Analisi e interpretazione

216 Canto XXIV Analisi e interpretazione La fatica del viaggio Il poeta colloca questo canto il centrale dei tredici dedicati a Malebolge come riepilogo del faticoso percorso materiale e morale del primo regno. La parte introduttiva occupa più di un terzo del canto (vv. 1-60) e questa scelta dantesca ne segnala l importanza e il significato. La connotazione temporale dell incipit introduce la scena campestre con la similitudine riferita ai mutamenti dello stato d animo di Dante-personaggio: al quadro primaverile, in cui la brina mattutina si scioglie rapidamente al primo sole, corrisponde una rinnovata fiducia del pellegrino. Segue la forte esortazione di Virgilio al coraggio morale (Omai convien che tu così ti spoltre, v. 46), che si intreccia al motivo della fama terrena, dovuta a Dante nel suo ruolo di poeta ispirato da Dio (seggendo in piuma, / in fama non si vien, né sotto coltre, vv. 47-48), e prefigurazione della speranza dell altezza (Più lunga scala convien che si saglia, v. 55) cioè della gloria eterna da conquistare con fatica. Il passo diventa allegoria dell esperienza biografica di Dante-autore (exul immeritus cacciato dalla colpevole città di Firenze), delle sofferenze dell esilio sostenute per portare a compimento l alta missione (vinci l ambascia / con l animo che vince ogne battaglia, vv. 52-53), intrapresa proprio con la Commedia che veniva componendo. La lezione etica del maestro ha effetto immediato su Dante, che vince la tentazione a rinunciare alla difficile impresa perché ha compreso il vero significato di quelle parole (Se tu mi ntendi, or fa sì che ti vaglia, v. 57): il premio è la gloria eterna dovuta a lui come a ogni anima che conquista la libertà morale dal peccato. Le scelte metrico-retoriche e il tema della metamorfosi L avvio del canto è singolarmente contraddistinto dalla concentrazione di rime rare in -empra (tempra: tempra, vv. 2: 4), in -anca (bianca: manca: anca, vv. 5: 7: 9), in -astro (vincastro: mastro: mpiastro, vv. 14: 16: 18) e dalla successione di quattro gruppi di rime in assonanza fra loro (anno: vanno, vv. 1: 3; bianca: manca: anca, vv. 5: 7: 9; campagna: lagna: ringavagna, vv. 8: 10: 12; faccia: faccia: caccia, vv. 11: 13: 15). La scelta metrica è impreziosita fino al v. 39 dalle rime equivoche tra due parole identiche nel suono ma diverse nel significato e da varie figure retoriche (perifrasi, metafore e similitudini). L incipit astronomico con la metafora primavera-rinascita comunica un messaggio di rilievo morale: l inverno è regno del male, la primavera di rinascita spirituale. Il verbo tempra al v. 2 significa «mitiga (che l sole i crin sotto l Aquario tempra) mentre al v. 6 è usato nel senso di «tempra della penna (ma poco dura a la sua penna tempra). La brina che tenta di ricopiare sui campi l aspetto della neve, definita sorella bianca, è metafora dello scrivere come segnalato anche dalla rima quando la brina in su la terra assempra (v. 4) e ma poco dura alla sua penna tempra (v. 6). La voce verbale faccia al v. 11 (come l tapin che non sa che si faccia), nella similitudine con il povero che non sa come «fare per trovare di che nutrirsi, rima con il sostantivo faccia del v. 13 (veggendo l mondo aver cangiata faccia) con riferimento al mutato aspetto del terreno (la brina si è sciolta e la campagna appare verdeggiante e non più bianca). Il termine piglio, come atteggiamento ed espressione dolce del volto di Virgilio (lo duca a me si volse con quel piglio / dolce ch io vidi prima a piè del monte, vv. 20-21) ritorna in senso avverbiale al v. 24 (e diedemi di piglio, mi afferrò risolutamente). La bocca del pozzo di Malebolge è indicata con il sostantivo porta (v. 37) in rima con il verbo nella formula latineggiante porta/che («comporta che , v. 39). I fenomeni metrici delle rime equivoche, in cui il significante è uguale ma il significato della realtà è diverso, uniti alla trasformazione della similitudine iniziale (i cambiamenti della natura, del villanello dallo sgomento alla speranza, di Virgilio da turbato a rasserenato) sono coerenti con le trasformazioni della bolgia dei ladri, dove le forme umane e le forme animali si mescolano e il cui elemento centrale è la metamorfosi dei dannati in cenere. Il ritratto potente di Vanni Fucci I peccatori compaiono a partire dal v. 65 (onde una voce uscì de l altro fosso) e la bolgia si manifesta al v. 81 (e poi mi fu la bolgia manifesta): i ladri appaiono agli occhi di Dante mescolati in una ressa spaventosa con una miriade di serpenti e tra essi si accampa la figura arrogante del criminale pistoiese Vanni Fucci che, nonostante la terribile pena, si compiace della vita bestial da lui condotta (Vita bestial apre il v. 124; bestia e tana aprono e chiudono il v. 126). Il critico Francesco De Sanctis vede in Vanni Fucci la bestialità allo stato puro: nel dannato il male e il peccato sono originati «da consuetudine inveterata, da moto quasi meccanico, poco lontano dal bestiale, sicché non sai se ivi l uomo sia uomo o bestia (F. De Sanctis). Va però osservato che questo peccatore, nel ribadire con cinismo la propria natura inumana, è dolorosamente consapevole della bassezza morale della propria colpa, manifestazione disumana del peccato qual è il furto sacrilego (ladro apre il v. 138). La sua aggressività vuole mascherare dinanzi a Dante (toscano e avversario politico) la verità della propria vergogna, ma il poeta sembra intuire e fa intervenire Virgilio perché chieda ciò che al dannato è più penoso rivelare (Vanni paradossalmente preferisce vantarsi di aver ucciso ma non di aver rubato). E quella trista vergogna (v. 132), che si dipinge sul volto del peccatore, nasce certamente non dal pentimento ma dalla superbia e dal dispetto di esser colto in tale stato cioè di essere scoperto come miserevole ladro. Quel tristo rossore che accende il suo volto è il moto

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato