Scarpette rosse

VERSO L’ESAME

SECONDA PROVA SCRITTA – TEMA DI SCIENZE UMANE

Scarpette rosse

PRIMA PARTE 


La violenza di genere e, a volte, nella sua forma più grave, il femminicidio si propongono quotidianamente alla nostra attenzione e sembrano una realtà difficile da sconfiggere. La scrittrice Patrizia Emilitri presenta, in forma romanzata, il tragico epilogo di una relazione caratterizzata da uno smisurato senso di possesso e da una forte ossessione del partner nei confronti della sua fidanzata. Nel secondo documento, invece, i due autori spiegano come gli atti aggressivi nei confronti delle donne non abbiano confini né di età, né di cultura, né di condizione economica; il fenomeno è purtroppo trasversale, anche se all’orizzonte si affacciano nuove possibili soluzioni, tra cui la creazione di specifici percorsi terapeutici per i soggetti coinvolti in queste gravi situazioni.

Il candidato, avvalendosi anche della lettura e analisi dei documenti riportati, illustri, nella sua complessità, il fenomeno della violenza di genere e, in particolare, si soffermi sui possibili interventi sociali, culturali ed educativi che possono essere progettati per sostenere i figli di una vittima di femminicidio.

documento 1

«No, ascolta. Non parlare. Ti ho chiamato perché la situazione è diventata assurda. Mi stai spaventando, mi stai aggredendo solo perché sono stata sincera con te, e voglio esserlo ancora. Filippo io non sono la persona che pensi e non voglio continuare perché non ti sposerò mai. Non sei l’uomo giusto per me e io non sono la donna giusta per te. Non è la fine del mondo, non è la fine di niente, solo di una cotta che è finita e quando tu…» Lui m’interruppe.

«No. Non è la fine del mondo, ma è la mia fine. Io non posso vivere senza di te, lo capisci? Incontriamoci. Sono davanti al tuo portone, parliamo, ti prego.»

«No, non verrò né stasera né mai più Filippo. È meglio per tutti e due.»

«Beatrice, Beatrice…» gridò. Credeva avessi interrotto la comunicazione.

«Sono qui» sussurrai, ma avrei dovuto riappendere. Non avevo nulla da aggiungere.

«Beatrice, ti prego, scendi, solo un minuto, un momento. Voglio vederti, abbracciarti, poi, se vorrai, me ne andrò. Ti prego, Beatrice.» […]

Decisi di scendere. […] Scesi le scale, aprii il portone di ferro, che cigolò, e me lo trovai di fronte. Era sporco e stanco, la barba sfatta, la giacca macchiata, i capelli unti, come se avesse vissuto in auto per tutto quel tempo. Forse era successo proprio così. Teneva le mani in tasca. Mi strinsi la vestaglia addosso e mi appoggiai allo stipite del portone. Non parlai, nemmeno lui. Non mi avvicinai. Abbassai lo sguardo in attesa che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa. Era tardi, in strada non c’era nessuno e faceva freddo. Volevo che si sbrigasse per tornare in camera mia, tornare a letto e dormire tranquilla come non facevo da quella sera, dopo la scenata fuori dal bar. Si avvicinò lui con calma. Luccicò qualcosa. Non mi resi conto di nulla. Non sentii niente. Né il coltello che affondava nelle mie carni, né il suo bacio mentre mi deponeva agonizzante sul marciapiede. Pensai che nessuno mi avrebbe salvata. Nessuno poteva perché nessuno sapeva. […] Sorrisi pensando che dal cellulare sarebbero risaliti a lui. Nei suoi messaggi c’era sicuramente qualcosa che lo avrebbe incollato alla mia morte. Non avevo cancellato. L’ultimo messaggio che avevo letto prima di spegnere il telefono diceva: “Se mi lasci ti uccido”.


Patrizia Emilitri, Donne, Edizioni Il Vento Antico, Varese 2018, pp. 29-31

 >> pagina 569 

DOCUMENTO 2

Se è il malato di mente, l’alcolista o l’immigrato di turno ad essere violento, mi posso indignare, arrabbiare, puntare il dito, ma tutto sommato mi “salvo” e certamente non metto in discussione la mia presunta normalità. Eppure non è così. Le azioni violente, fisiche o psicologiche, agite all’interno delle mura domestiche appartengono anche a chi ha un elevato livello di istruzione, a chi ha con il vicinato rapporti gentili e cortesi, a chi non ha mai avuto problemi con la legge. Sono comportamenti che, in forme diverse, ritroviamo in noi stessi e nei nostri pazienti in tutte le fasce d’età e che ci spingono ad interrogarci sulla violenza come dimensione trasversale dell’essere umano. Le azioni politico-sociali contro la violenza messe in campo nel corso degli ultimi decenni sono state prevalentemente orientate, da un lato, alla protezione della vittima, per esempio con l’istituzione dei centri di accoglienza e tutela per la donna e, dall’altro lato, alla condanna del reo, con il progressivo inasprimento delle sanzioni penali. Nel sistema giuridico italiano, dall’altra parte, c’è stato un graduale cambiamento nella modalità di considerare l’azione violenta dell’uomo contro la donna, allo scopo di abbattere forme di supremazia e disparità tra i generi. L’uomo che, fino a qualche decennio fa, era giustificato nei suoi comportamenti aggressivi, come, per esempio, nel delitto d’onore, viene oggi nella maggior parte dei casi arrestato e processato. Ma può bastare questo a ridurre e contrastare il fenomeno della violenza di genere? La pena può essere sufficiente a interrompere il circolo vizioso della violenza? Solo negli ultimi anni è emersa l’esigenza di poter strutturare percorsi terapeutici rivolti ad autori di comportamenti maltrattanti, nell’ottica non solo di punire e castigare, ma di stimolare e sostenere un cambiamento. È una strada ancora giovane, che testimonia però l’esigenza di operare trasformazioni durature e significative nel delicato equilibrio della relazione di coppia.


Silvia Monauni, Daniele Vasari, La violenza di genere, quale intervento?, in “Psicologia contemporanea”, 245, set-ott 2014, Giunti Editore, Firenze-Milano, pp. 38-39

SECONDA PARTE 


Il candidato risponda a due dei seguenti quesiti:

1. Che cosa si intende per “stalking”? Descrivi il fenomeno.

2. Su quale tipo di legame si basa la relazione tra vittima e carnefice in un rapporto dove si consuma violenza fisica e/o psicologica sul partner?

3. Quali caratteristiche psicologiche presenta un soggetto maltrattante?

4. Quale approccio terapeutico potrebbe essere il più adatto per la cura dei soggetti maltrattanti? Perché?

  • Durata massima della prova: 6 ore.
  • È consentito l’uso del vocabolario di italiano.
  • È consentito l’uso del vocabolario bilingue (italiano-lingua del paese di provenienza) per i candidati di madrelingua non italiana.
  • Non è consentito lasciare l’Istituto prima che siano trascorse 3 ore dalla lettura del tema.

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
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Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane