede, Deidamia, che si era innamorata di lui, soffrì a lungo per la sua partenza. Circa il furto del Palladio (v. 63), la statua di Pallade custodita nella rocca di Troia a protezione della città, esso fu attribuito a Diomede e narrato da Virgilio nell Eneide (II, 162 sgg.). Circe Odisseo e i compagni approdarono all isola di Eèa dove Circe, figlia del Sole, esercitò le sue arti magiche trasformando gli uomini in porci. L eroe si sottrasse grazie all aiuto del dio Hermes e ottenne che la maga restituisse ai compagni le sembianze umane. Circe lo trattenne per un anno presso di sé e gli impose, prima di lasciarlo ripartire per Itaca, di scendere nell Oltretomba. Ercole Nell antichità lo stretto di Gibilterra veniva chiamato Colonne d Ercole. Secondo la mitologia Ercole, durante una delle sue dodici fatiche, attraversò quel braccio di mare tra la Spagna e il Marocco limitato da due promontori (Calpe e Abila) e vi pose due colonne. Si favoleggiava che nei tempi più antichi proprio lì ci fossero due colonne con su scolpita la scritta Nec plus ultra (E non più oltre). Nei geografi antichi, però, non c è traccia che ciò costituisse un limite per l uomo; anzi si sa che le navi greche e romane attraversavano frequentemente lo stretto di Gibilterra, che allora effettivamente veniva chiamato Colonne d Ercole. La nuova denominazione, infatti, fu assunta durante l invasione araba (VIII sec.), quando pare fosse attraversato dal capo arabo Gegel er Tariq, il primo che passò dall Africa alla Spagna, iniziando la conquista dell Europa occidentale. Anche nel Medioevo del resto, le Colonne d Ercole venivano spesso oltrepassate. Parole in chiaro Virtute (v. 120) In Omero (VIII sec. a.C.), la virtù era soprattutto la forza d animo con cui l uomo domina la sorte avversa, non disgiunta da una certa vigorìa fisica. Furono i filosofi greci dell età classica a interrogarsi sul concetto di virtù (areté), a chiedersi che cosa si debba intendere per essa, quale sia la virtù principale e infine se si possa insegnare la virtù. Per Socrate (469-399 a.C.) e per il suo discepolo Platone (427-347 a.C.) la virtù consiste essenzialmente nel dominio della ragione sulle parti irrazionali dell animo umano. Virtù suprema è la conoscenza, nonché la saggezza; ogni azione malvagia è frutto di ignoranza e quindi involontaria. Anche per Aristotele (384-322 a.C.) le virtù sono abiti, cioè disposizioni razionali a bene operare che si acquisiscono attraverso l insegnamento e la ripetizione. Per i Romani la parola virtus sintetizzava una concezione della vita combattiva e, comunque, fiduciosa nelle forze dell uomo. Con l avvento del cristianesimo il termine assunse un connotato pessimistico, e venne a indicare la capacità di rassegnazione alle difficoltà del vivere, di accettazione della volontà divina.

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato