1.1 La nascita biologica e la nascita sociale
Nella sua prima definizione antropologica, come abbiamo visto | ▶ unità 1, p. 18 |, la cultura è «acquisita dall’uomo in quanto membro di una società» attraverso dispositivi di inculturazione: in ogni società, infatti, i contenuti culturali specifici (le conoscenze, le credenze, l’arte, i costumi e così via) si acquisiscono grazie a una complessa rete di interazioni sociali fra gli individui. Ciò è confermato anche dalle neuroscienze, secondo cui lo sviluppo delle connessioni neurali fra le cellule del cervello avviene in gran parte dopo la nascita, proprio in funzione delle interazioni con gli altri: l’essere umano è un animale sociale.
Per il filosofo e sociologo Max Weber (1864-1920), l’uomo si trova sospeso in una ragnatela di significati che egli stesso ha intessuto, e può vivere solo grazie a questa sottile e preziosissima tela fatta di fili che lo collegano costantemente agli altri e a ogni elemento dell’ambiente circostante. Come ci ricorda Clifford Geertz, il pensiero umano è essenzialmente un fatto sociale, per cui «il pensare non consiste in avvenimenti nella testa, sebbene l’attività cerebrale sia indispensabile perché il pensare abbia luogo, il suo habitat naturale è il cortile di casa, il mercato e la piazza principale della città», laddove si stabilisce «un traffico di simboli significativi».
Inoltre, ricordiamo che numerose ricerche antropologiche e archeologiche sulla filogenesi umana dimostrano che i processi di socializzazione, di acquisizione culturale, sono indispensabili a causa dell’incompletezza di base degli esseri umani: la cultura, durante i milioni di anni dell’evoluzione umana, costruisce e completa l’essere umano | ▶ unità 1, p. 21 |.
Dal punto di vista antropologico, il nascere è dunque un processo complesso in cui si possono distinguere due aspetti fondamentali e simultanei:
- un processo biologico (naturale), che produce organismi biologici;
- un processo sociale (culturale), che produce esseri “umani”.
L’essere umano è con tutta evidenza un organismo biologico, ma in virtù dei processi di apprendimento che iniziano sin dai primi istanti di vita, è soprattutto una costruzione sociale; è un prodotto storico frutto del completamento con forme locali di cultura. Si impara a far coincidere l’umanità con certi cibi, con certe posture e con certe etichette di comportamento; con certe forme igieniche; con specifiche maniere di curare il proprio corpo e di abbigliarsi; con certe idee morali e religiose; con determinati modi di pensare e di sentire.
Esempio: in India, quando un ragazzo raggiunge l’“età della ragione” viene introdotto nella comunità degli adulti con il rito dell’upanayana. Il termine, di difficile traduzione, contiene l’idea di “guidare”, “condurre qualcuno verso qualcosa”, di introdurlo in un mondo nuovo. Chi per qualche ragione non sia stato sottoposto a questo processo di socializzazione viene di fatto escluso dalla comunità alla quale appartiene la sua famiglia, e non può sposarsi né prendere parte a celebrazioni religiose. L’aspetto essenziale è che l’upanayana rappresenta un’autentica nascita. I ▶ testi vedici affermano che il celebrante diventa “incinto” del giovane su cui compie il rito, e nel momento culminante lo “mette al mondo”. Inoltre, la fascia di tessuto bianco senza cuciture che indossa il giovane durante la cerimonia, una volta spogliato, rappresenta la placenta: indica il preciso momento in cui simbolicamente il ragazzo viene posto all’interno del ventre del suo istruttore. Come sostiene lo storico delle religioni francese Jeanne Varenne (1926-1997), prima di ricevere il sacramento, nell’upanayana, il ragazzo non aveva alcun ruolo all’interno della sua famiglia: viveva con le donne, nessuno lo conosceva per nome e, come dicono i testi, «si trastullava spensierato, senza nessun dovere». Attraverso l’upanayana viene adottato dai maschi adulti, che gli insegneranno le regole di comportamento per stare nel mondo. Letteralmente egli nasce una seconda volta; alla nascita biologica si salda la nascita sociale e solo allora riceve il nome di dvi-ja: “due volte nato”.
Tutte le società hanno sempre dedicato una grande attenzione culturale alla nascita, che è sottoposta in ogni cultura a un’intensa opera di plasmazione simbolica: è interpretata, celebrata, narrata e ritualizzata. Il nascere è il rito di passaggio più importante e delicato, anche più del morire, perché a questo momento particolare è connessa la continuità della famiglia. La procreazione è infatti un nodo essenziale della sopravvivenza e dello sviluppo della comunità.