Dante maestro di retorica – L’orazione di Pier della Vigna

Pier della Vigna 141 Inferno Dante maestro di retorica L orazione di Pier della Vigna Secondo i dettami della retorica di Cicerone, colui che si accinge a comporre un discorso, un orazione, deve rispettare un ordine ripartito (la dispositio) in quattro fasi: 1. l esordio (exordium), che ha la funzione di creare un contatto con l uditorio e si avvale di formule (come la captatio benevolentiae) in grado di creare un aspettativa; 2. la narrazione (narratio), ovvero l esposizione dei fatti; 3. l argomentazione (argomentatio), che prevede la dimostrazione delle prove a sostegno della tesi (confirmatio) e/o la confutazione degli argomenti avversari (refutatio); 4. la perorazione (peroratio) che generalmente tende a suscitare pietà, commozione o indignazione in chiusura. Pier della Vigna, invitato da Virgilio a parlare in modo che Dante, cui è consentito di tornare sulla Terra, possa rinverdire la sua fama e discolparlo dall accusa ignominiosa che grava su di lui, costruisce un discorso con abile perizia retorica. L orazione è infatti organizzata nelle quattro parti fondamentali della dispositio ciceroniana con soli ventiquattro versi (vv. 55 78). Veniamo allora all analisi dell orazione. 1. L esordio (o exordium) ll discorso si apre con la professione dei motivi per cui l anima è indotta a parlare, il dolce dir di Virgilio che è indice di affetto e di compassione. Pier della Vigna si avvale di una captatio benevolentiae (vv. 55-57) per ottenere il favore dell uditore, con la presenza di verbi appartenenti al linguaggio della caccia (Adeschi e inveschi, cioè rispettivamente «attrarre con l esca e «afferrare col vischio ). un lessico che ben si addice sia al personaggio, il segretario dell imperatore Federico II, che scrisse il trattato De arte venandi cum avibus (Sull arte di cacciare con gli uccelli) al luogo, un bosco in cui si assiste, alla fine del canto, alla caccia infernale, quella delle cagne fameliche che inseguono i dissipatori delle proprie sostanze. Alla captatio benevolentiae segue la presentazione dell anima (vv.58-61) che, con una lunga perifrasi, evidenzia i propri uffici alla corte di Federico II, quasi come se la sua identità in vita fosse definita esclusivamente dalle mansioni e dagli incarichi esercitati. 2. e 3. La narrazione e la confutazione delle accuse Il dannato professa, poi, la propria innocenza (vv. 62-63) nei termini di una fedeltà a un offizio (glorioso peraltro), più che a una persona, tanto da perdere li sonni e polsi, immagine assai efficace per esprimere la perdita di quanto di più caro l uomo ha: la serenità, l equilibrio, la vita stessa. Pier della Vigna lancia, poi, la propria accusa (vv. 64-69): la vera colpevole è un abitatrice consueta (vizio) delle corti, definita addirittura meretrice. Come in un giallo l oratore non ne rivela subito l identità, ma solo alla fine del discorso, quando paleserà che la donna in questione è, in realtà, l invidia (E se di voi alcun nel mondo riede,/ conforti la memoria mia, che giace/ ancor del colpo che nvidia le diede vv.76-78). L accusatore vero e proprio è, qui, Dante, che già in altri canti dell Inferno ha evidenziato la gravità di tale male. Per descrivere il processo con cui l invidia agisce e divampa Dante utilizza l immagine della fiamma, ripetendo il verbo «infiammare in un efficacissimo poliptoto (infiammò, infiammati, infiammar). L azione distruttrice, all inizio lenta e quasi invisibile, di una fiammella che, poi, rapidamente devasta tutta una costruzione rende realisticamente la tragica e rapida distruzione che arreca l invidia. Proclamata la propria innocenza, Pier della Vigna riconosce che unica sua colpa (vv. 70-72) fu il suicidio, compiuto per l incapacità di sostenere l infamia del carcere. Lui, che fu sempre giusto e fedele a Federico II, diventa ingiusto contro se stesso. Ricca è, qui, la presenza di termini appartenenti all area semantica della giustizia, come se fossimo in tribunale. L azione di Pier della Vigna è riprovevole, è peccato, perché divide un unità sancita dalla volontà divina, quella tra anima e corpo. 4. La perorazione finale Nell ultima parte, quella della perorazione vera e propria, l imputato giura sulle nuove radici (vv. 75), non sulla propria mano, dal momento che il dannato ha perduto per sempre le fattezze umane. Egli chiede a Dante di portare sulla Terra la fama della sua innocenza e di rinverdire la memoria del buon operato, dell onestà e della fedeltà di colui che fu segretario del grande imperatore (vv. 76-78). Ma ecco il colpo di scena finale: mentre presenta tale richiesta, il segretario rivela il nome della meretrice, identificandola nell invidia (v. 78). Risiede in questa preghiera finale la ragione della perorazione svolta con tale ordine, sintesi e perizia espressiva.

La Divina Commedia
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Edizione integrale aggiornata al nuovo Esame di Stato