5 L’identità sociale: Tajfel e Turner

5. L’identità sociale: Tajfel e Turner

5.1 Che cOS’È L’IDENTITÀ SOCIALE

Nella definizione di sé e della propria identità, l’essere appartenente a uno o più gruppi, in quanto custodi di valori, interessi, relazioni e altri diversi aspetti psicologici e sociali, rappresenta un elemento particolarmente significativo. In molti ambiti agiamo come individui in relazione con singole persone, ma spesso ci ritroviamo a muoverci come membri di un gruppo. Alle appartenenze gruppali affidiamo quella che si definisce “identità sociale”.

L’identità sociale è quella parte della concezione di sé di un individuo che gli deriva dalla consapevolezza di essere membro di un gruppo sociale, includendo gli aspetti affettivi ed emotivi collegati all’appartenenza gruppale. La posizione del gruppo rispetto ad altri gruppi può avere importanti ricadute su diversi aspetti psicologici dell’individuo come, per esempio, l’autostima.

5.2 Ingroup e outgroup

Lo psicologo britannico di origine polacca Henri Tajfel (1919-1982) sottolinea come i gruppi (classe sociale, famiglia, squadra di calcio e così via) a cui le persone appartengono rappresentino un’importante fonte di orgoglio e autostima. I gruppi, in tal senso, forniscono un senso di identità sociale, ossia un senso di appartenenza al mondo, allontanando vissuti di isolamento e di solitudine. Migliorare lo status del gruppo a cui si appartiene produce un impatto benefico sull’immagine di sé.

esempio: qualcuno potrebbe ritenere l’Italia come il paese migliore del mondo da un punto di vista culturale; un modo per migliorare l’immagine di sé in tal senso è discriminare il gruppo esterno, quello al quale non apparteniamo, per esempio affermando che gli americani o i tedeschi sono culturalmente ignoranti.

Il mondo ci appare diviso in “loro” e “noi”, non per scelta razionale, ma sulla base di involontari processi di categorizzazione sociale, attraverso i quali collochiamo le persone in gruppi sociali. Viene così a crearsi un ingroup di cui ci sentiamo parte e con cui ci identifichiamo e un outgroup esterno, che riceve spesso proiezioni negative. Secondo la teoria dell’identità sociale di Tajfel, infatti, l’ingroup tenderà a discriminare l’outgroup per migliorare la propria immagine di sé.

Lo stereotipo, ossia il collocamento delle persone in gruppi e categorie, si basa su un normale processo cognitivo: la tendenza a raggruppare le cose. Nel fare ciò si tende a esagerare le differenze tra i gruppi e le somiglianze nello stesso gruppo.

Allo stesso modo, classifichiamo le persone. Vediamo il gruppo a cui apparteniamo (l’ingroup) come diverso dagli altri (l’outgroup), e i membri dello stesso gruppo come più simili tra loro.

Lo psicologo britannico John C. Turner (1947-2011) sostiene che quando ci sentiamo parte di un gruppo e ci sentiamo molto identificati in esso abbiamo la percezione di assomigliare agli altri membri, in un processo che definisce di depersonalizzazione.

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approfondiamo  L’esperimento di Tajfel sui gruppi minimi

Tajfel riporta in uno studio del 1971 i risultati di un suo esperimento condotto su una classe di alunni di 15 anni, divisa in due gruppi in base alla preferenza accordata a un dipinto di Kandinskij oppure a uno di Klee. I ragazzi sapevano in quale gruppo fossero inseriti, ma non quali altri membri ne facessero parte, così da rendere saliente come unica variabile l’appartenenza a uno dei due gruppi.

A ciascun ragazzo fu chiesto di distribuire una certa somma di denaro fra altri due partecipanti, di cui veniva specificata solo l’appartenenza al rispettivo gruppo. I partecipanti potevano scegliere di suddividere il denaro seguendo uno dei tre schemi proposti:

  • il primo schema generava guadagno comune a entrambi i soggetti, suddividendo equamente il premio;
  • il secondo schema offriva il massimo guadagno al proprio gruppo, generando un guadagno anche per il gruppo opposto;
  • il terzo schema generava la maggiore differenza di premio fra il proprio gruppo e quello contrapposto (a vantaggio del proprio), ma non consentiva il massimo guadagno assoluto per il proprio gruppo.

La terza opzione fu quella più utilizzata dai partecipanti: quello che contava, secondo Tajfel, non era tanto ottenere il massimo guadagno, quanto uscire “vincitori” da una situazione di competizione. Situazione che, come visto, era nata su base arbitraria: è proprio l’appartenenza all’ingroup ad attivare determinati meccanismi di valorizzazione o penalizzazione dell’altro.

5.3 LA TEORIA DELL’IDENTITÀ SOCIALE

Secondo Tajfel e Turner esistono tre processi mentali coinvolti nel valutare gli altri come “noi” o “loro”, nel definire cioè ingroup e outgroup, che si attivano nel seguente ordine: categorizzazione sociale, identificazione sociale e confronto sociale.

1. Categorizzazione sociale: tutti abbiamo l’esigenza di classificare gli oggetti per capirli e identificarli, per rendere l’ambiente in cui viviamo prevedibile e per programmare i nostri comportamenti. In un modo molto simile categorizziamo le persone (inclusi noi stessi) per comprendere l’ambiente sociale: usiamo categorie sociali come nero, bianco, cinese, russo, cristiano, musulmano, studente, insegnante e così via. In un certo senso non potremmo agire in modo normale senza usare queste categorie: il nostro cervello, infatti, necessita di accorpare le moltissime informazioni ambientali per ridurre le operazioni mentali; le risorse cognitive sono limitate e inserire qualcuno o qualcosa in classi, anche se ci fa perdere elementi di specificità, è molto utile a una valutazione grossolana della situazione o della persona. Si tratta di una necessità di economia cognitiva. Allo stesso modo, scopriamo aspetti di noi stessi a partire dalla consapevolezza delle categorie in cui siamo inseriti. Inoltre, definiamo un comportamento appropriato facendo riferimento alle norme del gruppo di appartenenza, quando ovviamente vi apparteniamo.

2. Identificazione sociale: in questa seconda fase assumiamo come nostra l’identità del gruppo a cui apparteniamo e nel quale ci riconosciamo (o meglio, ci siamo categorizzati) come appartenenti. Se, per esempio, ci si è classificati come sportivi, è probabile che adotteremo l’identità di uno sportivo e inizieremo ad agire nei modi in cui crediamo che gli sportivi agiscano, conformandoci alle regole del gruppo. Sarà attivo un particolare valore emotivo legato all’identificazione con un gruppo, e l’autostima sarà automaticamente connessa all’appartenenza al gruppo.

3. Confronto sociale: è l’ultimo stadio. Una volta che ci siamo categorizzati come parte di un gruppo e ci siamo identificati con quel gruppo, tendiamo a confrontarlo con altri. Se vogliamo mantenere un buon livello della nostra autostima, il nostro gruppo dovrà confrontarsi favorevolmente con gli altri. Una volta che due gruppi si identificano come rivali, si ritrovano automaticamente a competere perché i rispettivi membri possano conservare o accrescere la loro autostima.

Competizione e ostilità tra gruppi non sono, quindi, legate ad antipatie e discriminazioni fini a loro stesse, poiché si basano spesso su aspetti identitari e di autostima. L’appartenenza al gruppo non è qualcosa di estraneo al singolo individuo, ma una sua parte reale, autentica e profonda, rappresentandone un aspetto fortemente identitario e vitale.

per lo studio

1. Che cosa si intende per identità sociale?

2. Spiega le differenze tra categorizzazione sociale, identificazione e confronto sociale.


  Per discutere INSIEME 

Riflettete sulla vostra identità sociale e identificate a quali gruppi appartenete. Quindi discutete fra compagni sul possibile ruolo che svolgono oggi i social network e le app di messaggistica istantanea: contribuiscono anch’essi alla definizione dell’identità sociale?

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
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Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane