T1 - Gérard Lutte, L’importanza dell’amicizia

PAROLA D’AUTORE

|⇒ T1 Gérard Lutte

L’importanza dell’amicizia

Lo psicologo di origine belga Gérard Lutte, docente di Psicologia dell’età evolutiva all’università di Roma La Sapienza, e impegnato nel lavoro sociale con giovani emarginati, evidenzia in questo brano quanto l’amicizia svolga un ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’identità adolescenziale.

Il bisogno di amicizia durante l’adolescenza è qualitativamente nuovo, espressione dello sviluppo della personalità in tutti i suoi aspetti, dipendente non solo dalla pubertà fisiologica ma anche dallo sviluppo cognitivo, da quello della motivazione all’autonomia e alla parità, dalla solidarietà tra emarginati che si esprime nei gruppi di coetanei, dalle condizioni di marginalità che causano una crisi di identità, dall’insieme dei cambiamenti che provocano insicurezze e ansietà. […]

L’amicizia è anche un potente aiuto nel processo di distacco dai genitori e dagli adulti non solo perché, sul piano emotivo, trasferisce sui coetanei molti bisogni affettivi ma anche perché […] rassicura nei momenti di ansietà.

[…] In un tempo di insicurezza e di dubbi su se stesso, l’amicizia riconforta perché dà un senso di importanza. Se l’amico mi ama e mi rispetta significa che non sono senza valore. Con lo scambio intimo dei sogni ad occhi aperti, delle illusioni, delle paure, dei sentimenti, l’adolescente ha una conferma del proprio valore perché si vede negli occhi di un altro da cui non si sente diverso. […] L’amicizia, infatti, permette la condivisione e quindi il sollievo delle paure e delle angosce, della rabbia, delle tensioni e frustrazioni che caratterizzano l’adolescenza nella nostra cultura. Racconta una ragazza: «Il non parlare di determinati problemi mi faceva pensare di averli solo io. Ho vissuto con angoscia perché mi sentivo diversa dagli altri. Poi ho fatto amicizia con una ragazza scoprendo che molti problemi li aveva anche lei. Mi sono sentita rinascere, non mi sentivo più diversa».

L’amicizia risponde anche ai bisogni cognitivi degli adolescenti, permette loro di discutere senza fine del senso della vita, di teorie filosofiche, politiche e sociali, di religione, arte e letteratura. Consente anche di capire meglio gli altri. […]

Talvolta l’identificazione con un amico o un’amica permette di risolvere un problema di sviluppo. […] Permette di dare e di ricevere, di non rimanere schiacciato sotto il sentimento di solitudine che si fa più frequente durante questa età per il processo di separazione e di individuazione. Oltre a queste funzioni tipiche dell’adolescenza, il rapporto di amicizia risponde ad altri bisogni sentiti tutta la vita: offre una compensazione ai limiti della propria persona, assicura aiuto e favori, alleanze contro eventuali pericoli. L’insieme di queste funzioni […] spiega l’importanza dell’amicizia soprattutto nella prima adolescenza quando lo sviluppo è più rapido e ansiogeno e manca il supporto di una relazione d’amore.

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1. Rifletti sulla tua idea di amicizia e cerca di comprendere se la tua esperienza è simile a quella descritta dall’autore.

 >> pagina 445 

|⇒ T2 Antonio Piotti

Internet e il ritiro dei ragazzi

Il fenomeno del ritiro sociale si sta diffondendo a macchia d’olio in tutti i paesi sviluppati e si caratterizza per il fatto che i giovani ritirati trascorrono moltissimo tempo in rete. Molti autori hanno riflettuto sul rapporto che esiste fra questa nuova forma di sofferenza e le esperienze in rete dei giovani. Nel brano che segue, Antonio Piotti spiega gli elementi che caratterizzano questo rapporto.

È sempre più evidente come per i ragazzi ritirati in Italia e in Giappone, sia forte la presa dell’immaginario. Nelle nostre prime esperienze a riguardo, avevamo ipotizzato una connessione fra il mondo immaginario e il superinvestimento della Rete e la condizione di ritiro; col passar del tempo questa teoria, pur mantenendo un’importanza centrale, non appare più così totalizzante. In particolare osserviamo come esistano casi di ritirati sociali gravi che, semplicemente, non fanno uso del computer. Appare sempre più chiaro, invece, come la Rete funzioni rispetto al ritiro in modo difensivo […] e che essa, per i soggetti in hikikomori, costituisca una specie di rifugio dopo che è stata sperimentata l’impossibilità di affrontare il mondo reale e non, come era lecito supporre inizialmente, la causa del ritiro. Quando, tuttavia, il ritiro è cominciato e compare una dimensione immaginaria, essa finisce col creare, all’interno del soggetto, cambiamenti importanti e a strutturare in un certo modo le sue dinamiche psichiche. In altri termini, è come se i soggetti in hikikomori si trovassero di fronte a tre scelte possibili: la prima è quella di mantenere puramente e semplicemente un perfetto rifiuto verso ogni forma di contatto col mondo, la seconda consiste nell’operare uno sforzo massiccio per porre termine alla reclusione e la terza comporta l’adesione totale a una dimensione immaginaria. Le prime due soluzioni implicano, dal punto di vista economico, difficoltà notevoli in quanto occorre, in un caso sostenere lo sforzo di un isolamento le cui conseguenze potrebbero esitare nella psicosi, oppure, nell’altro, gestire l’angoscia profonda derivante da un insostenibile contatto col mondo esterno. Al contrario, la terza soluzione offre uno sbocco che, almeno nelle prime fasi, non è affatto doloroso, procura anzi un certo sollievo, e può essere adottata senza troppa fatica dai soggetti in ritiro. L’adesione a modelli immaginari, infatti, evita il contatto col mondo reale, ma consente pur sempre una forte attività relazionale sia con altri soggetti via Internet sia, in senso intrapsichico, fra le varie parti del Sé adolescenziale […]. È proprio questo aspetto, del resto, a segnare la peculiarità della disposizione psichica che stiamo analizzando: in una maniera che appare fortemente emblematica, il sintomo agisce davvero come “formazione di compromesso” e lo fa a diversi livelli: protegge dall’angoscia dismorfofobica e relazionale, ma costringe al perdurare della reclusione, favorisce una serie di relazioni immaginarie, ma elimina quelle della vita quotidiana.

In un certo senso è corretto affermare che i ragazzi in hikikomori, attraverso le loro esperienze virtuali spesso ricche e fortemente coinvolgenti, maturino emozioni e sviluppino, in chiave evolutiva, vissuti e affetti profondi, come se cercassero, attraverso una serie di strade secondarie, di percorrere comunque quel cammino evolutivo che essi non possono compiere attraverso la via principale. […] Ciò che manca è soltanto il corpo. È questo il prezzo che occorre pagare quando si percorre il proprio cammino adolescenziale sulla via dell’immaginario: si può far tutto, ma bisogna rinunciare all’uso concreto del corpo. Del resto, questa spiritualità forzata non viene vissuta come una vera e propria privazione perché il corpo, lungi dall’essere percepito come lo strumento fisico attraverso il quale dare vita al desiderio, viene invece categorizzato come l’ostacolo goffo e riluttante che impedisce al desiderio di realizzarsi. Si finisce, pertanto, col sostare in un’area intermedia. […] All’interno di essa l’immaginario permette un’esistenza meno sofferta, ma demanda a un domani sempre meno definito il giorno della fuoriuscita.

In un primo tempo avevamo pensato che la dimensione immaginaria avesse una funzione eminentemente difensiva e avevamo in mente quei giochi in modalità “sparatutto” che implicano una concentrazione mirata esclusivamente alle dinamiche interattive del gioco stesso: immersi nell’esperienza totalizzante dell’esercizio ludico con i suoi infiniti livelli da superare, i ragazzi reclusi potevano distogliere la mente dalla loro condizione di incorporeità forzata e rimandare indefinitamente il momento del ritorno nel mondo delle relazioni corporee. Abbiamo poi compreso, però, che la vita immaginaria di un hikikomori non si riduce solamente alla pratica di questi giochi ripetitivi. Parallelamente a essi, si sviluppa una dimensione più evolutiva che consiste nell’aderire e nel lasciarsi inglobare da esperienze immaginarie più articolate, favorite proprio dall’incorporeità nella quale si contestualizza il ritiro. Una volta rinunciato al proprio corpo, il soggetto in hikikomori può abbandonarsi al mondo delle sue fantasie senza incontrare ostacoli. Ecco allora che una serie di giochi virtuali e di narrazioni, ove è possibile assumere identità fittizie, viene a esercitare una formidabile attrattiva sui ragazzi reclusi che, a differenza dei loro coetanei, possono abbandonarvisi senza remore proprio in forza della particolarità della loro esistenza. In altri termini, la situazione hikikomori favorisce la proliferazione delle produzioni immaginarie e fa in modo che esse abbiano una presa soggettiva maggiore. Alcuni pazienti, per esempio, mostrano di aderire con straordinaria intensità emotiva a parecchie produzioni culturali cui accedono in streaming dalla loro postazione, si tratti del contenuto di alcune canzoni (che generano in loro una profonda sensazione di dolcezza) o della visione senza interruzione di alcune puntate di fiction televisive come “Lost” o “Dexter”, da cui traggono esperienze emotive molto intense. Allo stesso modo, e sempre in streaming, è frequente che i ragazzi reclusi aderiscano al mondo degli Anime giapponesi, così come, altrettanto facilmente e indipendentemente dall’uso del computer, siano attratti e coinvolti (esattamente come i loro coetanei giapponesi) dalla letteratura Manga.

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1. Quale funzione svolge la rete per i giovani che si ritirano?

2. In che modo la situazione hikikomori favorisce le produzioni immaginarie nei giovani?

Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Dialoghi nelle Scienze umane - volume 2
Antropologia, Sociologia, Psicologia – Secondo biennio del liceo delle Scienze umane